Forse qualcuno di noi avrà sentito più di una volta l’espressione, alcuni l’avranno persino detta riferita a una persona non particolarmente istruita, senza pensare minimamente al risvolto sessista e discriminatorio che essa contiene.

Perché, intendiamoci, dire di una persona che è una “casalinga di Voghera” è tutto, tranne che un complimento.

Ma cosa si nasconde in effetti dietro quella che è un’espressione idiomatica del lessico giornalistico, ormai entrata a far parte anche del linguaggio comune, quello in cui, come detto, non sempre (quasi mai) si pensa ai risvolti sociologici delle proprie parole?

L’origine dell’espressione “casalinga di Voghera”

Partiamo prima di tutto con il comprendere in che contesto nasce l’espressione: nel 1966 il Servizio Opinioni della Rai ha avviato un’inchiesta per accertare quante parole, tra quelle usate nei resoconti di attualità politica, fossero davvero comprensibili dall’italiano medio. Per fare questa analisi, vennero realizzare diverse interviste in molte regioni della penisola, con gli intervistati che dovevano rispondere dando la definizione di parole come “scrutinio”, o “leader”. Il gruppo che, fra quelli del campione preso per l’inchiesta, dimostrò il tasso di comprensione meno elevato fu proprio quello della provincia di Voghera, nel pavese. Da allora, con questo modo di dire si vuole indicare, in maniera altamente stereotipata, la figura di una casalinga della piccola provincia con un basso livello di scolarità e con un’occupazione lavorativa di livello molto semplice o umile.

Lungi, come alcuni hanno tentato di definirla per “salvare le apparenze”, dall’essere un’ode alla figura della massaia angelo del focolare tanto cara ai sistemi sociali patriarcali, nella pratica essere definite “una casalinga di Voghera” ha lo stesso significato di essere definiti ignoranti, analfabeti.

Con tutto il carico discriminatorio del caso: non solo verso la donna, cosa che rende l’espressione sessista, ma verso un ruolo e, in generale, verso un’intera fascia di popolazione, quella della medio-piccola borghesia, banalmente ghettizzata sotto il cliché dello zotico ignorante.

Sono, del resto, alcuni testi a far notare il senso dispregiativo della frase: il Dizionario della memoria collettiva, ad esempio, riferisce l’espressione a chi fruisce passivamente della programmazione televisiva, senza usare spirito critico o raziocinio.

Se in Germania esiste un’espressione simile, la casalinga sveva (Schwäbische Hausfrau) che è però incarnazione, nell’immaginario collettivo, di ethos e saggezza popolare, dunque ha risvolti positivi, è nell’espressione argentina Doña Rosa (signora Rosa) che si riscontra maggiore vicinanza: quest’ultima, infatti, rappresenta una persona comune senza particolare interesse verso la politica e l’economia, ma occupata a curare solo il benessere proprio e della famiglia.

Insomma, non è certamente una connotazione positiva. Nonostante ciò, e sicuramente in buona fede, nel 2006 la trasmissione Il treno dei desideri, in onda su Rai 2, ha persino donato una statua all’ “Associazione delle casalinghe di Voghera”; statua che però anni dopo, e non senza polemiche, è stata rimossa.

L’uso dell’espressione nel linguaggio comune

casalinga di voghera
La statua donata dalla trasmissione Rai alle casalinghe di Voghera (Fonte: La provincia pavese)

È stato lo scrittore Alberto Arbasino ad appropriarsi per primo della paternità dell’espressione, in un articolo comparso sul Corriere della Sera. Arbasino asserì di averla utilizzata negli anni ’60 in alcuni articoli di critica letteraria su L’espresso, in riferimento alle sue zie di Voghera come esempi di buon senso lombardo, virtù di cui, a suo parere, erano sprovvisti gli italiani. Alla locuzione Arbasino dedicò anche la poesia Il ritorno della casalinga.

Ma, secondo il glossario Parole per ricordare. Dizionario della memoria collettiva, curato da Massimo Castoldi e Ugo Salvi, sarebbe stato il giornalista Beniamino Placido a coniare e poi rendere famosa, a metà degli anni ’80, l’espressione, in una lettera al direttore pubblicata all’interno della rubrica A parer mio che teneva su La Repubblica. Nella lettera, dal titolo “Casalinga ama Vespa, non corrisposta“, la scrivente, lamentandosi della qualità della programmazione televisiva, si definiva “Una casalinga di Voghera”, anzi “La casalinga di Voghera”.

La lettera è stata effettivamente rinvenuta negli archivi del quotidiano, ma più d’uno sospetta che si sia trattato di un artificio giornalistico dello stesso Placido. Di un fake, insomma.

Sempre negli anni ’80, poi, è stato Nanni Moretti a dare un nuovo nome alla figura, definita nel film Sogni d’oro la
“casalinga di Treviso”.  Il protagonista è un regista tormentato da un critico che lo accusa di realizzare pellicole troppo elitarie, fuori dalla comprensione di “un pastore abruzzese”, “un bracciante lucano”, o appunto “una casalinga di Treviso”. Alla fine del film, in una sequenza onirica, un pastore, un bracciante e una casalinga mollano improvvisamente tutto e si ritrovano sullo stesso treno, incrociando il regista alla stazione. Dalla figura di Moretti è stata presa ispirazione per delineare (positivamente o negativamente) un certo target cinematografico, ma soprattutto televisivo: quello che chiede programmi leggeri e frivoli, che non gode di una cultura elevata e di un’elevata soglia di attenzione.

Nel 2006-2007, però, durante la trasmissione radiofonica Melog, su Radio24, ci si è trovati di fronte a un inedito, e inaspettato, significato dell’espressione: il conduttore Gianluca Nicoletti ha raccolto le telefonate di centinaia di ascoltatori per cui le casalinghe di Voghera altro non sarebbero che delle prostitute che esercitavano mostrandosi sulla porta della propria casa, in una via cittadina.

Quale che sia la verità, o il “padre” dell’espressione, di certo non è uno dei più elogiativi da rivolgere a qualcuno.

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