È forse una delle parole più inflazionate con cui molti tendono a definire una donna che, giunta a una certa età, non sia moglie (e madre, di conseguenza); ma il termine “zitella” si usa anche, a titolo chiaramente dispregiativo, per classificare una donna dal carattere non propriamente facile e dalla personalità estremamente forte.

Tanto che vi sarà capitato, almeno una volta nella vita, di sentire qualcuno – indifferentemente di sesso maschile o femminile – rivolgersi a una donna parlando di lei come di “una vecchia zitella acida“, indipendentemente che quest’ultima fosse in una relazione o meno.

Le origini di questo appellativo davvero poco edificante affondano le radici, naturalmente, in quei retaggi maschilisti e patriarcali per cui una donna si poteva definire tale in senso pieno solo nel momento in cui, giunta in quella che un tempo era considerata “l’età da matrimonio”, fosse diventata un bravo angelo del focolare, pronta a occuparsi di casa e figli mentre il marito pensava a guadagnarsi da vivere.

Dato che non era compresa, a livello sociale, l’idea che non tutte le donne aspirassero a maritarsi per diventare solo e soltanto “la moglie di”, spesso rinunciando anche alla propria identità – basti pensare ai Paesi anglosassoni o germanici, dove con il matrimonio la donna ancora oggi “perde” il proprio cognome in favore di quello del coniuge, mantenendolo anche in caso di divorzio – è chiaro che la società si sia dovuta inventare un termine con cui bollare automaticamente chi, per ragioni diverse, non rispettasse le aspettative cui era destinata: zitella, appunto.

Talmente forte e impattante da aver caratterizzato per secoli le donne nubili, spesso accompagnandosi, nell’immaginario collettivo, ad altre caratteristiche non sempre rispondenti a verità: donna brutta (perciò non appetibile per gli uomini) o dal carattere non facile, ad esempio. In ogni caso, la zitella nell’immagine generale è sempre stata la donna rifiutata dagli uomini. Mai che si sia presa sul serio in considerazione che fosse la donna stessa a non volere un uomo nella propria vita.

Perché per le generazioni cresciute nella cultura del “il matrimonio è il giorno più bello nella vita di una donna”, pensare che ci fossero ragazze desiderose di stare da sole – magari perché intenzionate a viaggiare da sole, a scoprire il mondo, a farsi una carriera, o, perché no, perché omosessuali e quindi non interessate al sesso maschile – non era concepibile.

Del resto, su alcuni vocabolari si trova questa definizione:

Donna nubile / donna nubile e non più giovane / vecchia zitella, donna di carattere acido, bisbetico

A dimostrazione di quanto l’immagine stereotipata associata al termine si sia ormai diffusa, diventando un luogo comune. E dire che l’etimologia della parola non ha certo la connotazione negativa che poi le è stata attribuita.

Storia e significato del termine zitella

Le origini del nome zitella sono da ricercarsi nel germanico zitze ma anche nell’anglosassone tite, titte, che significa “mammella” e “fanciulla”. La radice del termine è invece la stessa di zito/a, che per Boccaccio aveva il significato di sposo/a. Infatti il termine potrebbe derivare proprio dal toscano Zita, che, derivante dal termine cita o citta, significa letteralmente “bambina”, “fanciulla”, nonostante le origini persiane le attribuissero il significato di “pura” e “vergine”. Proprio Santa Zita, una devota lucchese venerata appunto come santa, è patrona della città toscana e qui viene festeggiata il 27 aprile.

Proclamata la patrona delle domestiche da Pio XII, è inoltre patrona di casalinghe e fornai. Proprio nella settimana del 27 aprile a Lucca, presso la basilica di San Frediano – dove è conservato il corpo della santa in una teca –  e l’anfiteatro di Lucca si tiene una manifestazione floreale per ricordare il miracolo dei pani trasformati in fiori.

Il significato di zitella, quindi, storicamente è ben diverso dal modo in cui lo usiamo oggi, e solo con l’evoluzione linguistica il termine è andato ad assumere il significato dispregiativo con cui lo conosciamo, che è quello di donna bisbetica, acida e nubile non più giovane.

