“Caro uomo, non ti permetto di trattarmi così”

"Chissà che cosa porta certi uomini a credere che ci interessi la loro opinione o, peggio ancora, la loro ramanzina. Chissà cosa scatta nella testa di una persona quando legge di una difficoltà che ha avuto un altro essere umano e la prima reazione è quella di aggiungere ancora un po’ di disagio."

Scorrevo la mia bacheca di Facebook quando mi sono imbattuta in un post di una mia amica che raccontava di come, ormai qualche anno fa, uno sconosciuto le avesse fatto una foto con il cellulare, senza chiederle il permesso o spiegarle perché. Si era sentita molto a disagio, quasi come fosse un oggetto. Si era sentita vulnerabile, a cosa sarebbe servita quella fotografia? Forse per commentare il suo insolito colore di capelli con gli amici, forse per altre cose a cui non aveva neanche voglia di pensare. Insomma, le torna in mente questo aneddoto e scrive un post su come la privacy delle persone sia importante, sottolineando quanto non sia il caso di invaderla in questo modo.

Poco sotto, tra i commenti di diverse donne alle quali era accaduto qualcosa di simile, ecco spuntare un’opinione diversa. Un conoscente, maschio bianco eterosessuale, le dice che sta esagerando, le dà della melodrammatica, la invita a pensare in maniera più positiva, ché “magari il fotografo amatoriale si era innamorato di te”. Insomma, lei racconta un episodio che l’ha messa in difficoltà e ancora oggi le provoca disagio e lui le dice, in poche parole, di non farne una tragedia, di ridimensionarsi.

Io intervengo solo per dire che al prossimo giudizio non richiesto che scrive, rischia di vincere una batteria di pentole. Subito dopo, altre ragazze commentano direttamente al ragazzo, chiedendo di evitare di dire alla mia amica come dovrebbe sentirsi, perché questo atteggiamento paternalistico davvero non piace a nessuna.

Lui continua, lei è costretta a bloccarlo. Passa qualche giorno, sono di nuovo su Facebook, altro giro, altra corsa.

Un’altra mia amica scrive un post in cui ci rende partecipi di un episodio non solo spiacevole ma anche al limite della legalità. Per un banalissimo problema di scarico della doccia, è costretta a chiamare un idraulico. Lei gli chiede un preventivo per il lavoro da fare, lui le dice che prima deve venire a casa a vedere la situazione e dopo può darle maggiori informazioni. Prendono appuntamento, lui entra in bagno, esegue direttamente il lavoro senza aspettare la conferma della mia amica e poi le chiede una cifra ridicola, quasi 500€.

Lei risponde che non ha intenzione di sborsare quella quantità di denaro per aver usato dell’idraulico liquido, tanto più che non era stata concordata.
Lui le dice che se non paga torna e le sfascia la casa. Lei mantiene i nervi saldi per quanto possibile e non si sa come si accordano per una cifra molto più bassa.

Nel raccontare questa storia sottolinea come, se lei fosse stata un uomo o se in casa ci fosse stato il padre o il fidanzato, questa cosa non sarebbe successa. Si sente violata, raggirata e presa in giro. Si sente truffata e minacciata e sa che parte di questa sensazione ha a che fare con il suo genere di appartenenza. È una giovane donna che vive da sola e un uomo ha provato ad approfittarsi della cosa.

Scorro la sezione commenti: moltissime donne raccontano episodi simili, qualche uomo esprime vicinanza e supporto e racconta di amiche/fidanzate/parenti a cui è accaduto qualcosa di vicino all’esperienza della mia amica.

E poi eccolo, di nuovo, il commento che tristemente non mi stupisce.
Un conoscente, maschio bianco etero, la rimprovera per non essersi fatta fare un preventivo prima, le dice che quando lui ha avuto problemi al bidet ha dovuto pagare una cifra simile e – in buona sostanza – di smetterla con questa richiesta di attenzioni, facendo tragedie dal niente.

Lei gli fa notare come quei commenti non siano utili e non la facciano stare meglio, lui rincara la dose.
A quel punto, lei è costretta a bloccarlo.

Io faccio un intervento, esterno a quello scambio, scrivendo solo questo:
“Umile avviso ai naviganti: quando una persona racconta un’esperienza negativa che ha vissuto, se non avete niente da dire per aiutarla a stare meglio a livello emotivo, non siete obbligati a lasciare comunque un commento. È davvero così semplice, la vostra opinione non è necessaria se non è utile. Fine.”

Al mio commento mettono like 38 persone, 33 di queste sono donne. Ed è qui che metto a fuoco un problema enorme di cui non parliamo abbastanza.

L’atteggiamento paternalistico di certi uomini, che sentono il bisogno di commentare sempre e comunque il pensiero di una donna, dicendole come avrebbe dovuto fare per non finire in quella situazione, o sottolineando come il problema sia lei e la sua visione drammatica del mondo, di come dovrebbe fare meno scenate e concentrarsi su altro… insomma, di come dovrebbe vivere la sua vita.

È un atteggiamento terribile da parte di chiunque verso chiunque, ma la frequenza con cui lo vedo agito da parte di un uomo verso una donna mi dà da pensare.

Chissà che cosa porta certi uomini a credere che ci interessi la loro opinione o, peggio ancora, la loro ramanzina. Chissà cosa scatta nella testa di una persona quando legge di una difficoltà che ha avuto un altro essere umano e la prima reazione è quella di aggiungere ancora un po’ di disagio.

Chissà chi ha insegnato a queste persone che “siccome lo hai scritto pubblicamente significa che posso commentarlo come voglio”? Il lato positivo è stato vedere le decine di commenti di risposta che sono arrivate, da parte di altre donne, che hanno riconosciuto la dinamica della paternale e si sono unite per dire “no, amico, così davvero non va”.

Perché è importante fare cultura, comprendere le ragioni dietro certi comportamenti, metterle in discussione, aiutare chi non si rende conto di avere certi atteggiamenti a diventarne consapevole, tutto molto giusto, tutto molto utile… Ma il primo passo è trovare la forza di dire “non ti permetto di trattarmi così, non puoi arrogarti questo potere su di me, non te lo concedo”.

Forse, un po’ alla volta, stiamo cominciando a dirlo.
Finalmente.

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