Sorride, invece di piangere.
È in salute, dice persino che l’hanno trattata bene.
Non mostra segni di violenza sul suo corpo: non ce ne sono stati.

È rientrata in Italia da donna libera, ma liberamente ha scelto di cambiare il suo nome italiano – Silvia – in uno che non riconosciamo come tale – Aisha.
Ha persino osato abbracciare la religione dei suoi carcerieri: quella degli infedeli, dicono quelli che non credono nel valore dell’essere umano, ma nelle fake news spesso.

Appena Silvia Romano poggia i piedi sul suolo italico qualcuno dice “È incinta”, altri “Si è sposata con uno dei suoi rapitori”, in molti conoscono perfettamente le cifre del riscatto e dettagli che manco all’intelligence sanno ancora.

Ma soprattutto in tanti – compresi giornali, politici e nati imparati vari con un certo seguito eh, mica solo il signor Tizio e la signora Caia – hanno deciso:

Silvia Romano non meritava di essere salvata.

Non con i nostri soldi.
Non dopo che, dicono, “se l’è andata a cercare”.
Non ora che ha detto di essersi convertita alla religione islamica senza costrizione, ma per libera scelta, nascondendo sotto abiti tipici le cosce e il décolleté che le avevamo visto spuntare da minigonne e canotte nelle foto pre rapimento.

“Da cosa l’abbiamo liberata? Non sembra una che se l’è passata male”.

Chiede qualcuno che deve avere un senso molto limitato del concetto politico, sociale e personale di libertà, se tocca spiegargli che essere liberi non significa avere da mangiare e non essere vittima di violenza fisica o sessuale.

“Da cosa l’abbiamo liberata, se lei stessa ha scelto la religione che umilia le donne?”. 

Chiede qualcun altro, cui toccherebbe rileggere alcuni passaggi della Bibbia per ricordarsi che gran festona è stata (e ancora è) essere donna se stai lì a vedere cosa dice la religione ritenuta “giusta”.

Niente da fare, non serve argomentare. Non li convinceresti:
Silvia Romano non meritava di essere salvata

O meglio.
Ammessa la possibilità di liberare Silvia – con i se e i ma dei soldi nostri e del “se l’è andata a cercare” di cui sopra -, per molti Aisha la liberazione proprio non se la merita!

L’articolo 13 della Costituzione Italiana recita:

La libertà personale è inviolabile.

Ma qualcuno aggiunge le sue condizioni.
Se non fosse che i diritti non sono qualcosa che si ottiene per merito – ed è meglio così per tutti, fidatevi! – e Aisha Romano, con il suo sorriso, il suo abito, la sua conversione, non ha infranto nessuna legge per la quale si possa mettere in discussione la sua libertà.

E allora che cosa non riusciamo a perdonarle, se non ha nulla per cui chiedere scusa?

Forse dovrebbe chiedere perdono perché non ci ha dato lo spettacolo pietoso di una violenza subita?
Sarebbe stato utile, è indubbio, per legittimare l’odio per l’altro su cui si basano intere campagne politiche.
Sarebbe servito a scrivere pagine su una cultura che non conosciamo e che fa di loro i cattivi e di noi quelli buoni. Tutti, indistintamente.

Perché non ci è riuscito di gioire e basta del sorriso di Aisha Romano, della sua liberazione, del suo aver trascorso sì 18 mesi drammatici in prigionia, ma senza aver subito gli abusi che in molti temevano?

Perché ci sembra assurdo non subordinare il nostro dovere morale e umano, prima ancora che politico, di salvare vite umane all’adempimento delle nostre condizioni e sindacabili aspettative?

Perché la colpa di Silvia Aisha Romano, in ultima analisi, è questa:

Non essersi adeguata alle nostre aspettative.

Essere libera davvero, insomma. Dalle condizioni dei suoi carcerieri, ma anche dalle nostre.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!