Zitella fra maschilismo e patriarcato

zitella
Fonte: web

Impossibile non ricollegare l’uso, anche inflazionato, del termine zitella ai retaggi maschilisti e patriarcali che tuttora permeano gran parte del modo di pensare di molti di noi; tanto che non è difficile trovare chi, ancora oggi, guarda alle donne single come “insoddisfatte, infelici, depresse” perché non riescono a trovare un compagno con cui coronare il sogno di una famiglia, o sentire giudizi rispetto a quelle che, magari per la carriera, magari perché semplicemente non votate al ruolo di “compagna di vita”, vengono liquidate come “incapaci di prendersi un impegno serio, represse, frustrate” o “ambiziose”, nel senso dispregiativo del termine, quello che somiglia di più ad arriviste e arrampicatrici sociali.

Tutto questo clamore (ingiustificato) attorno al fatto che una donna non abbia la vocazione di diventare moglie e madre è sostanzialmente il motivo per cui si rendono importanti letture come quelle di Zitelle. Il bello di vivere per conto proprio di Kate Bolick, un vero e proprio compendio esaustivo che elenca tutte le ragioni per cui non è necessario vivere con un uomo per sentirsi complete e realizzate.

Anche se oggi forse il termine “zitella” è finito leggermente in disuso, sostituito da un provvido e ben più politically correct “single”, il senso di ritenere non comprensibile che una donna non sia interessata al matrimonio, alla convivenza – o ad avere dei figli – si ritrova però in tutta quella serie di domande scomode che parenti e conoscenti puntualmente tirano fuori dal cilindro se, raggiunta una certa età, non ci si presenta alle occasioni ufficiali accompagnate da un cavaliere.

Che poi sono quelle che suonano più o meno come:

  • Tutte le tue amiche che hanno la tua età sono sposate
  • E allora? Il fidanzato? (un grande classico soprattutto delle festività natalizie)
  • Ma non ti annoi a stare da sola?
  • E se ti si rompe il lavandino in casa che fai? (chiamo l’idraulico oppure me l’aggiusto da sola, ma chissà perché questa ipotesi non è mai nemmeno sfiorata)
  • Guarda che se non ti dai una mossa poi resti sola!
  • L’orologio biologico… Tic tac, tic tac
  • Ma non ci pensi mai a quando sarai vecchia e sola?
  • Ho un amico da presentarti che secondo me fa al caso tuo
  • Ma non è che ti piacciono le donne?
  • Eppure sei una bella ragazza, non ti manca niente!

Potremmo andare avanti – ahinoi – all’infinito, e invece vorremmo spendere le ultime righe spiegando perché il concetto di zitella è superato ed è giusto che sia così:

  1. Di fronte a donne che si sono – finalmente – guadagnate la propria indipendenza economica e sociale è chiaro che pensare che il “mandare avanti la famiglia” sia prerogativa ad appannaggio esclusivo dell’uomo sia del tutto anacronistico.
  2. Se è assolutamente legittimata la scelta di un uomo di non legarsi e di non avere figli per realizzarsi professionalmente, senza che nessuno si permetta di giudicarlo un mostro o un uomo a metà, non si capisce perché una donna ambiziosa – nel senso positivo del termine, stavolta – non possa godere dello stesso trattamento. Già abbiamo a che fare col gender pay gap, vorremmo almeno liberarci dello stigma di essere considerate “strane” se non sogniamo l’abito bianco da quando siamo bambine.
  3. Non desiderare un rapporto di coppia non significa né che non vogliamo avere una vita sessuale, né che siamo acide o insopportabili: le persone sono in grado di sentirsi pienamente realizzate anche se non condividono le giornate con qualcun altro (uomo o donna che sia).
  4. Chi sceglie di vivere la propria vita senza legami non toglie il diritto ad altre donne di pensarla diversamente, di sposarsi o di avere dei figli. Quindi perché dovrebbe accadere il contrario?

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!