Per quanto oggi il tema dell’identità di genere sia molto discusso, c’è da dire che l’argomento è tutt’altro che moderno; certo, forse oggi esiste più consapevolezza circa l’esistenza di generi che non possono essere ricondotti al binarismo, e per fortuna persone che hanno un genere diverso rispetto alla dicotomia uomo/donna non sono più costrette a vivere nel segreto o fingendo di essere chi non sentono davvero di essere, anche se, purtroppo, dobbiamo dire di essere ben lontani da un mondo ideale in cui non esistono discriminazioni e pregiudizi.

Ma il “terzo genere” è comunque presente in moltissime culture già da tempi veramente antichi: nelle tribù native americane, ad esempio, è incarnato dai two spirit, mentre nella società indiana è rappresentato dagli hijra.

Chi sono gli hijra?

Gli hijra costituiscono una vera e propria comunità, organizzata gerarchicamente e con regole ben precise, cui si accede tramite un rito di iniziazione che prevede la castrazione. Comprende persone ermafrodite, intersessuali o transessuali, ed esiste nell’Asia meridionale già da secoli.

La parola hijra deriva dalla radice araba hjr, che significa emigrare, e in un primo tempo è arrivato nella lingua hindi con il significato di “lasciare la propria tribù”. Chi accede alla comunità, infatti, lascia la propria famiglia di origine – anche se spesso è proprio quest’ultima a ripudiarla – e si sottopone a un guru, con il quale instaura un rapporto di mutua dipendenza, in cui lascia tutti i propri beni materiali a questo, in cambio di protezione e, talvolta, di un alloggio.

Il termine hijra, come detto, può comprendere uno spettro molto ampio di identità e orientamenti: eunuchi, ermafroditi, transgender, transessuali, intersessuali, asessuali. Va però detto che talvolta la parola è usata in senso dispregiativo, perciò si preferisce chiamarli khwaaja Sira, anche per via dell’esistenza di varianti regionali che non corrispondono perfettamente a ciò che si intende con la parola hijra: i Kothi in India – generalmente sono uomini dall’aspetto femminile che hanno rapporti con altri uomini -, i Meti in Nepal, gli Zenana in Pakistan.

La storia degli hijra

La comunità hijra, come detto, vanta una storia piuttosto antica, tanto che sarebbe presente e citata già nel racconto del Ramayana, datato II secolo d. C., anche se non c’è unanimità da parte degli studiosi rispetto a questa ipotesi. Ramayana è un poema epico che celebra le gesta di Rama, grande guerriero considerato l’incarnazione del dio Visnu che, esiliato da Ayodhya, si dirige verso una foresta seguito da tutti i suoi discepoli, fino a quando chiede di essere lasciato solo.

Tutti obbediscono alla richiesta, tranne un gruppo di persone, né uomini né donne, che restano nella foresta per quattordici anni in attesa del ritorno del loro signore. Passato questo tempo, Rama torna e li ricompensa della loro lealtà con doni preziosi. Ma, come spiega il saggio Il genere è fluido? di Sally Hines, gli hijra sono anche citati nel Kama Sutra, dove si parla di rapporti sessuali tra uomini con sembianze femminili ed altri uomini.

Unanimemente accettati dal resto delle comunità indiane, le cose per gli hijra sono cambiate con l’arrivo dei colonizzatori britannici, che imposero i loro valori morali, introducendo anche, nel 1864, una legge che criminalizzava gli atti e i comportamenti sessuali contrari allo scopo riproduttivo e “all’ordine naturale”. Lo scopo era quello di soggiogare soprattutto gli individui considerati “deviati”, ed è proprio da lì che comincia la discriminazione e la marginalizzazione degli hijra.

La vita degli hijra indiani e l’esclusione sociale

Alla gran parte degli hijra, spiega Hines nel suo saggio, viene assegnato il sesso maschile alla nascita, benché alcuni siano intersessuali. Se un tempo erano rispettati e stimati, e si guadagnavano da vivere attraverso il lavoro sessuale o l’esecuzione di benedizioni religiose, oggi, complice anche lo strascico culturale lasciato dalla dominazione britannica, le cose stanno diversamente, nonostante, anche sul piano legale, dal 2014 siano riconosciuti come “terzo genere” (e non tutti gli hijra hanno comunque accolto favorevolmente la classificazione).

La reputazione degli hijra oggi si può definire ambivalente: da un lato qualcuno continua a pensare che siano creature vicino alle divinità, motivo per cui vengono invitati a danzare ai matrimoni o alle nascite dei bambini, ma la situazione effettiva è estremamente diversa: a molti è impedito l’accesso agli ospedali pubblici, cosa che assume tratti ancor più preoccupanti se si pensa all’alta percentuale di persone della comunità hijra affette da HIV.

Anche le condizioni abitative e lavorative spesso sono instabili, visto che le professioni esercitate sono principalmente la danza e la prostituzione, motivo per cui molti sono costretti a chiedere l’elemosina per strada.

Aggressioni e violenze nei confronti degli hijra non sono purtroppo rare, soprattutto visto che in India l’omosessualità nel 2013 è stata di nuovo criminalizzata (orientamento poi superato dalla Corte Suprema Indiana nel 2018, con la cancellazione della sezione 377 del Codice penale indiano che da 157 anni puniva come “offese contro natura” i comportamenti omosessuali).

Come detto, la legge del 2014 ha riconosciuto ufficialmente il terzo genere, stabilendo il diritto delle persone che vi appartengono ad accedere a lavoro e istruzioni, e unendosi quindi a Nepal, Pakistan e Bangladesh. Il terzo sesso può essere registrato sul passaporto e su altri documenti ufficiali.

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