Vivere in maniera più sostenibile, privilegiando l’ambiente alla crescita economica. Un’idea del genere, nel mondo capitalistico di oggi, potrebbe sembrare paradossale e irrealizzabile.

Eppure esiste una corrente di pensiero economico e sociale favorevole alla riduzione dei consumi in favore di un maggiore equilibrio ecologico. Stiamo parlando della decrescita felice.

Cos’è la decrescita felice?

Nel modello economico vigente il focus del mercato è tutto puntato sulla produzione di materiali e sulla massimizzazione del profitto. Parlare di decrescita felice significa proporre un’inversione di rotta, procedendo verso una riduzione controllata e volontaria della produzione economica. A pensare per primo al concetto di decrescita è stato Serge Latouche, mentre il primo ad accostare questo nuovo paradigma economico all’aggettivo ‘felice’ è stato Maurizio Pallante.

La scommessa della decrescita

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L’obiettivo di questo modello economico è quello di ristabilire l’equilibrio ecologico tra l’uomo e la natura e anche un principio di equità tra esseri umani. Si tratta, dunque, di un nuovo paradigma che fa dello sviluppo sostenibile il suo perno, mettendo in discussione le principali istituzioni socio-economiche al fine di renderle maggiormente sostenibili.

Quello proposto dal metodo della decrescita felice è un vero e proprio modello alternativo non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e culturale. Chi sostiene la decrescita felice è convinto che la crescita economica non sia direttamente proporzionale allo sviluppo del benessere; anzi nella società attuale i consumi materiali ci condizionano e non ci permettono di cogliere lo scadimento di beni essenziali come la qualità della vita.

La decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal PIL

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Decrescita felice: i vantaggi

Non bisogna, però, fare l’errore di associare questo concetto a quello di recessione. Il sistema della decrescita felice non prevede un ritorno all’epoca preindustriale o una rinuncia all’innovazione; ma, appunto, un radicale cambiamento di mentalità e dell’ordine della scala valoriale.

Il cambiamento avverrebbe in una società profondamente mutata e orientata verso altri aspetti come la sostenibilità e l’equità. La decrescita felice prevede una riduzione selettiva della produzione di merci che non sono indispensabili e non deve essere, quindi, vissuta come un regresso, ma come la possibilità di creare nuova occupazione in attività più utili.

La rivoluzione proposta da chi sostiene questo sistema punta allo sviluppo di nuove tecnologie che possano offrire un incremento della qualità della vita e un decremento dell’inquinamento. L’obiettivo ultimo del paradigma della decrescita felice è il benessere fisico e spirituale collettivo e individuale, realizzabile solo con un percorso di consapevolezza sull’abuso delle risorse del nostro pianeta.

Uno stile di vita con riduzione dei consumi sarebbe, poi, anche più accessibile alle fasce più povere della popolazione. Lo Stato potrebbe incrementare i propri servizi e da tutto ciò risulterebbe una più equa redistribuzione delle ricchezze.

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Le critiche alla decrescita felice

È innegabile che l’idea di un cambiamento così radicale porti con sé delle criticità. Tutto il sistema si basa sulla possibilità di crescita futura e un tale tipo di investimento potrebbe sembrare a molti un salto nel buio.

I sostenitori del libero mercato ritengono che, nel sistema capitalistico, lo sfruttamento di nuove fonti d’energia sia da ricercarsi quando una fonte non rinnovabile inizia a scarseggiare. In questo senso, la decrescita è da intendersi come fisiologica e regolata dalle naturali leggi del mercato.

Secondo i marxisti, invece, i sostenitori della decrescita felice partono da premesse sbagliate. Per loro il problema non è relativo alla quantità di produzione, ma alla natura di quest’ultima e al controlla che il capitalismo esercita su di essa. Il motore della crescita spasmodica (e del conseguente inquinamento) non è la produzione di merci in sé, quanto più l’appropriazione privata del profitto.

C’è poi chi, attingendo ai principi del positivismo, ritiene che sia proprio la crescita e non la decrescita a favorire un minor impatto sull’ambiente. Solo il progresso tecnologico, infatti, è in grado di risolvere le implicazioni negative legate alla produzione.

Le donne e la decrescita felice

Società capitalista e società maschilista vanno di pari passo. La decrescita felice è sicuramente legata ai valori del femminismo. Raggiungere un alto livello di cooperazione e aiuto reciproco è tra gli obiettivi principali.

Una maggiore sostenibilità in materia economica significa anche raggiungere una maggiore equità tra esseri umani. Il superamento del dislivello economico può concretizzarsi attraverso una decelerazione produttiva. Inoltre, Maurizio Pallante, teorico italiano della decrescita felice, affronta la questione del lavoro femminile. Nella società attuale la donne sono considerate o lavoratrici o casalinghe. La questione è posta in maniera alternativa perché nel capitalismo il ‘lavoro’ è solo quello che genera profitto.

Il lavoro in questo tipo di società è alienante. Un minore impiego di forze migliorerebbe la qualità della vita di uomini e donne.

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Il Movimento per la decrescita felice

Dalle idee di Pallante è nato, in Italia, il Movimento per la Decrescita Felice. Fondato il 15 dicembre 2007 e presieduto, ad oggi, da Lucia Cuffaro e Michel Cardito.

Il Movimento possiede diversi nuclei territoriali su tutto il suolo nazionale che operano su base volontaria con l’intento di avvicinare le persone ai principi della decrescita felice, attraverso eventi di sensibilizzazione. L’idea che sta alla base della nascita del movimento è quello di fornire gli strumenti per mettere in pratica la linea teorica di questo paradigma innovativo.

Il Movimento, oltre a possedere una casa editrice, ha fondato l’Università del saper fare e ha iniziato la mappatura di esercizi commerciali che adottano i principi della decrescita felice.

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