Le vite e le storie delle persone trans* vengono spesso raccontate dai media in modo errato, stereotipato e a prova di click-baiting. Ti sei mai chiesto/a perché?

Se ci guardiamo intorno e iniziamo a consultare la rappresentazione che viene fatta delle persone transgender nei media (e non solo!) possiamo facilmente renderci conto che, oltre a essere davvero scarsa, tutte le storie che ci vengono raccontate si basano sulla sofferenza, sul dolore invalidante e sull’infelicità.

Le persone trans* vengono quindi raccontate sempre secondo il solito copione precostituito, fatto di stereotipi e pregiudizi che nulla hanno a che vedere con la vita quotidiana e le esperienze T.

La rappresentanza del mondo trans* è fatta quasi solo esclusivamente di storie di sofferenza, disagio profondo e malessere da cui le persone trans* difficilmente riescono a uscirne e ad avere una vita normale e tranquilla.

Nonostante la vita di una persona trans* non sia tutta in discesa e un eventuale percorso gender affirming porta con sé ostacoli, difficoltà e dolori, l’esperienza trans* non può essere ridotta solo a questo, perché significherebbe in primo luogo strumentalizzarla e poi stereotiparla.

Ci sono tante storie di felicità e libertà.

La realtà sulla quotidianità e sulle vite delle persone trans* è molto lontana dalla storiella strappalacrime che ci viene spesso raccontata. Tra le tante testimonianze possiamo trovare un’enorme quantità di persone trans* pienamente soddisfatte della loro vita, del loro percorso gender affirming e che non sono per nulla infelici o insoddisfatte.

La retorica del dolore ci porta sotto gli occhi una realtà distorta, in cui le persone trans* sembrano vivere una condizione drammatica, disastrosa e dalla quale non hanno via di scampo. Spesso, purtroppo, il fine di queste storie e senso unico è quello di provocare compassione nel lettore per aumentare le vendite o le views ( nella migliore delle ipotesi) o di generare una insensata paura o timore verso le persone trans* o il percorso gender affirming.

Cosa comporta questa narrativa a senso unico

Parlare dell’esperienza trans* a senso unico può portare a svariate problematica spinose che ricadono sia a su chi non fa parte della comunità T sia su chi invece ne fa parte.

Parlare del percorso e della vita di una persona trans* focalizzandosi solo sul dolore e sulle problematiche che questa deve affrontare crea, in primo luogo, una grande disinformazione. Le persone che non sono informate sul mondo trans* e che non hanno gli strumenti adatti per analizzare e criticare le notizie in merito, si faranno un’idea delle persone transgender totalmente errata e stereotipata, la quale potrebbe poi sfociare in atti di violenza e transfobia.

Questa narrazione tossica è dannosa inoltre per i giovani e le giovani transgender che stanno cercando qualcuno che li rappresenti e le rappresenti o che hanno bisogno di notizie sul percorso e il mondo T. Storie intrise di dolore, sofferenza e impossibilità di realizzarsi e essere felici spingono molte persone trans* a non fare mai coming out, a farlo in tarda età o a non iniziare mai un percorso gender affirming.

Le nostre storie non trovano spazio

Migliaia di storie di vita quotidiana di ragazzi e ragazze trans* non trovano spazio nella narrativa dei media e non vengono ascoltate. Questo significa che i giornali (e non solo) parlano tanto di mondo e persone trans* ma che nella maggior parte dei casi non vengono davvero interpellate.

Perché, però, i media accettano solo una narrativa del dolore per quanto riguarda la vita delle persone trans*?

Il lettore, leggendo di quanto sia sgradevole, sofferente e disastrosa la vita di una persona transgender si sente fortunato e rassicurato dal non doverla vivere. Queste storie di dolore sulla vita delle persone trans* non fanno che rafforzare lo stereotipo per il quale essere cisgender è la norma, come un default necessario per poter vivere serenamente ed essere realizzati nella vita.

La sofferenza non va nascosta

Sono dell’idea che la sofferenza non vada nascosta e che bisogna parlare del proprio dolore. Ogni persona (che sia trans o cis) ha il diritto di raccontare le proprie incertezze, gli ostacoli incontrati durante il cammino e i momenti drammatici.
Basare però l’intera vita e l’intera esistenza delle persone trans* solo sulla sofferenza è discriminante, escludente e anche molto limitante.

Le persone trans* dovrebbero avere lo spazio e le opportunità per raccontarsi in prima persona, per poter contrastare questa narrativa a senso unico del dolore e del dramma e creare una rappresentanza nuova, più genuina e più vera, che possa dare l’opportunità a chi non ne sa niente di informarsi al meglio, e a chi ha bisogno di conforto di non sentirsi abbandonato.

Se le storie raccontate fino a oggi dai media sulle persone trans* vi hanno fatto credere che essere una persona cisgender sia una fortuna o la normalità, forse quelle narrazioni erano tossiche e bisogna prenderne le distanze.

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