"Le donne passano una vita preoccupandosi di essere belle. È ora di dire basta" - INTERVISTA A DALILA BAGNULI

33 anni fa era Il mito della bellezza di Naomi Wolf a raccontare dell'ossessione estetica femminile. Ma oggi come stanno le cose? La content creator e influencer Dalila Bagnuli ci guida attraverso il complicato mondo della "bellezza a tutti i costi" grazie al suo Antimanuale della bellezza.

33 anni fa Naomi Wolf usciva con il suo libro simbolo, Il mito della bellezza, che analizzava la correlazione tra ruolo sociale delle donne e loro rappresentazione estetica, e nella cui introduzione scriveva

Più ostacoli legali e materiali le donne hanno sfondato, più le immagini della bellezza femminile sono arrivate a pesare su di noi in modo più rigoroso, pesante e crudele … [Durante] l’ultimo decennio, le donne hanno violato la struttura del potere; nel frattempo, i disturbi alimentari sono aumentati in modo esponenziale e la chirurgia estetica è diventata la specialità in più rapida crescita

Tre decenni dopo come stanno le cose?

Ne abbiamo parlato con la giovanissima content creator e influencer Dalila Bagnuli, in uscita con il suo primo libro, Antimanuale della bellezza, in cui affronta la questione estetica a 360°, toccando argomenti come la grassofobia, interiorizzata e non, la rappresentazione, la moda, ma anche la questione del femminismo intersezionale, della rivendicazione femminile e del linguaggio.

Antimanuale della bellezza

Antimanuale della bellezza

Dalila Bagnuli, influencer e content creator, ci guida con il suo "antimanuale" alla scoperta dei limiti della rappresentazione femminile, toccando temi come la grassofobia, il femminismo, la questione del linguaggio o del marketing dei corpi femminili, in un libro che è un bullet journal adatto alle donne di tutte le età.
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Fin dal primo capitolo del tuo libro emerge un aspetto che spesso passa “sotto silenzio” quando si parla di mestruazioni. Al di là dell’aspetto “scandalistico” della cosa, per cui il ciclo mestruale è ancora visto come un tabù, c’è il discorso della sessualizzazione, tu scrivi, letteralmente:

Basta un po’ di sangue mensile per essere sessualizzata, non importa quanti anni hai. Se un bambino di quell’età si interessa alle ragazzine è un piccolo playboy; se lo fa una bambina è già avviata a diventare una «ragazza facile». Lo stigma della puttana è sempre dietro l’angolo.

In effetti le donne convivono da sempre o quasi con la dicotomia “santa-puttana”. In quale modo le mestruazioni contribuiscono quindi non solo allo stigma sociale delle donne, ma anche alla loro sessualizzazione?

Dal momento in cui ci arrivano le mestruazioni lasciamo gradualmente la nostra forma infantile, e il nostro corpo si prepara biologicamente a diventare donna, questo la società lo sa benissimo, tanto che quando arrivano le mestruazioni in molte famiglie si festeggia, lo si dice anche ai parenti maschi, ‘Che bello, sei diventata signorina!’… Ecco, quello è l’ultimo giorno in cui si potrà parlare in maniera libera di mestruazioni: da quel momento dovrai nasconderti e non far sapere al mondo che stai sanguinando, ma allo stesso tempo anche il non sanguinare è un problema, perché se non sanguini non sei considerata fertile. Dal momento in cui sanguini il tuo corpo è appetibile sessualmente, ti cresce il seno, crescono le forme, l’occhio maschile ti guarda da un altro punto di vista, e così avanti finché le mestruazioni non arrivano più e il tuo corpo è da buttare, perché non sei più in grado di fare figli“.

Il tuo libro sembra seguire direttamente la strada già intrapresa 33 anni fa da Naomi Wolf ne Il mito della bellezza: le donne sono da sempre costantemente giudicate per l’aspetto fisico, il modo di porsi, la scelta di depilarsi o meno – altro argomento che affronti nel libro – i loro corpi sono passati al microscopio, tipizzati, e, in base fatto che rientrino o meno nei cosiddetti “standard canonici”, vengono fatte valutazioni sulle loro competenze, il loro stato di salute, il loro inserimento sociale e professionale. Come pensi si sia evoluta la situazione in 30 anni o poco più? È vero che a maggior “potere” femminile corrispondono aspettative più alte, che però riguardano quasi sempre ed esclusivamente l’aspetto fisico delle donne?

