In pochi ricordano il suo nome, ma c’è stato un momento in cui Natacha Rambova era la donna più detestata del cinema americano. Tutta colpa del suo matrimonio con Rodolfo Valentino, il primo sex symbol maschile del Grande Schermo, di cui era diventata la seconda moglie.

Come racconta un vecchio articolo del New York Times, le fan del celebre divo boicottarono i film in cui lei lavorava come attrice, costumista o scenografa. Gli stessi produttori hollywoodiani le vietarono di fare visita al marito sui set: non sopportavano l’idea che gli consigliasse quali film scegliere, come vestirsi o presentarsi in pubblico.

Valentino era un prodotto commerciale perfetto, un fenomeno di costume che fruttava fior di dollari, e Natacha Rambova lo stava trasformando in un uomo raffinato e sofisticato. Dove era finito l’esotico sceicco dagli “occhi neri e ineluttabili”, il torero di Sangue e arena, il latin lover italiano?

Chi era Natacha Rambova

Ancor prima dell’incontro con Rodolfo Valentino nel 1921 e dopo la morte del divo nel 1926, la vita di Natacha Rambova sembra la sceneggiatura di un film. Bella, ricca, talentuosa e intelligente, seppe reinventarsi ogni volta, persino nel momento in cui tutti la odiavano.

Il suo vero nome era Winifred Kimball Shaughnessy ed era nata nel 1897 a Salt Lake City, Utah. Entrambi i genitori appartenevano a famiglie benestanti, ma l’apparente tranquillità economica fu presto funestata dalla passione del padre per l’alcol e il gioco.

Privata dei suoi gioielli di famiglia, venduti per ripagare i debiti del marito, la madre chiese la separazione e la portò a vivere a San Francisco, dove si risposò due volte. La nuova vita di agi, possibile grazie al nuovo patrigno e magnate dei profumi Richard Hudnut, prevedeva vacanze in Francia e studi in un esclusivo college in Inghilterra, dove Winifred fu spedita per placare il suo carattere ribelle.

A Parigi vide Anna Pavlova ballare e decise di diventare una danzatrice: con un nuovo nome d’arte d’ispirazione russa, Natacha Rambova, a 17 anni decise quindi di intraprendere una carriera professionale a New York con il coreografo russo Theodore Kosloff, di cui divenne amante, scatenando l’ira della madre.

La scoperta del cinema

Quando il regista Cecil B. DeMille chiese a Kosloff di lavorare per lui come scenografo nelle sue produzioni cinematografiche, la coppia lasciò New York per Hollywood. Quello che nessuno ancora sapeva era che costumi e scenografie erano opera di Natacha.

La prima ad accorgersene fu l’attrice e produttrice Alla Nazimova: nel 1919 chiese a Kosloff di modificare uno schizzo già pronto, durante una riunione, ma notò che lui non era in grado di farlo. Decise quindi di assumere la giovane al suo posto, offrendole un ruolo ben pagato come costumista.

Mentre la sua vita sentimentale franava miseramente, tra tradimenti e drammi vari (lui arrivò persino a spararle alla gamba con un fucile da caccia), Natacha Rambova vedeva la sua carriera decollare. E c’era un nuovo amore celebre già all’orizzonte…

La storia con Rodolfo Valentino

“La fama è come una gigantesca radiografia. Una volta che sei esposto ai raggi, i battiti del tuo cuore vengono mostrati a tutto il mondo”, raccontò Natacha Rambova in un’intervista a Photoplay del 1922, riportata in un bell’articolo di Medium.

Solo un anno prima aveva conosciuto Rodolfo Valentino sul set de La signora delle camelie, per cui lei aveva creato magnifici costumi in stile Art Nouveau. Si innamorarono subito, ma lui era già sposato (infelicemente) con la collega June Aker.

Quando il divorzio dalla moglie fu finalmente finalizzato, Rodolfo e Natacha attraversarono il confine e si sposarono il 13 maggio 1922 a Mexicali, in Messico. L’ex moglie fece però causa perché voleva continuare a essere legalmente la Signora Valentino: attirò l’attenzione delle autorità, che si accorsero di un cavillo non da poco.

Lui non aveva aspettato un anno intero dopo il suo divorzio per risposarsi, come richiesto dalla legge della California all’epoca. Fu così che l’attore più famoso del mondo fu arrestato, accusato di bigamia e mandato in prigione. Ne uscì quasi subito grazie alla cauzione pagata da alcuni amici, ma potè risposare Natacha solo nel 1923.

Per alcuni anni lei si occupò solo della carriera del marito, progettando e supervisionando la realizzazione dei suoi costumi. Fu lei a creare gli accurati abiti da aristocratico per il debutto di Valentino con la Paramount Pictures in Monsieur Beaucaire nel 1924, grande successo di critica e apice artistico per l’attore.

Purtroppo il pubblico e i produttori non gradirono quella che secondo loro rappresentava un’invasione di campo. Il raffinato gusto estetico di Natacha Rambova aveva trasformato la star del cinema muto in un uomo moderno, meno macho: il Chicago Tribune arrivò addirittura a scrivere che la nuova immagine “incipriata” minava le basi della sessualità maschile.

L’addio e un nuovo amore

Quando Valentino firmò con la United Artists, il suo contratto vietò espressamente a Rambova di essere sul set con suo marito. La crescente tensione lavorativa e personale tra i due culminò nel 1926, anno del loro divorzio e della morte dell’attore.

Natacha decise di abbandonare lo spettacolo e si avvicinò al mondo esoterico grazie alle séance di Helena Petrovna Blavatsky, la sensitiva più famosa degli anni Venti, che aveva cavalcato la nuova ondata di occultismo. Richiestissima nei salotti dell’alta società, la medium si intratteneva con intellettuali e scrittori: negli stessi anni persino il poeta T.S. Eliot si era ispirato a lei per lo spietato ritratto di Madame Sosostris nella sua Waste Land.

Dagli spiriti di Madame Blavatsky al simbolismo, Natacha Rampova restò folgorata dall’egittologia, che divenne la sua principale occupazione per il resto della sua vita. Iniziò a trascorrere sempre più tempo all’estero e nel 1933 sposò il conte spagnolo Álvaro de Urzáiz.

Dopo la prima visita in Egitto, nel 1936, gli studi e le spedizioni archeologiche si intensificarono, facendola diventare nuovamente una piccola celebrità. Ancora una volta sola, dopo il secondo divorzio, fino agli anni Cinquanta non ebbe occhi che per i suoi traguardi accademici.

Quando iniziò a soffrire di sclerodermia, la sua salute fisica e mentale precipitò, tra malnutrizione e psicosi. Fu quindi portata in una casa di cura in California, dove morì di infarto il 5 giugno 1966, a 69 anni, lasciando un manoscritto incompiuto di mille pagine e una lunga scia di miti e leggende sulla sua intensa vita.

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