C’è un filo sottile e tenace che unisce le donne in Sardegna. Citando la grande Maria Lai, che ha trasformato in arte la secolare tradizione della tessitura sarda, “le cose unite restano integralmente quelle che erano, solo attraversate da un filo”. E un sottile filo di seta è quello che tratteggia anche la vita straordinaria di Francesca Sanna Sulis.

Vissuta nel Settecento, in un’epoca e in un contesto sociale che non lasciava grande spazio per l’intraprendenza delle donne, fu una pioniera del settore tessile. La sua storia è stata raccontata anche in un episodio di Morgana, il podcast di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri.

“Qui visse donna Francesca Sanna Sulis – imprenditrice – stilista – educatrice”, si legge sulla targa a lei dedicata nella casa di Cagliari dove visse a lungo. Educatrice, sì, perché la nobildonna offrì lavoro e formazione a centinaia di giovani donne sarde: e tutto aveva avuto inizio da un baco da seta.

La storia di Francesca Sanna Sulis

Poco si sa dell’infanzia di Francesca Sanna Sulis. Nata nel 1716 a Muravera, vicino a Cagliari, restò presto orfana di madre: di famiglia nobile, ricevette un’educazione che aveva come unico scopo quello di accompagnarla verso l’età idonea per diventare moglie e madre.

Francesca mostrò fin da piccola una naturale inclinazione per il cucito, che la portò a disegnare abiti dal taglio innovativo per il suo tempo. E indossava un modello da lei creato, in sgargiante seta azzurra, anche durante l’incontro con il futuro marito Pietro Sanna Lecca, che sposò nel 1735.

Sembrava incamminata verso una vita come tante altre, con sette gravidanze e solo tre figli giunti all’età adulta, ma la passione per gli abiti non l’abbandonava. Alla morte del padre, si ritrovò a gestire il patrimonio di famiglia e fu in quel momento che si rivelò una straordinaria imprenditrice.

L’impresa della vita

Facendosi assistere da amiche d’infanzia, semplici contadini e maestranze piemontesi (la Sardegna era ancora sabauda a quel tempo), Francesca Sanna Sulis partì da una piantagione di gelso, necessaria per la bachicultura. Organizzò tutto nei minimi particolari, trasformando i magazzini della tenuta di Quartucciu in laboratori per produrre l’amata seta.

Una volta creata una filiera completa, dal baco alla tessitura, si occupò personalmente della formazione delle giovani. Chi lavorava da lei riceveva un’istruzione completa e gratuita (lezioni di botanica comprese): era anche questo che rendeva i suoi filati qualcosa di completamente diverso dal passato.

In più, quando una delle sue filatrici si sposava, come dono di nozze riceveva proprio un telaio. Completavano l’opera le sue idee creative nella realizzazione degli abiti su misura, ambiti da tutte le donne d’Europa.

Il primo a intuire un’opportunità e a puntare su di lei fu il conte milanese Giorgio Giulini, che riuscì a ottenere l’esclusiva per le sue creazioni, facendole arrivare persino all’imperatrice Caterina la Grande. Dovette affittare diverse navi per far consegnare tutto e inviare gli abiti e i tessuti nelle varie boutique create grazie all’aiuto di Giulini.

Rimasta vedova nel 1780, proseguì sola e senza timori la sua fiorente attività di imprenditrice tessile. Qualche anno dopo fece testamento: dopo aver destinato qualcosa ai pochi parenti che le erano rimasti, lasciò tutto ai poveri di Muravera e di Quartucciu.

In primo luogo ordino e comando che si dia sepoltura al mio cadavere nel modo più semplice e senza pompa alcuna, una volta che io muoia nel paese di Quartucciu. […]. I beni del Sarrabus, terre […] (e vigne e giardini e case), è mia espressa volontà, si divida tra quei poveri di detta Villa di Muravera i più necessitati preferendo quelli di migliore estrazione e di buoni costumi.

Dopo la sua morte, nel 1810, chi prese il suo posto fu meno lungimirante: le piantagioni di gelsi vennero subito sostituite da alberi da frutto e quel filo prezioso venne strappato per sempre.

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