La mia storia è iniziata quando avevo solo 17 anni. Ho iniziato a uscire con questo ragazzo che sembrava il più dolce del mondo. Quando avevo 18 anni, mi ha violentata per la prima volta. Questa era anche la prima volta che facevo sesso“.

Comincia così la storia da brividi che ci racconta Serena Faith Morris, una ragazza americana vittima di stupro che oggi ha scelto di mettere la propria esperienza al servizio di tante altre che, come lei, convivono con il ricordo di un’aggressione sessuale.

Oggi Serena appare sorridente sulle foto del suo profilo Instagram, ha creato un account social, Faith Hope & Healing, per dare supporto e ascolto a chi desidera condividere una testimonianza simile alla sua, ma nel profondo non ha mai dimenticato ciò che le è successo da giovanissima.

E, del resto, nessuno può aspettarsi che un dolore così forte riesca a essere cancellato con un colpo di spugna, che ci si dimentichi della violenza subita, anche se la vita va avanti, anzi, anche se si deve andare avanti.

Serena prosegue con il suo racconto, spiega come il rifiuto di credere a quanto le era appena accaduto sia stato inizialmente più forte di tutto, anche della sofferenza, dell’umiliazione, della vergogna.

Ho detto al mio amico cosa è successo. Era come se sapessi che quello che è successo era sbagliato, ma non volessi accettarlo. Il mio amico mi ha detto che era uno stupro, ma io ho rifiutato l’idea. Come avrebbe potuto violentarmi proprio il mio ragazzo? Ho ignorato quello che era successo. È successo qualche altra volta durante la relazione, ma ho continuato a far finta di niente.

Un paio di anni dopo, siamo andati a convivere. Ero al verde e all’università, quindi aveva senso. Dopo esserci trasferiti a vivere insieme, mi sono resa conto di essere in una relazione violenta. Mi tradiva, e gli piaceva. Mi controllava. Aveva persino chiesto a un vicino di tenermi d’occhio mentre lui era al lavoro.

Poi si scusava, e tornava a essere il ragazzo perfetto.

È stato un ciclo terribile da cui ho faticato a uscire. Alla fine ho rotto con lui, ma era la metà del semestre. Mi ha convinto a restare. Era andato via durante la settimana per lavoro, ho accettato, ma solo a determinate condizioni. Doveva dormire in una camera da letto separata e non ci saremmo comportati da fidanzati. Lui ha accettato queste condizioni, ma non ne ha seguita nemmeno una. Quando ho realizzato che non sarebbe rimasto in una camera da letto separata quando era a casa, ho iniziato a dormire sul divano. Veniva sempre a prendermi per portarmi in camera da letto.

Mi ha dovuta stuprare dopo che ci eravamo lasciati per capire che mi stava violentando. Quello è stato il momento in cui mi sono resa conto, per la prima volta, di essere stata violentata. Ha iniziato a strapparmi i vestiti. Ho cercato di tenerli addossi urlandogli che volevo che si fermasse. Lui non ha ascoltato. Li ha tolti, mi ha  presa e mi ha messa sul letto. Ho spinto il più possibile finché non ho capito che non ero abbastanza forte per respingerlo. Ho mollato. Mi sono bloccata e ho pianto finché non ha finito.

Dopo aver finalmente capito che il ragazzo che lei ha amato per tanto tempo non era altro che un aggressore sessuale e un violento, Serena ha cercato lentamente di riprendere in mano la sua vita, con fatica e non senza cambiamenti.

Dopo gli stupri, la mia vita è cambiata in tanti modi. Ho sofferto per mesi di grave depressione, ansia e disturbo traumatico da stress. Avevo più attacchi di panico durante il giorno senza motivo, e spesso mi svegliavo sempre per lo stesso motivo durante il sonno. Il mio corpo era stato prosciugato. Volevo morire.

Passavo dal provare emozioni estreme all’essere completamente insensibile. Ho anche iniziato ad avere problemi di immagine del corpo davvero tremendi. Odiavo vedermi. Fare la doccia era il momento peggiore. Ho anche smesso di vestirmi nel modo in cui mi piaceva. Ho dovuto anche imparare a fidarmi di nuovo tutti, anche di me stessa. Tutto questo ha reso molto più difficile per me avere una relazione“.

Solo ora Serena sta, passo passo, recuperando la fiducia e la serenità.

“Sto iniziando a vedermi guarire, il che ha portato nuovi cambiamenti. Sono in grado di parlare e raccontare la mia storia ora, anche agli estranei. È qualcosa con cui devo confrontarmi ogni giorno, quindi ho creato un blog e un gruppo per le sopravvissute, per ricevere aiuto e supporto l’uno dall’altro“.

