Se oggi conosciamo qualcosa di più sul misterioso sottobosco culturale e simbolico della santeria, la più celebre religione afro-cubana, è merito soprattutto di Lydia Cabrera. Nessuna, prima di lei, si era inoltrata nella selva oscura di un credo rimasto a lungo inesplorato. Il suo merito più grande non è stato solo quello di fare ricerche e raccogliere testimonianze, ma di trasformare tutto in grande letteratura.

Il suo libro più celebre, Piante e Magia, è ormai da tempo fuori catalogo in Italia, ma meriterebbe di essere riscoperto. Un lungo estratto è però disponibile sul sito archiviocubano.org.

Nata a L’Avana il 20 maggio 1899, Lydia Cabrera apparteneva a una famiglia colta e agiata, che fin dall’infanzia la stimolò all’apprendimento e alla curiosità per ciò che la circondava. E fu proprio nella rivista letteraria di cui il padre era proprietario che, a soli quattordici anni, iniziò ad affilare la sua penna. Curava una piccola rubrica come scrittrice, intitolata Nena en Sociedad, in cui parlava di nascite, matrimoni e morti: in un certo senso, fu il suo primo approccio con l’antropologia.

Ad avvicinare Lydia Cabrera alle storie cubane furono in primis le sue tate e il personale che lavorava in casa dei genitori. Da loro imparò il folklore africano, le tradizioni e le religioni, che approfondì poi da sola. Dato che a quel tempo non era accettabile che una donna potesse ottenere un diploma, continuò a studiare a casa, aiutata dai tutori.

Dopo aver seguito un’accademia d’arte, contro il volere del padre, si immerse negli studi che avrebbero segnato tutta la sua vita. Entrata a far parte della Società del Folklore Cubano, il circolo culturale di cui suo padre era presidente, iniziò a lavorare come commessa di un antiquario e si guadagnò l’indipendenza economica. Dopo il trasferimento a Parigi, per studiare arte e religione, nel 1930 tornò brevemente nell’isola natale e raccolse moltissimo materiale sui santeros, da cui partì per scrivere il suo primo libro Cuentos Negros de Cuba, pubblicato nel 1936.

Un anno dopo ritornò a vivere stabilmente a Cuba e per più di un decennio si dedicò alla raccolta quasi frenetica e senza fine di ogni testimonianza possibile, partecipando anche a riti e cerimonie religiose. Ormai i santeros si fidavano di lei e grazie a loro riuscì a pubblicare El Monte, la sua opera più importante. In essa Lydia Cabrera riunì tutte le informazioni raccolte sulla Regla Lukumi o Regla de Ocha, la religione afro-cubana più diffusa del suo tempo. Il titolo, traducibile letteralmente come la selva (anche se in Italia uscì come Piante e magia), era una raccolta di racconti che testimoniavano il nesso tra pratiche religiose e Natura.

Nel negro cubano persiste, con stupefacente tenacia, la credenza negli spiriti della Selva. Nelle foreste e nelle boscaglie di Cuba abitano, come in quelle africane, le stesse divinità ancestral¡, gli stessi potenti spiriti che ancora oggi, come al tempo della tratta, egli più teme e venera e alla cui ostilità o benevolenza continua ad attribuire i suoi successi o infortuni.

Un mondo ricco di riferimenti magici e naturali allo stesso tempo, in cui Lydia Cabrera cerca di trovare un cammino.

Il negro quando s’inoltra nella foresta, penetra nel profondo “cuore della Selva”, è convinto di entrare in contatto diretto con forze soprannaturali che lì, nei loro domini, lo circondano: ogni lembo di foresta, per la presenza invisibile o a volte visibile di dei e spiriti, è sacro. “La Selva è sacra” perché lì abitano, “vivono” le divinità. “I Santi stanno più nella Selva che in cielo”.

Lydia Cabrera riuscì anche a tratteggiare una vera e propria cosmologia, in cui piante e animali del cosiddetto Nuovo Mondo cercano di stringere un nuovo legame con gli uomini costretti ad abitarlo in schiavitù, ovvero africani e creoli. E, all’improvviso, quelle che sembravano solo storie magiche, diventano qualcosa di universale e moderno.

La Selva, dominio naturale degli spiriti, che alcuni dei miei più seri e convinti informatori, sia vecchi che giovani, hanno visto “coi propri occhi e da svegli”, è un luogo pericoloso per chi ci si avventura senza prendere precauzioni. Ogni cosa apparentemente naturale, esorbita dai limiti ingannevoli della natura: tutto è soprannaturale. […]

È indispensabile conoscerne le esigenze, procedere secondo la regola stabilita dagli spiriti (“la Selva ha la sua legge”) e dagli antenati africani che hanno istruito e iniziato i vecchi creoli. Perché la Selva sia propizia all’uomo e lo aiuti nei suoi intenti, è necessario “sapervi entrare”.

Nel 1960, dopo la rivoluzione cubana, Lydia Cabrera lasciò il suo paese e non vi fece più ritorno. Moltissime università americane le assegnarono la laurea ad honoris, facendola diventare una vera celebrità nel campo dell’antropologia. Negli ultimi dieci anni perse la vista ed ebbe gravi problemi di salute, ma continuò il suo lavoro. Morì a Miami nel 1991, a 91 anni.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!
  • Storie di Donne