Naomi Wolf scrive Il mito della bellezza negli anni ’90, e tuttora quel libro è valido, questo ci fa capire quanto sia problematica la situazione. In realtà però le cose si sono evolute in maniera drastica rispetto al livello della rappresentazione, viviamo in un mondo che rende super visibili i corpi attraverso i social network. I social media sono uno strumento potentisttimo che quando Wolf scriveva non esisteva, quindi lei non aveva a che fare con Photshop, filtri, e con tutto quell’insieme di programmi pensati per modificare le immagini e dare vita a quel filone di dismorfofobia che deriva dal loro utilizzo massiccio. I social sono stati nella percezione dei corpi e della bellezza una rivoluzione gigantesca, danno una pressione pazzesca in termini di performatività, abitua a paragonare il proprio corpo con quello delle altre donne, ma lo fa in maniera fasulla perché online le persone possono distorcere il proprio corpo, quindi le ragazze spesso si paragonano a qualcosa di irreale. È una battaglia persa in partenza.

Dall’altro lato, però, tu hai il potere della rappresentazione, perché chiunque può postare una foto, ed è per questo che io ho portato il mio corpo su Instagram, il social della perfezione per eccellenza, perché non era rappresentato. È stata un’azione sovversiva, un modo per distruggere il sistema dall’interno. I social in questo momento sono a tutti gli effetti la più grande rivoluzione che il discorso della bellezza sta subendo, giornali e tv stanno perdendo mordente rispetto al discorso rappresentazione. Il mio pensiero, quando si parla di questi temi, va sempre alle ragazzine, che vivono in un mondo irreale da sempre, essendo nate con i social, per cui trovano normale paragonare il proprio corpo a quello dell’influencer americana di turno, e questo mi mette molta ansia. Per questo il mio libro si rivolge a lettori e lettrici, perché vorrei davvero avere una conversazione con tutte queste ragazzine, io che comunque appartengo alla Generazione Z essendo nata nel 1999“.

Mi ha colpito molto un passaggio del libro in cui parli del pinkwashing seguito sistematicamente da alcuni brand per far credere di essere “inclusivi”, quando l’inclusività invece è solo sulla carta, o quantomeno molto limitata. Allora mi viene da chiedermi (e da chiederti), quanto il mondo del fashion, ad esempio, è davvero inclusivo e quanto invece resta grassofobico? E soprattutto, quanto trovi “sincere” le varie pubblicità di brand di moda, di intimo, che propongono nei loro spot donne con corpi diversi, alcuni dei quali verrebbero definiti “non conformi”?

Le trovo molto poco sincere, è tanto un cavalcare l’onda. Partiamo dal presupposto che la body positivity è nata come movimento sociale e politico ed è diventata, grazie al movimento dei brand, un hashtag che vende tanto, con slogan rosa e vuoti. La prima a portarla è stata Dove, poi a ruota sono arrivati tantissimi altri brand, ma in questi spot si parla sempre e solo delle donne e si finge di essere inclusivi portando sugli schermi corpi mai visti ma che sono totalmente conformi agli standard di bellezza. Secondo me un caso tipo è quello del brandi di intimo che propone reggiseni che arrivano alla settima, si arriva a dire alle donne che troveranno il reggiseno adatto a loro quando la taglia più grande indossata dalle modelle sarà al massimo una terza, e che tipo di corpi si scelgono? Il corpo nero, ma non troppo nero, il corpo asiatico, ma non troppo asiatico, il corpo curvy che sarà al massimo una 44, e si spaccia tutto questo come un ‘Vi abbiamo fatto un favore, guardate quanto siamo inclusivi!’. Soprattutto, nelle pubblicità ci si rifà sempre e comunque allo standard occidentale, e sui corpi grassi questo sforzo, a ogni modo, non lo vediamo ancora.

In realtà è una presa in giro, perché poi scopri che la tua taglia non c’è neanche online, tu entri in negozio e ti dicono che devi giocare con la coppa, che puoi provare con una quinta coppa D che no, non è una settima. Ma la cosa brutta è la presa in giro, il dirti ‘Io ti accolgo, sto pensando a te’, convincerti con pubblicità pensate ad hoc, poi entri in negozio, non trovi quel che cercavi ma la maglietta la compri lo stesso, perché in te subentra il senso di colpa: non pensi che è l’industria della moda a doverti vestire, ma che sei tu a doverti adattare.

