“Che cosa le dice la testa? È pazza? È bellissimo!”

Chiunque di voi sia nata tra gli anni 80 e 90 (o abbia avuto figli tra gli anni 80 e 90) ricorderà questa battuta. La pronunciano ne La Bella e la Bestia le tre bionde sostenitrici di Gaston, quando Belle rifiuta le avances del muscolosissimo antagonista.

Questo fan club tutto al femminile usa parole precise per descriverlo, parole che nella versione italiana abbiamo addolcito ma che in inglese sono molto più esplicative.
Infatti, mentre noi siamo abituate a cantare che “non c’è un maschio forte come lui”, in lingua originale la canzone dice “he’s such a tall, dark, strong and handsome BRUTE” (è un bruto così alto, cupo, forte e bello). Insomma, lo stereotipo del maschio alfa che cammina.

È quello che ci hanno insegnato, l’uomo vero è quello che ti protegge, che si batte per te, che ti risolve i problemi, che ti salva. Più nello specifico: che guadagna più di te, che ti paga la cena, eccetera eccetera.  (Non farò l’ipocrita, non è che non mi piaccia farmi offrire una cena, è che poi di solito c’è quell’antipatico risvolto per cui se io uomo ho pagato per te, tu donna diventi una mia proprietà. Ne parleremo in un altro articolo, promesso.)

Allo stesso tempo, agli uomini hanno insegnato a essere un maschio alfa che cammina.
Gli viene detto da piccoli di non mostrare i loro sentimenti (“non piangere, non fare la femminuccia”) a meno che non siano sentimenti aggressivi, come ad esempio la rabbia. Vengono educati alla forza, alla sopraffazione. Sei un vero uomo se sei il più ricco, il più possente, il più realizzato, il più alto, il più muscoloso.

Nessuno spazio per la sensibilità, l’intuitività, l’intelligenza, l’empatia.
Vuoi essere considerato un uomo? Allora sii uomo così.

Queste direttive, che cominciano in tenerissima età, fanno dei danni enormi. Cresciamo uomini che sono in imbarazzo all’idea di parlare dei propri sentimenti e di esprimerli. Uomini che non sono in grado di mostrarsi deboli, anche quando ne avrebbero bisogno. Uomini che non dicono quello che pensano e assecondano gli amici, perché non sanno cosa accadrebbe se manifestassero il loro disaccordo con “il branco”.

Uomini che sentono costantemente la pressione a essere perfetti.
Uomini che se guadagnano meno della loro compagna vengono additati come “meno uomini”.

Spingere questo modello di mascolinità tossica (così viene chiamato) non fa bene a nessuno.
Non fa bene agli uomini, che vivono la vita con la preoccupazione costante di non essere “abbastanza”, e non fa bene a noi donne, che veniamo ridotte a “prede” perché l’unico modo per essere un vero uomo è essere un “predatore”.

In tutto questo, cosa possiamo fare noi donne per modificare la situazione?

Beh, se siamo mamme di figli maschi, è nostro dovere essere quanto più possibili chiare su questo punto: non c’è un solo modo giusto di essere uomini e non è l’assenza di lacrime a fare un uomo. Ogni uomo deve poter essere libero di parlare di sé, delle proprie debolezze, dei propri dubbi, senza che questo sia il pretesto per prenderlo in giro.

Se non abbiamo figli maschi (o se non abbiamo figli ancora, o se non avremo figli e basta), possiamo parlare con i nostri amici uomini. Chiedere loro se effettivamente sentano questa pressione, fare sapere che per noi questa discriminazione non ha senso e dire che speriamo che in nostra presenza si sentano liberi di essere chi sono e non chi dovrebbero essere. E che non pensiamo che rincorrere l’ideale dell’uomo vero sia da stupidi, ma che sia stancante e spesso limitante.

Gaston non è un personaggio stupido, lo capiamo dalle sue scelte, dagli inganni che costruisce. Gaston è un personaggio che incarna lo stereotipo del maschio alfa, e personalmente nulla mi incuriosirebbe di più di uno spin-off su di lui, per vederlo a porte chiuse, senza il fan club delle bionde, senza l’aiutante adulatore e senza la preda da conquistare.

Perché se gli chiedessimo “ti piace essere così?”, non sono sicura che – potendo essere completamente onesto – ci direbbe di sì.

A tutti i Gaston.
Con affetto.

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