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In un libro del 2016 scritto da Anna Dahlqvist si parla di mestruazioni in abbinamento a educazione ed economia, due termini che non vengono spesso in mente quando si parla di ciclo. 

Del resto la Dahlqvist in questo libro, che si chiama It’s Only Blood: Shattering the Taboo of Menstruation (tradotto: È solo sangue: rompere i tabù sulle mestruazioni), fa proprio questo: cercare di cancellare le combinazioni di parole tra mestruazioni e termini della sfera semantica della vergogna.

Parlare di mestruazioni in generale, si sa, non è cosa che si faccia spesso né in privato, né in pubblico. Lo sa bene ogni donna. Gli eufemismi con cui ci si riferisce alle mestruazioni pur di non nominarle – il “marchese”, le “innominabili”, le “rosse”, fino a scomodare persino i “parenti della Svizzera” – non sono certo il modo migliore per affrontare l’argomento.
D’altra parte, nasconderle, passandosi l’assorbente sotto banco o con fare furtivo, è una cosa che tutte nella vita abbiamo fatto almeno una volta. E anche questo non aiuta.

Pazzesco, se si pensa che a sanguinare, nel corso della vita, è più della metà della popolazione mondiale; eppure ancora le mestruazioni non sono un fatto semplicemente biologico e normale, ma qualcosa di fastidioso, schifoso, che rischia di macchiarci i vestiti e metterci in imbarazzo o, purtroppo, molto peggio.

La prova di quanto il ciclo viva ancora di stereotipi la dà una banale ricerca su Google, che è la cartina al tornasole delle curiosità e dei dubbi delle persone. Scrivendo “Le mestruazioni sono…”, la compilazione automatica più quotata per completare la frase è la parola “pericolose”; per non parlare di quando abbiamo usato l’introduzione “Il ciclo è…”. Risposta: contagioso, secondo uno dei termini suggerito dal motore di ricerca in lingua italiana.

Nel libro della Dahlqvist si parla lungamente dell’associazione tra pericolo, vergogna e leggende metropolitane che la “narrazione delle mestruazioni”, in tutte le sue forme, ha avallato negli anni. Basti pensare al cinema e alla tv e al modo in cui non hanno mai mostrato le mestruazioni, nella pubblicità ma anche nella rappresentazione artistica, in modo sincero, schietto e realistico.

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Per fortuna campagne come quella di Nuvenia dell’azienda Essity che ha lanciato Blood Normal per mostrare il vero colore del sangue del ciclo, hanno cominciato a fare realismo mestruale anche in tv, a parlarne ad alta voce. Però la strada per trasformare il dibattito sul ciclo in una questione culturale, politica ed economica e non solo una cosa da donne (sottotitolo: “che se la vedano loro”) è ancora lunga.

La mancanza di istruzione e la period poverty, le credenze popolari e religiose e i falsi miti aggiungono un carico difficile da portare, soprattutto nelle aree più povere del globo. Le conseguenze? Molte ragazze perdono continuamente giorni di lavoro o di scuola perché si vergognano del ciclo, non hanno dispositivi per proteggersi (e soldi per comprarli) oppure si chiudono in casa per paura di emanare odori strani o di essere bullizzate dai compagni. E il circolo vizioso peggiora in contesti come quelli attuali legati al Covid-19, con l’economia globale a farne le conseguenze.

Il prezzo (altissimo) della vergogna mestruale

In molti paesi del mondo il ciclo è un limite importante al diritto all’istruzione. A volte è IL limite, come ha ribadito Save the Children che ha messo in evidenza il problema partendo dall’Africa, dove alla mancanza di igiene si aggiungono anche i conflitti locali. Secondo il report, mezzo miliardo di donne e ragazze nel mondo non ha gli strumenti per gestire l’igiene mestruale. Le scuole potrebbero fare la differenza distribuendo tamponi gratuiti, ma non ne hanno i mezzi. E il risultato, come ha scritto la Dahlqvist nel suo libro con dati raccolti nel 2016, è che “le statistiche sulle ragazze che stanno a casa durante il ciclo vanno dal 20% in Ghana, Etiopia e Sierra Leone fino al 30% del Nepal, Sudafrica e Afghanistan, il 40% in Senegal e il 50% in Kenya”. 

In India, dove questa percentuale sale al 70%, il movimento femminista Happy to Bleed nato nel 2015 ha davvero fatto la differenza nel superamento di tabù legati alle mestruazioni che in alcuni casi impedivano alle donne di partecipare alla vita pubblica e religiosa perché ritenute impure. Ma i numeri, nonostante il lavoro delle attiviste, restano alti: la percentuale delle ragazze indiane che non solo perdono giorni di scuola ma la lasciano del tutto una volta fatto l’ingresso nella pubertà è vertiginosamente alta e arriva al 23% secondo i dati di un report delle Nazioni Unite riportato da TheCitizen

E anche in Italia la situazione rimane ancorata a vecchie credenze e tabù, come ha rivelato la ricerca di Essity sui numeri delle mestruazioni nel nostro paese in cui il 54,1 % delle donne intervistate ha confessato di vivere con grande disagio i giorni del ciclo.

Un dato allarmante se si pensa che educazione, cultura e istruzione sono le chiavi d’accesso alla libertà del singolo, all’indipendenza delle donne e alla prosperità economica e sociale.

La vergogna mestruale non è un problema da “terzo mondo”

Recentemente la BBC ha riportato l’orribile vicenda di una quattordicenne kenyota bullizzata durante le mestruazioni e culminata con il suicidio della stessa. La mamma della ragazza ha accusato la scuola di averla istigata a uccidersi, perché non solo non l’ha protetta dai compagni e dalle loro battute ma l’ha anche cacciata dalla classe dopo che la giovane si era sporcata col suo sangue. La sua unica colpa: la mancanza di soldi per acquistare gli assorbenti e la voglia di non perdere le lezioni nonostante tutto.