Quante volte ingrassiamo e lasciamo da parte dei vestiti dicendo la classica frase ‘Questo lo tengo per quando dimagrisco?’. È un meccanismo ultra tossico che ci hanno insegnato. Un’altra cosa brutta: il fatto che spesso le taglie per le donne grasse esistano solo negli shop online: è un po’ come dire che quel negozio non vuole associare il tuo corpo al suo brand, ti dice implicitamente che ti stanno dando il privilegio di vestirti, purché tu lo faccia di nascosto, non ti faccia vedere. Il mondo della pubblicità è molto abile a buttare fumo negli occhi della gente“.

Sabrina Strings, professoressa di sociologia, nel corso dell’intervista che le ho fatto tempo fa, mi ha detto

Spesso si crede che la fobia per i grassi sia radicata nelle preoccupazioni per la salute. L’idea è questa: ‘la grassezza è malsana, e quindi miglioriamo la salute delle persone grasse facendole vergognare e portandole a dimagrire’

Che è un passaggio che si ritrova anche nel tuo libro: le persone grasse vengono guardate quasi con compassione perché l’idea che la società grassofobica ci ha instillato è che siano malate, di salute cagionevole, e troppo pigre per cambiare. lo si legge, ad esempio, quando scrivi

Durante una visita medica il dottore non si sforza di approfondire i tuoi sintomi, fa una diagnosi frettolosa e scorretta, perché riconduce l’origine di tutti i tuoi problemi al peso, senza fare nessun tipo di accertamento, solo guardando la tua figura per intero.

Vogliamo dire come stanno le cose, una volta per tutte?

Per assurdo la maggior parte delle persone grasse mettono su chili subito dopo una dieta, per via dell’alternanza tra restrizioni alimentari e periodo di ‘respiro’ successivo. Nel mio caso banalmente a farmi ingrassare è stata la pillola, l’ho presa per anni e sono ingrassata tanto, è successo e va bene così, il mio corpo adesso è questo ed è ok, magari tra tre anni sarà diverso, il problema non è il rapporto che ho io col mio corpo, ma quello che ha la società con il mio corpo. Percepisco moltissimo questo dito putanto, ‘Se sei così ti devi sentire in colpa, sei tu che devi cambiare’… Vallo a dire a chi è in dieta da sempre! Dobbiamo semplicemente far pace con l’idea che esistano corpi diversi, i nostri corpi sono tutti differenti, c’è chi è più predisposto ad avere un corpo grasso e chi invece non riesce a mettere su un grammo. Siamo talmente tanto oberati da tutta quella che è la rappresentazione dei corpi secondo lo standard di bellezza che siamo portati a pensare che tutti i corpi debbano essere fatti con lo stampino

A me è capitato, esponendomi sui social, di leggere commenti come ‘Brava, le ossa lasciamole ai cani’, ma anche questo è assurdo e sbagliato. Io mi sto battendo per il rispetto di tutti i corpi, e loro ti vengono a dire che il tuo corpo è migliore di un altro, le sfumature non esistono. 

Altro discorso, quello della salute: esiste il cosiddetto thin privilege, per cui il corpo magro non verrà mai accusato, anzi verrà invidiato; ‘Come sei fortunata tu che non metti su un grammo!’, questa frase potrebbe dare molto fastidio a chi ha un corpo magro e non riesce a prendere peso, ma la società è questa: continua a premiare i corpi magri e a colpevolizzare quelli grassi, partendo dal presupposto che il primo sia per forza sano. Ma non vero. Partiamo dal presupposto che la salute delle persone non ci riguarda, non è una questione pubblica, ma chi si espone su un social riceve il commento ‘Devi pensare a salute’, come se un corpo grasso fosse per forza malato, ignorando che chi riesce a vivere in maniera più libera il proprio corpo grasso è molto più in salute di quando cercava di dimagrire a tutti i costi con sistemi estremi eccetera.

La cosa interessante è che quel commento è solo una paraculata, perché a quella persona, che è un estraneo, non interessa della tua salute, vuole solo rimetterti al tuo posto, perché non puoi uscire dalla gabbia che è stata costruita per te. Rivendichi l’esistenza di un corpo grasso e vuoi rispetto, ma per loro esci dalle regole, sei un errore di sistema, e quindi le persone cercano di rimetterti al tuo posto. Come? Insultandoti? No, perché sarebbe socialmente sbagliato. Allora ti danno il famoso consiglio non richiesto, anche perché, diciamoci la verità, non siamo supereroi in grado di fare le analisi del sangue a una persona guardandola su un social!

