Spesso ci troviamo a dover amaramente constatare quanto i giudizi più taglienti e caustici verso il comportamento delle donne arrivino proprio da altre donne.

Complice l’impronta ancora ben presente del maschilismo nella nostra cultura, delle donne si critica il modo di vestire, l’approccio al sesso, e soprattutto la libertà sessuale che pare scontata invece per gli uomini, e si arriva persino a non riconoscerne appieno il ruolo di vittima nei casi di violenza, si parli di abusi domestici o di stupri, volendone per forza “scovare” una qualche corresponsabilità.

Ma davvero la solidarietà femminile è morta? In realtà no, la sorellanza, così come è stata definita dalla scrittrice Kate Millet, esiste ancora, anche se sembra esserci più interesse a vedere le donne in guerra fra loro piuttosto che complici e amiche.

Cos’è la sorellanza?

Il concetto di sisterhood, sorellanza appunto, nasce come detto negli anni ’70 per mano di Kate Millet, esponente di spicco del movimento femminista; l’idea alla base è molto semplice, ed è quella di un’unione ideale tra donne al di là delle differenze razziali, religiose, o di classe sociale.

Più avanti l’antropologa Marcela Lagarde amplierà il termine in riferimento all’amicizia e alla complicità tra donne, sentimenti e valori che si instaurerebbero, ad esempio, in un rapporto tra vere sorelle.

Sorellanza come rapporto tra sorelle

Secondo la sociologa inglese Melanie L. Mauthner, autrice del saggio Sistering. Power and change in female relationships, le donne che hanno sorelle vivono con maggiore serenità ed equilibrio la dicotomia fra la spinta ad amare e a prendersi cura degli altri e il desiderio di tutelare la propria persona. Vivrebbero infatti la duplicità come un dato di fatto, e non come fonte di sensi di colpa e di crucci.

Tutto nasce dal fatto che le sorelle si identificano l’una con l’altra più di quanto non facciano due fratelli maschi o un maschio e una femmina.

Spiega nel saggio The sister knot la psicologa britannica Terri Apter. L’imitazione dell’altra, nelle sorelle, può essere in effetti molto forte, rispetto ai fratelli. Più avanti, poi, una sorella può provare vergogna o imbarazzo per la condotta dell’altra, e in generale le sorelle sono propense a confrontarsi tra loro, misurando il proprio valore in relazione a quello dell’altra. Proprio l’identificazione, spiega Apter, sarebbe la spinta che porta ad amare e accudire.

Ma spesso fra sorelle possono nascere anche gelosie e invidie, anche durante l’infanzia, tanto che una delle due potrebbe arrivare a pensare “Vorrei che lei non esistesse, ma mi vergogno per questo pensiero e ho paura di arrivare a farle del male

La gelosia, però, secondo la psicoterapeuta Jeanne Safer, psicoterapeuta autrice del saggio Cain’s Legacy, non è da considerarsi né imbarazzante né un peccato mortale, quanto un’emozione che trova un corrispettivo nella gelosia dell’altra. Per superarla, oltre alla maturità, occorre pensare alla sorella come a un individuo, riuscendo a pensare alle sue qualità e difetti in maniera obiettiva, quindi provando a mettersi nei suoi panni per vedere come lei, dal canto suo, possa vedere noi.

Nonostante tutto, Apter è convinta che l’istinto di protezione, da parte della sorella che si colloca in posizione di superiorità, sarà sempre presente.

Sorellanza e femminismo: il rapporto tra donne

sorellanza

Pur essendo uno degli argomenti “forti” del femminismo, la sorellanza non mira a creare un sistema politica basato sull’esclusione di genere, o sulla sottomissione di uno all’altro. Insomma, non si accompagna alla ginarchia.

A far da motore per la sorellanza è l’idea, piuttosto, di costruire una rete al femminile che possa creare uno spazio protetto che dia alle donne l’opportunità di esprimersi liberamente, condividendo le proprie esperienze e conoscenze, ma anche un modo per prevenire violenze e abusi, specialmente in ambito domestico.

La sorellanza intende abbattere i dettami e gli stigma sociali tipici del patriarcato, senza stabilire un’egemonia, ma solo permettendo alle donne di trovare nelle altre non giudizi e biasimo, ma comprensione e solidarietà. L’idea alla base è simile all’impostazione delle società matriarcali di un tempo, dove la cooperazione tra le donne e gli uomini poteva rispondere davvero alle necessità della comunità.

È chiaro che, finché si punterà a dividere le donne, mettendole le une contro le altre su questioni di ordine morale, estetico, religioso, il sessimo continuerà a serpeggiare indisturbato nella società. Per questo si può affermare, senza esagerazioni, che la rivalità femminile in fondo “faccia comodo” a una certa frangia che non intende rinunciare ai propri privilegi maschilisti. Ma in pochi pensano che la competizione, le gelosie e le critiche fra donne, dopo tutto, ledono la società nel suo complesso.

Finché si continuerà a pensare che una donna stuprata “se l’è cercata”, per il suo modo di vestire o di atteggiarsi, a farne le spese non sarà solo la vittima della violenza, ma tutti noi, e soprattutto il nostro senso di umanità e civiltà.

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