Leggendo la storia di Serena ci vengono in mente molte altre vicende tristemente simili, in cui la vittima convive con ingiusti sensi di colpa e con la consapevolezza atroce di non potersi fidare degli altri, soprattutto nel caso in cui, come nel suo, l’aguzzino è proprio la persona che si ama.

Anche perché, nella terribile esperienza di Serena, c’è stata un’ulteriore beffa: allo stupratore non è accaduto assolutamente nulla.

Dopo aver detto alla mia famiglia cosa è successo, ho denunciato lo stupro. Alcuni mesi dopo, quando mi sono sentita pronta per andare avanti, sono stata alla stazione di polizia. Sono stato informata che il rapporto originale del mio caso era stato perso e che non erano stati in grado di trovarlo da nessuna parte. Così, ho rivissuto il trauma e fatto una seconda dichiarazione.

Ho aspettato e aspettato di sentire un detective per fissare un colloquio. Non hanno mai chiamato, così ho iniziato a chiamarli ripetutamente cercando di contattarli. Finalmente li ho raggiunti e ho preso appuntamento per un incontro. Dopo il colloquio, ho ripreso a chiamare, perché nessuno mi rispondeva spiegandomi a che punto stavano le cose.

Alla fine, il detective ha deciso che non mi credeva, e non ha mai inviato il mio caso al distretto. Quindi il mio stupratore è libero e vive la sua vita come se nulla fosse mai accaduto.”

Il problema, infatti, è che molto spesso, fra lungaggini burocratiche ed espedienti locali, molti stupratori restano impuniti, e la cosa peggiore è che di frequente, mentre loro sono lasciati liberi, a restare con impresso il marchio della “bugiarda” è proprio la donna che ha denunciato.

Raccontiamo a Serena del recente caso italiano in cui due accusati di stupro sono stati prosciolti in secondo grado perché la presunta vittima non è stata creduta in quanto “troppo brutta per essere stuprata”, storia che abbiamo raccontato qui.

E le domandiamo se c’è qualcosa che vorrebbe dire a questi giudici:

“Per quanto riguarda il caso, la prima cosa che ho pensato di dire ai giudici è, come vi permettete.

Non capisco come si potrebbe essere d’accordo con qualcosa di così ignorante e insensibile. La gente si fida di voi, e voi fallite.

Il dolore che una vittima sente è inimmaginabile se non si è mai provato, e in questo modo voi avete aggiunto dolore non necessario. Dire che non avrebbe potuto essere violentata perché è ‘troppo brutta’ o ‘troppo mascolina’ mostra quanto sia ignorante il mondo sulla questione dello stupro. Ci sono così tante vittime che soffrono in silenzio, e questo è un perfetto esempio del perché.

Vorrei chiedere ai giudici di pensare veramente all’influenza che questo può avere su altre vittime e sugli autori degli stupri. Lo stupro ha a che fare con il potere, e così facendo hanno scatenato un senso maggiore di potere negli stupratori. Nessuno è ‘troppo brutto’ o ‘troppo mascolino’ per essere stuprato. Penso che sia importante ricordare che anche gli uomini possono essere vittime dello stupro“.

Proprio perché dici che il dolore di una vittima è inimmaginabile, pensi che si possa comunque recuperare, e tornare ad avere una vita normale?

Penso che sia importante per le donne sopravvissute sapere che possono riprendersi dalle aggressioni sessuali. Quando ho parlato per la prima volta pubblicamente della mia esperienza, molte altre mi hanno detto che non sarei mai stata la stessa. Questo è vero, ma il recupero non deve significare tornare ad essere la stessa persona che eri prima.

Credo che tu possa guarire in una nuova persona. Puoi crescere in modi che non avresti mai immaginato. Non sono la stessa persona che ero prima, ma sto imparando ad amare questa nuova me. Non andrà mai completamente via, ma con un po’ di lavoro, le cose possono andare molto meglio.

Come dicevamo, hai aperto un blog per fornire ad altre donne l’opportunità di un confronto e di un dialogo. C’è un messaggio che vorresti far arrivare a loro?

Vorrei che altre vittime sapessero che la guarigione è possibile. Potrebbe non essere così veloce o completa come si desidera, ma arriva. Potrebbe richiedere un po’ di lavoro in più, ma ne vale la pena. Va bene sentire il dolore. Devi sentirlo per superarlo. Va anche bene ricevere aiuto. Nessuno dovrebbe sentire di dover guarire da sola. Non sei sola. Ci sono così tante di noi che soffrono in silenzio, quando invece dovremmo guarire insieme. Va bene anche per te stessa. Hai tutto il diritto di farlo.”

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