L’opinione pubblica occidentale è rimasta sconvolta da questa storia, ma anche nei paesi all’avanguardia si combatte con tabù e stereotipi. E ancora una volta è stata la ricerca di Essity a confermare che anche in Italia parlare di mestruazioni spesso amplifica una narrazione fondata su termini legati alla vergogna, al disagio e all’imbarazzo.

vergogna-mestruale

C’è di buono che questa situazione ha fatto esplodere vere e proprie period-revolutions nel mondo, cambiando per sempre il modo in cui si parla del ciclo e iniziando un dibattito che lo trasporta su larga scala. Nadya Okamoto, a soli 16 anni, col suo TED Talk del 2016 ha dato il via a un vero e proprio Period Movement che lega le donne al sangue, senza vergogna. Il suo è un manifesto contro lo stigma a cui, anno dopo anno, si sono associate milioni di donne nel mondo. Che non hanno paura di esporsi quando sanguinano, qualsiasi sia la loro cultura. Un movimento che le celebra, belle e femminili nei giorni delle mestruazioni, mettendo in luce il loro Period Power, ovvero il potere che gli ormoni hanno di renderci creative e produttive.

Le narrazione blood-free di arte e pubblicità

Cinema e serie tv rappresentano spesso la donna con le mestruazioni come vittima dei suoi ormoni. Non mostrano sangue, ne parlano appena e al massimo discutono delle patologie legate al ciclo rappresentandole con una borsa dell’acqua calda sulla pancia e qualche chiacchiera sull’irritabilità di “quei giorni”. Questo perché la rappresentazione delle mestruazioni al cinema, in tv e persino sui social network il sangue (quello mestruale, s’intende) non lo ammette in ogni caso: anzi, non ne vuole proprio sentire parlare, come se non esistesse.

Tantissime serie tv hanno stigmatizzato persino gli assorbenti, soprattutto quando questi vengono fuori dalle borse in momenti poco opportuni: ad esempio, nei telefilm americani (soprattutto negli anni ‘90) l’assorbente viene sistematicamente fuori davanti al più popolare della scuola e la ragazza fa di tutto per nasconderlo come se avere le mestruazioni sia una colpa

Oppure il sangue viene associato allo splatter, che è un genere cinematografico evergreen in cui alla base del mostrare c’è la spettacolarizzazione. Insomma, va bene tirare fuori il sangue ma solo se fa scena. A partire dall’inizio degli anni 2000 le serie tv femministe hanno dato una mano a normalizzare il dibattito sul ciclo e in tantissimi show di successo le mestruazioni vengono chiamate col loro nome (da Sex and The City alla serie tv indiana di Prime Video che ne riprende i temi 20 anni dopo, Four more shots Please!). Ma anche col supporto della tv e delle autrici femministe che parlano schietto, la strada è ancora lunga.

Nel 2015 la foto della poetessa femminista Rupi Kaur ha fatto il giro del mondo e così i suoi pantaloni macchiati di sangue su Instagram. Uno scatto che al social non è andata giù, tanto da averla in un primo momento rimossa per violazione delle sue guidelines.

Le sue parole potentissime sembravano aver fatto breccia nella coltre di parole oscure legate alla vergogna delle mestruazioni. Rupi Kaur del suo ciclo ha scritto: “Sanguino ogni mese per rendere l’umanità una possibilità. Il mio ventre è la casa del divino, fonte di vita della nostra specie. Sia che io scelga di creare o no”, aprendo temi fondamentali non solo per le mestruazioni ma anche per il femminismo. Eppure non è bastato, tanto che quando Steph Gongora nel 2017 ha fatto yoga su Instagram senza tamponi a proteggersi, ha creato un caso, ancora una volta in negativo.

Instagram, social della bellezza spesso finta e costruita, non è luogo adatto al free bleeding. Il suo video ha fatto scalpore e ha messo la Gongora alla berlina, perché quando hai il ciclo non indossi i pantaloni bianchi, né tantomeno fai una spaccata rischiando di sporcarsi come ha fatto lei, che per di più lo ha mostrato a tutti scegliendo quello scatto tra tanti per lanciare una provocazione.

Il suo realismo mestruale e le parole che ha scritto per accompagnare il video sono diventate virali. Il suo impegno, come quello delle altre attiviste del ciclo che parlano di mestruazioni senza girarci intorno, è un tassello importante per cambiare le regole non scritte della comunicazione visiva. Che non vuole sangue, né lo mostra col suo vero colore come invece ha fatto Nuvenia nella sua campagna Blood Normal e in ogni caso fa finta che le mestruazioni non siano come realmente sono. Per usare le parole di Steph Gongora “disordinate, dolorose, terribili e belle”.

Metà della popolazione mondiale è donna e ha il ciclo e, va da sé, se anche una sola porzione di questo insieme si ferma per colpa della vergogna, non va a scuola, non si istruisce e perde opportunità di crescita, è l’economia globale tutta a subirne le conseguenze.

E questo no, non è solo un problema delle donne.
Per questo bisogna parlare di mestruazioni e garantire accesso agli assorbenti, igiene, ma anche cultura e informazione a tutte le donne del mondo.

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Nuvenia, tra i principali brand nel settore degli assorbenti femminili, supporta le donne nei giorni del ciclo, per garantire loro massimo comfort e benessere, ed è al loro fianco per abbattere stereotipi e tabù sulle mestruazioni.
Nuvenia è un marchio Essity, azienda leader nel settore dell’igiene e della salute.

  • Chiamiamo le cose col loro nome