Il 20 luglio 1969 è la data di uno degli eventi più importanti della storia recente: per la prima volta l’uomo mette piede sulla Luna. Questo onore toccò all’astronauta Neil Armstrong, lasciando impressa nella popolazione mondiale un’immagine indelebile. Intorno a questa vicenda è stata costruita una narrazione eroica dei tre protagonisti maschili della missione: Armstrong, per l’appunto, Buzz Aldrin e Micheal Collins.

Risultati del genere, però, non si riscuotono mai solo con l’impegno del singolo. Furono, infatti, più di 400 mila le persone che lavorarono all’impresa e tra di loro c’erano anche delle donne. Donne che, però, oltre ad aver dovuto affrontare molteplici difficoltà per provare a fare carriera, sono state anche rimosse da questa pagina di storia.

Jerrie Crobb e le ragazze del Mercury 13

Nel 1958, più di dieci anni prima dell’allunaggio, un medico consulente per la NASA, William Lovelace, sottopose 13 donne al test che solitamente affrontavano gli astronauti e lo superarono. Secondo Lovelace, le corporatura femminile sarebbe stata più adeguata alle capsule e il loro apparato cardio-circolatorio più adatto allo stress dello spazio. Queste donne, però, non divennero mai astronauti, perché mai autorizzate dalla NASA. Secondo le regole dell’epoca dell’ente, infatti, solo i piloti militari con laurea in ingegneria potevano diventare astronauti e alle donne non era concesso l’accesso alle accademie militari.

Una delle 13, Jerrie Cobb, denunciò l’accaduto al presidente John F. Kennedy e il Congresso istituì una commissione che si occupasse di stabilire se si era trattato di una decisione discriminatoria oppure no. Il responso finale fu che le 13 donne non erano militari. Non si trattava di una discriminazione, ma di merito.

Questo episodio, che ha reso ancora più tortuoso il cammino delle donne in questo campo, è raccontato da Valeria Palumbo nel suo libro L’epopea delle lunatiche, edito da Hoepli editore nel 2018.

Figure nascoste: Katherine Johnson

Nel 2016 esce al cinema il film Il diritto di contare (Hidden Figures). Protagonista della pellicola è Katherine Johnson, insieme alle sue colleghe Dorothy Johnson Vaughan e Mary Jackson. Tre donne afroamericane che lavoravano come calcolatrici al Langley Research Center di Hampton.

Nonostante dovette sfidare razzismo e sessismo durante tutta la sua carriera, il lavoro di Johnson fu molto apprezzato e si rivelò indispensabile per la NASA. Il suo calcolo delle traiettorie orbitali fu di cruciale importanza per il programma Apollo e quando nel nel 1962 si iniziarono a adoperare i primi calcolatori elettronici, le fu richiesto di verificarli a mano perché gli astronauti si fidavano solo del suo lavoro.

Frances “Poppy” Northcutt

Matematica originaria del Texas, Frances Northcutt fece parte del programma Gemini e successivamente collaborò all’allunaggio di Apollo 11 e all’impresa per riportare a casa Apollo 13 nel 1970. Quando iniziò a lavorare per la NASA il suo ruolo era quello di ‘computress‘, termine che, dichiarerà poi in seguito lei stessa, la sconvolse perché la descriveva come un computer di sesso femminile. Sui suoi anni di lavoro alla NASA in un gruppo di soli uomini, invece, dirà:

Sentivo di essere costantemente osservata. Dovevo fare bene o gli altri l’avrebbero notato. Un giorno scoprii di avere un telecamera puntata solo di me. Ma tutto sommato ero riuscita a farmi rispettare. I miei colleghi sapevano che la parte del ritorno sulla Terra era la più critica del programma. Avevano bisogno di qualcuno che fosse preparatissimo.

In suo onore uno dei crateri sulla Luna è stato rinominato Poppy.

 Margaret Hamilton

Tra tutte e tutti la vera responsabile dell’atterraggio sulla Luna di Apollo 11 fu proprio Margaret Hamilton. Vero prodigio della matematica, dopo un periodo come insegnante, ottenne il ruolo di direttrice del Software Engineering Division del MIT. Fu lei con il suo team a scrivere e a sviluppare il codice di bordo del modulo di comando di Apollo 11 e fu una sua intuizione a salvare l’impresa.

Pochi minuti prima dell’atterraggio, infatti, si azionarono una serie di allarmi per via di un sovraccarico dei computer di bordo. Hamilton, però, aveva messo a punto un programma che in caso di emergenza avrebbe potuto impedire il sovraccarico, dando priorità alle manovre fondamentali.

Ci piaceva cercare sempre nuove idee e soluzioni ai problemi che si presentavano ogni giorno. La programmazione era ancora un mistero per i piani alti, così avevamo libertà e fiducia assoluta. Eravamo le persone più fortunate del mondo: non avevamo altra scelta che essere pionieri.

Susan Finley

Le parole «Questo è un piccolo passo per l’uomo, ma un grande balzo per l’umanità», pronunciate da Neil Armstrong sul terreno lunare, sono passate alla storia. Tutti gli abitanti del globo furono in grado di sentirle grazie al lavoro di numerosi scienziati, tra cui Susan Finley. Impiegata presso il Deep Space Network della NASA, lavorò al software che permise di recepire il segnale della comunicazione dalla Luna.

Ormai ottantaquattrenne, Finley non ha alcuna intenzione di ritirarsi e continua a prestare servizio alla NASA. Ha collaborato a diversi programmi, tra cui Juno, la missione su Giove, riuscendo a captare, con un software da lei stessa sviluppato, i segnali della sonda intorno al pianeta non udibili dall’orecchio umano.

Questi sono solo alcuni nomi delle numerosissime figure femminili che hanno reso possibile, a piccoli passi, uno degli eventi più significativi per l’umanità tutta. Sono state delle vere pioniere per la scienza e per il lavoro femminile in un campo in cui, ancora oggi, le donne faticano a imporsi.

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