Tra le annose domande che ci perseguitano dalla notte dei tempi, ce n’è una in particolare che ha segnato la storia di molte persone e che ancora continua a segnarla. Una domanda che porta con sé anni di violenza, discriminazioni e tanta, tanta, ma proprio tanta frustrazione. Fin dalla nostra giovane età apprendiamo dell’esistenza di questa figura ed è buona norma che tutte le persone socializzate come maschi la desiderino e che tutte le persone socializzare come femmine anelino a diventare così.

Di cosa sto parlando? Della famosissima “vera donna”, la bugia più grande della storia che ha fatto sì che di generazione in generazione ci si chiedesse “ma com’è la vera donna?”.

Prima di continuare vorrei che fosse chiara la mia posizione in merito : la storia della “vera donna” è una fregnaccia, come Babbo Natale, la fatina dei denti e il fatto che l’Italia non sia un Paese razzista.

Ci viene insegnato che per essere una “vera donna ” bisogna dire certe cose, farne delle altre e soprattutto non dire e non farne un’infinità, ma tutto questo non ha a che fare solo con il carattere, ma anche con l’aspetto fisico.

Ci viene insegnato tutto questo per mettere le donne una contro l’altra, promettendo loro che se faranno le brave riceveranno quel titolo, con tanto di coccarda che puzza di patriarcato e ci viene insegnato perché in questo modo è più semplice plasmare desideri e aspirazioni, ma anche per dirci che, sempre se faremo le brave, potremo sedere con loro al tavolo.

È così che il mondo lentamente si è plasmato, tra un “le vere donne hanno le curve, le ossa diamole ai cani” un “le vere donne sanno quando tacere” un “le vere donne hanno dignità” e molti slogan creati ad hoc per farci cullare nell’ideale che quella vera donna esista davvero e per dire a chi non rientra in quelle caratteristiche “se tu non sei così non meriti rispetto”.

Ma cosa succede se questo pensiero si fa strada, viscido e deciso, all’interno di gruppi che parlano di uguaglianza, di diritti e di oppressione? Nascono le TERF ( trans-exclusionary radical feminist) un gruppo di donne, femministe e radicali, che la lotta intersezionale non sanno proprio cosa voglia dire.

Loro, le TERF, che tanto combattono contro il patriarcato (giustamente) hanno assorbito tutto questo discorso della vera donna e lo hanno fatto loro, diventando così discriminatorie nei confronti di tutte le donne non cisgender, sono talmente arrabbiate con la figura maschile da non distinguere identità di genere, espressione di genere e sesso assegnato alla nascita.

Per loro una vera donna, e quindi una donna accettata nel LORO femminismo, deve necessariamente essere nata con la vagina, non importa che tecnicamente loro si stiano battendo proprio per combattere delle discriminazioni di genere, perché per loro i generi sono solo due, è un gioco “maschi contro femmine”, un dibattito a due in cui le persone trans non possono interferire, noi che ai loro occhi siamo come Balto: “non è un cane, non è un lupo, sa soltanto quello che non è”.

Qualche settimana fa mi è capitato di leggere un’intervista su una rivista, un’intervista a una persona non binary ed ho subito pensato “beh wow finalmente” poi l’ho letta e il mio entusiasmo è scemato, fino a diventare delusione, frustrazione e infine rabbia.

L’articolo, che nella sua totalità tocca dei picchi di problematicità notevoli, si conclude con una dichiarazione che vi farà capire bene quanto il concetto di “vera donna” serpeggi fra le menti, pronto a mutare forma all’occorrenza e inarrestabile non infetti solo le donne, le femministe, le attiviste, trasformandole in terf, ma infetta anche chi con un coming out pubblico, su una rivista, sta parlando della propria identità di genere, infetta anche chi essendo non binary e quindi trans (perché ricordiamo che sono trans tutte le persone non cisgender e quindi anche le persone non binary) .

La dichiarazione con cui si conclude l’articolo è “geneticamente sono donna e questo non cambierà mai” .

Io ho rabbrividito e mi sono chiesta “ma se questa persona è GENETICAMENTE DONNA, io sono FARMACOLOGICAMENTE DONNA?” .

In quel momento mi sono state chiare diverse cose, mi è stato chiaro che alla giornalista interessava solo fare click baiting e non parlare di una comunità per creare coscienza, mi è  stato chiaro che non basta appartenere a una comunità  per poterne parlare, spesso non si hanno gli strumenti, mi è stato chiaro come il concetto di cosa sia una “vera donna” ormai sia assorbito, perché fin da subito veniamo immersə in questa cultura e che spesso sia difficile decostruire un pensiero così  radicato.

È qui che le discriminazioni si fanno presenti anche all’interno della comunità, anche all’interno di gruppi che le discriminazioni dovrebbero volerle abbattere, è qui che si consumano le vite di chi sente di non non poter appartenere, non poter essere, qui, all’ombra del grande monumento eretto a un ideale tossico.

È necessario decostruire questo pensiero, decostruirlo costantemente, anche nelle piccole cose, nei gesti e nei pensieri, decostrurlo affinché sia più facile, per noi e per le altre donne, sentirsi donne, senza la validazione di nessunə, sentirsi donne così come si è, sentirsi donne perché si è donne, vere donne, tutte.

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