Franca Valeri, che si è sempre rifiutata "di essere una vecchia in attesa della morte"

Franca Valeri è morta nel 2020, dopo aver soffiato sulle 100 candeline. Ma alcuni dei suoi personaggi restano icone indelebili dello spettacolo italiano, capaci di offrire uno spaccato veritiero e sottile della società.

Franca Valeri se n’è andata il 9 agosto del 2020, pochi giorni dopo aver soffiato sulle 100 candeline, spente il 31 luglio.

Nata in una famiglia della borghesia milanese, da padre di religione ebraica, durante l’adolescenza frequenta il liceo, coltivando accanto agli studi la passione per il teatro di prosa e l’operetta. Ma l’arrivo delle leggi razziali prima e poi la divisione dell’Italia sulla Linea Gotica le cambiano la vita: è costretta a rinunciare a tutto, mentre il padre si rifugia in Svizzera e lei e la madre riescono a scampare alla deportazione nei campi di concentramento con un documento falso. Nonostante i momenti tristi, l’attrice inizia a inventare i suoi primi personaggi caricaturali.

La prima volta in teatro è datata 1947 nella compagnia del Teatro dei Gobbi. All’epoca si chiamava ancora Franca Norsa – avrebbe adottato Franca Valeri solo all’inizio degli anni ’50, anche perché il padre non era convinto della carriera d’attrice della figlia. Con la compagnia, Valeri si esibì anche a Parigi, portando degli sketch innovativi per l’epoca.

Negli anni, è stata protagonista di tanti film di culto. Oltre al primo, Luci del varietà di Federico Fellini e Alberto Lattuada, ha recitato con Totò, Vittorio De Sica, Alberto Sordi e molti altri. Tra i titoli più celebri Piccola Posta, in cui interpretava la redattrice di una rubrica romantica su una rivista e Il segno di Venere, in cui era la cugina invisibile della procace Sophia Loren.

Da lui – ha spiegato Valeri parlando di De Sica – che consideravo il mio idolo, venni molto sostenuta, quando recitammo insieme nel film Il segno di Venere.

Tra i suoi personaggi più celebri senza dubbio quello della sora Cecioni, di cui una volta lei parlò così.

Non so davvero come mi sia venuta in mente. Probabilmente perché, vivendo ormai stabilmente a Roma, imparai a conoscere le donne di servizio che venivano da me a fare le faccende domestiche, e poi le sarte o le truccatrici nei set cinematografici che frequentavo per lavoro. Il carattere dei romani in genere mi ha sempre comunicato una strana simpatia e le donne romane, in particolare, sono molto acute nel giudicare: una fonte di fantasia che mi ha sempre aiutato a costruire il mio mondo fantastico.

Quando ha iniziato Franca Valeri era un’outsider, un po’ come Giulietta Masina. Il grande schermo in particolare, tra gli anni ’40 e ’50, iniziò a proporre le maggiorate. Si sentiva il bisogno di dare al pubblico una sensazione di floridezza dopo la guerra. Ma non bastava. Il pubblico aveva bisogno di ridere, ma anche di riflettere.

Per questo l’esperienza di Franca Valeri fu importantissima: da vero genio dello spettacolo riuscì a raccontare l’Italia attraverso i suoi personaggi, la sora Cencioni perennemente al telefono con mammà, Cesira la manicure, la signorina snob.

Negli ultimi anni, le apparizioni di Franca Valeri si sono diradate sempre di più. Il tempo passa per tutti, ma lei resta fedele a se stessa. Quando, soprattutto in estate, in tv passano i suoi vecchi film e gli sketch d’antologia, ci pervade la nostalgia, ma le risate hanno sempre la meglio. E poi quel retrogusto agrodolce che solo i suoi personaggi avevano. Perché Valeri è oltre la comicità: la sua è una satira sottile su come eravamo e come siamo, un ritratto grottesco di quell’Italietta che cerca di liberarsi dagli stereotipi, ma ne resta ancorata. E Valeri dal canto suo vuole continuare a raccontarla.

Mi rifiuto di essere una vecchia priva di interessi in attesa della morte – raccontò nel 2018 in un’intervista alla Rai – Sto scrivendo un nuovo testo, che si intitola proprio “Il secolo della noia”: purtroppo siamo diventati tutti più noiosi e cerco di esorcizzare.  Sin da giovanissima sono sempre andata controcorrente, mi sono sempre impegnata a inventare qualcosa di diverso, di strano, inusuale, insomma qualcosa che non fosse già visto e noioso.

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