Chi è Jane Roe, la donna della Roe v. Wade, e cosa confessò prima di morire

Il suo nome è diventato quello di una battaglia per il diritto delle donne ad autodeterminarsi, eppure “Jane Roe” non è mai esistita davvero. Si chiamava Norma McCorvey e la sua è stata la storia che ha permesso di scrivere la storia: chi era la donna dietro al processo “Roe vs Wade” di cui la Corte Costituzionale Statunitense ha cancellato la sentenza.

Nelle ultime settimane, che hanno visto gli Stati Uniti segnare un drammatico passo indietro sul fronte dei diritti e sulla possibilità di migliaia di donne di accedere a un aborto legale e sicuro, il cognome “Roe” è risuonato in tutti gli angoli del globo. Eppure, pochissime persone sanno chi era la donna che si celava dietro pseudonimo legale “Jane Roe” e come la sua storia personale sia diventata il simbolo di una battaglia che ha garantito per quasi 50 anni la legalità dell’aborto a livello federale.

Era il settembre 1969 quando la 21enne Norma McCorvey rimase incinta per la terza volta. Aveva avuto un’infanzia difficile, aveva abbandonato la scuola in prima media ed era finita in riformatorio dopo che una cameriera di un motel aveva scoperto lei e un’altra ragazza che si baciavano.

Nonostante si identificasse come lesbica, a soli 16 anni si era sposata per la prima volta. Il matrimonio non aveva avuto vita lunga è McCorvey aveva divorziato dal marito quando era diventato fisicamente violento. Dopo aver dato alla luce una figlia nel 1965, aveva iniziato a lottare con l’abuso di droghe e alcol, cedendo infine la custodia della piccola a sua madre, non è chiaro se volontariamente o meno. Nel 1967 diede alla luce un secondo figlio, che diede in adozione.

La terza volta, McCorvey voleva abortire.

Ero una donna sola, senza un posto dove andare e senza lavoro. Nessuno voleva assumere una donna incinta. Sentivo che non c’era nessuno al mondo che potesse aiutarmi.

avrebbe raccontato nel 1973. Le leggi del Texas, però, erano molto restrittive e l’aborto era consentito solo se portare a termine la gravidanza minacciava la salute della madre. Come ha sottolineato Erin Blakemore sul National Geographic, McCorvey

a differenza delle donne più ricche e con risorse migliori, McCorvey non poteva permettersi di lasciare lo stato o di ottenere un aborto silenzioso da un medico affidabile.

Come accade ancora oggi in molti Paesi (e come accadrà di nuovo negli Stati Uniti dopo la sentenza della Corte che ci riporta indietro di quasi 50 anni), di fatto la legge impediva solo alle donne come lei – che non avevano i mezzi per spostarsi in uno stato in cui l’aborto fosse legale né per pagare un medico che potesse effettuare l’operazione (illegalmente) senza rischiare la vita – di abortire in maniera libera e sicura.

Una coppia di avvocate di cui aveva sentito parlare, però, cercavano proprio una donna come lei, qualcuno la cui età e classe sociale avrebbero mostrato l’ingiustizia delle leggi sull’aborto. Senza sapere che il suo caso sarebbe diventato un simbolo – il suo unico interesse, secondo Robert D. McFadden del New York Times, era ottenere un aborto rapido – contattò quindi Sarah Weddington e Linda Coffee e nel 1970, incinta di cinque mesi, firmò una dichiarazione giurata che in seguito avrebbe affermato di non aver mai letto.

La causa “Roe vs Wade” fu depositata a Dallas il 3 marzo 1970: McCorvey fu anonimata dietro lo pseudonimo “Jane Roe”, mentre la seconda metà del nome si riferisce all’imputato, Henry Wade, il procuratore distrettuale incaricato di far rispettare le leggi sull’aborto del Texas.

Coffee e Weddington sostennero che le leggi sull’aborto del Texas violavano il diritto costituzionale delle donne alla privacy. Il tribunale distrettuale si pronunciò a loro favore, ma respinse la loro richiesta di interrompere l’applicazione delle vecchie leggi statali sull’aborto: sia la squadra di Wade che la squadra di McCorvey fecero quindi ricorso contro la decisione alla Corte Suprema.

Appena 26enne, Weddington discusse il caso davanti a una Corte Suprema tutta maschile il 13 dicembre 1971. A quel punto, il caso Roe si era trasformato in un’azione collettiva per dimostrare il diritto costituzionale di tutti gli americani di determinare il percorso della propria vita. L’aborto è «una decisione importante» nella vita personale delle donne, disse sottolineando il pericolo della gravidanza e del parto.

Una gravidanza per una donna è forse uno degli aspetti più determinanti della sua vita. Sconvolge il suo corpo. Interrompe la sua educazione. Interrompe il suo lavoro. E spesso sconvolge la sua intera vita familiare.

La Corte emise la sua sentenza il 22 gennaio 1973, legalizzando di fatto l’aborto negli Stati Uniti con una maggioranza di 7 a 2.

La storia di Jane Roe – McCorvey, però, non era finita: non essendo riuscita ad abortire, aveva dato alla luce una bambina il 2 giugno 1970, che aveva dato in adozione. Fino agli anni ’80 ha tenuto nascosta la sua identità, in seguito decise di rivelare di essere Jane Roe e per circa 15 anni si batté per sostenere il diritto delle donne di scegliere.

Nel 1995, però, fece un brusco dietrofront, dichiarandosi cristiana rinata e strenua oppositrice dell’aborto. Testimoniando davanti al Senato nel 1998, ha detto, come riporta il Guardian: «Voglio passare il resto della mia vita ad annullare la legge che porta il mio nome» e ha presentato una petizione alla Corte Suprema per annullare la decisione Roe v Wade. La richiesta è stata respinta.

La sua conversione, però, avrebbe rivelato in seguito, aveva molto poco a che fare con la fede e molto col denaro. Poco prima della sua morte nel 2017, infatti, McCorvey ha cambiato ancora una volta versione, sostenendo di aver sempre sostenuto il diritto all’aborto e rivelando, in un’intervista per il documentario AKA Jane Roe

Ho preso i soldi [degli anti-abortisti N.d.A.], mi hanno messo davanti alla telecamera e mi hanno detto cosa dire, ed è quello che ho detto.

Quando il regista del documentario ha chiesto se «era tutta una recita» McCorvey ha risposto: «Sì. Ed ero anche molto brava».

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