Quando parliamo di casalinghe italiane parliamo di donne. Anche l’Istat rende note le proprie statistiche completamente declinate al femminile.

Naturalmente ci sono degli uomini casalinghi, che si occupano della cura della casa e dei figli o degli anziani che vivono in famiglia, ma in realtà non solo non disponiamo di numeri a riguardo, ma soprattutto la percezione comune è che questi uomini siano mosche bianche.

Ecco cosa c’è da sapere sulla popolazione delle casalinghe in Italia.

Casalinghe italiane: i dati

Casalinghe italiane
Fonte: Una giornata particolare

Purtroppo gli ultimi dati Istat sulle casalinghe in Italia risalgono al 2016. È molto probabile però che, a seguito dell’epidemia di coronavirus e il licenziamento di molte donne dai luoghi di lavoro, numeri e tendenze siano cambiati.

Nel 2016 le casalinghe italiane erano 7 milioni e 338mila e avevano un’età media di 60 anni. I loro numeri erano in calo rispetto al 2006. Le over 65 risultavano essere il 40,9% di tutte le casalinghe e il 63,8% delle donne che svolgono questo lavoro vivevano al centro-sud.

La licenza media era il titolo di studio posseduto dal 74,5% di queste donne, mentre il 42,1% viveva con un’altra persona, marito, fidanzato o partner, e con i figli. Oltre la metà non ha mai svolto in vita sua un’attività lavorativa retribuita.

700mila casalinghe erano in condizioni di povertà assoluta. E non fruivano la cultura: il 27,3% era andata al cinema almeno una volta all’anno, il 30% aveva letto almeno un libro, il 15% aveva visitato un museo. L’Istat cerca di spiegare anche perché queste donne non cercano un lavoro.

Il motivo principale per cui le giovani casalinghe di 15-34 anni non cercano lavoro è di natura familiare nel 73% dei casi (61,2% per le casalinghe di 35-44 anni). Il carico di lavoro domestico per queste donne è elevato. 600 mila casalinghe sono però scoraggiate perché pur avendo cercato lavoro non l’hanno trovato (il 10,8% sul totale delle casalinghe di 15-64 anni) e pensano di non poterci riuscire.

Gli stereotipi dalla “casalinga di Voghera” a oggi

Casalinghe italiane
Fonte: La donna perfetta

Abbiamo sentito tutti, almeno una volta, l’espressione «casalinga di Voghera». Solitamente si fa risalire quest’espressione come riferimento alle lettrici della scrittrice Carolina Invernizio. Questa scriveva romanzi rosa adatti alle masse e spesso veniva appellata casalinga di Voghera.

In realtà l’espressione è attribuita ad Alberto Arbasino, che, facendo riferimento alle sue zie di Voghera, ridente cittadina del Pavese, voleva indicare delle donne umili, comuni, che probabilmente non avevano avuto la possibilità o l’ambizione di studiare.

Dagli anni ’80 in poi, alcuni comici che oggi riterremmo politicamente scorretti, aggiunsero l’attributo «inquieta» a «casalinga di Voghera» per indicare una donna dai facili costumi, dalla doppia vita, una che tradiva il marito con partner occasionali, con tutto lo stigma che seguiva quest’espressione.

Perché le casalinghe, da sempre, sono oggetto di stereotipi. Da un lato c’è chi le glorifica, affermando con un certo paternalismo, che svolgono il lavoro più importante del mondo, forse l’unico davvero adatto a una donna (stereotipo che in Italia affonda le sue radici nel periodo fascista). Dall’altro lato c’è chi le dipinge come donne senza ambizioni, come se essere una casalinga non potesse essere in nessun caso una scelta di nessuna donna.

Casalinghe italiane: diritti e agevolazioni

Casalinghe italiane
Fonte: La signora ammazzatutti

Tra i diritti delle casalinghe italiane c’è il Fondo casalinghe dell’Inps, che permette a queste donne di ricevere una pensione basata sulla contribuzione individuale. È stata istituita nel 1997 e riguarda persone (uomini o donne) che svolgono in famiglia un lavoro non retribuito, non sono titolari di pensione diretta, non prestano attività lavorativa con l’eccezione di qualche part-time.

Di tanto in tanto, le leggi di bilancio stanziano dei fondi per dei bonus una tantum all’anno per le casalinghe, ma, nonostante un dibattito che ogni tanto riemerge, non c’è ancora una tutela per l’attribuzione di uno stipendio mensile – con l’eccezione di quelle fasce di popolazione che potrebbero rientrare nel diritto al reddito di cittadinanza.

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