Il problema è che il corpo grasso è sempre stato rappresentato come un mostro, è stato deumanizzato, e le persone di conseguenza non ti vedono come un essere umano. Sei ok se ti comporti da good fatty, da ‘brava ragazza grassa’, ovvero ti nascondi, cerchi di stare alle regole sociali, cerchi di cambiare il tuo corpo, ti vesti sempre di nero, non fai foto a figura intera ma solo al viso… Allora lì sei la ‘poverina’, subentra il compatimento. Ma se invece dici ‘Sapete che c’è? Io voglio riappropriami del mio corpo’… Eh, allora lì non vai più bene“.

Tu fai anche un’associazione importante tra sorellanza e patriarcato. Perché ci sia la prima, è necessario sganciarci dal modo in cui il secondo ci dipinge. Ma come si eradica qualcosa con cui sostanzialmente si è cresciute? Bene o male, il mito della bellezza è qualcosa che riguarda le donne, e quasi esclusivamente loro, praticamente dai tempi dell’Iliade di Omero, e spesso, come si legge anche dalle pagine del tuo libro, sono le donne in primis a farne il motivo fondante del proprio essere. Con questo non intendo dire che la cura del proprio aspetto estetico sia il male assoluto, ma che tantissime donne credono che il giudizio e la percezione che gli altri hanno di loro si basi e si focalizzi in maniera totalizzante sull’estetica. Come possiamo quindi convincerle a cambiare prospettiva?

Dobbiamo smetterla di considerare il nostro corpo come oggetto e iniziare a valutarlo come soggetto, ma è impossibile se siamo noi le prime a dividerci in pezzetti, e non ci vediamo per intere: pensiamo alle nostre ginocchia, al braccio, la bocca che pende da un lato, un seno più alto dell’altro, a tutte quelle differenze che non sono problemi ma ci sono stati raccontati come tali.

La ricerca totale della bellezza a senso unico, perché? Io nel libro mi chiedo cosa sia la bellezza, ma non posso rispondere: so dire cosa sia il canone di bellezza, o la bellezza per me, ma non posso dire cosa sia bello in assoluto. Ci è stato insegnato che la bellezza è il nostro valore, che è l’unico scopo, noi l’abbiamo assorbito e ci concentriamo tantissimo sul cercare di essere sempre le più belle della stanza, ci distraiamo a scuola, al lavoro, anche mentre facciamo sesso, pensando alla migliore espressione da fare, alla posizione migliore per noi, e non ci godiamo più nulla, solo per essere belle… Che tristezza.

Questo si ripercuote anche a livello lavorativo: sono usciti dati allarmanti ad aprile, che ricordano che le donne grasse, che non entrano negli standard di bellezza, guadagnagno il 9% in meno rispetto ai colleghi uomini. C’è il gender pay gap, e poi c’è il gender pay gap sommato alla grassofobia. Funziona in questo modo: se non rispecchiamo lo standard di bellezza veniamo ostacolate nella nostra crescita come persone e, mentre un uomo può essere intelligente, simpatico, una donna non può esserlo. Deve essere solo e soltanto bella, secondo i canoni, ovviamente“.

Dalila Bagnuli, oltre alla presentazione del libro, si sta preparando a lanciare il suo podcast Sono piena, girato a teatro che ha lo scopo di “portare i corpi in scena”, in uscita ai primi di luglio. E ci rivela un “desiderio inespresso” rispetto al suo libro, parlando del pubblico di lettori e lettrici per cui è pensato.

Ho pensato a questo libro in maniera più ampia possibile, vorrei che lo leggesse una tredicenne come una sessantenne, tanto che i temi non sono del tutto leggeri, si parla della storia del femminismo, dell’aborto, del traffico di esseri umani. Ho cercato di renderlo più accessibile possibile dal punto di vista della struttura prendendo spunto dal bulleti journal, questo quadernino agenda totalmente personalizzabile. La mia idea era proprio rendere questo libro un quaderno di appunti, per renderlo accessibile anche alle persone con neurodivergenze: le persone con disturbi dello spettro autistico, o dislessiche, trovano meno difficoltà a leggerlo. Mi sono sbizzarrita con le mie esperienze da grafica per renderlo crossmediale.

Sarei ipocrita a dirti che il libro è per gli uomini, capisco che un uomo etero cis potrebbe sentirsi intimorito dal libro, ma se lo leggesse sarebbe davvero bellissimo.

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