scelta da Ilaria Maria Dondi

La verità è che Ilaria Cucchi era una delle unità a comporre il numero degli oltre 60 milioni di italiani. Imprescindibile per chi la ama, come ognuno di noi; trascurabile da chiunque altro.
Qualcuno, insomma, che per ognuno di noi era lecito ignorare.

Un’amministratrice di condominio come ce ne sono tante, madre di due figli, a sua volta figlia di un geometra e di una maestra in pensione. Sorella di Stefano Cucchi.

La verità è che questa sua improvvisa celebrità, così scomoda e oscena per alcuni, non l’ha voluta lei.
Ilaria avrebbe voluto probabilmente avere più tempo per i suoi figli, ogni volta che non c’è stata per cercare una verità che era dovere di altri pretendere e impedire fosse insabbiata.
Ilaria avrebbe forse voluto sfogliare un libro, nelle sere passate a leggere referti medici, verbali, sentenze.

Ilaria di sicuro avrebbe voluto lasciare i nipotini a nonni felici di non dover più fare i genitori e uscire con un’amica ogni tanto.
Ilaria avrebbe voluto essere arrabbiata con Stefano, per ogni volta che diceva smetto e poi non smetteva o ricominciava. E poi cercare, ancora, di aiutarlo.

Non l’ha chiesto lei di diventare la donna forte di cui tutti parlano e che, probabilmente, non era.

Credo che lei, come tutti noi, volesse essere quell’unità preziosa per chi la ama, ignota al resto del mondo.
E invece, guardiamo le foto dell’autopsia di Stefano e poi guardiamo la donna che non voleva essere e che altri hanno fatto diventare.
L’abbiamo voluto noi e l’ha voluto la legge, che non è uguale per tutti, ogni volta che ci siamo indignati perché lei e la sua famiglia non hanno creduto all’oltraggio di un “morto per cause naturali”.
Guardiamole bene queste “cause naturali” sul volto di Stefano, guardiamo la sua schiena spezzata.
L’ha voluto, che lei diventasse la donna simbolo, chi doveva difendere Stefano, lei e la sua famiglia, come quando l’avvocato di famiglia le disse ‘Lascia stare Ilaria, tanto Stefano ormai è morto. Evitati sofferenze inutili’.

L’hanno voluto coloro che, a più riprese, hanno cercato di metterla a tacere come la sorella del drogato che se l’è andata a cercare.

Puttana. Le hanno scritto.
Dovrebbero farti fare la fine di tuo fratello drogato.
Hai approfittato della morte di tuo fratello per diventare famosa.
Le auguro di morire patendo ogni dolore, sia fisico sia mentale. Troia!

Esaurire il bestiario degli insulti che sono stati rivolti a Ilaria Cucchi in questi anni è impossibile, né mi interessa farlo.

La verità è che a Ilaria Cucchi è stata rubata la possibilità di una vita diversa, non il senso della giustizia, per fortuna, che ha continuato a difendere, anche da noi. 

Non amo l’8 marzo. È una data carica di retorica, che sa di contentino, insieme al 25 novembre, Giornata contro la violenza sulle donne.

Ah già, le donne! ‘Spetta che oggi le celebriamo, diciamo tutti che senza di loro il mondo sarebbe un posto peggiore, magari portiamo loro un fiore, così sono contente. 
Poi, tranquilli, che da domani torna tutto come prima: stipendi più bassi, divisioni dei ruoli medievali e, soprattutto, insulti sessisti contro ogni donna che alzi la voce a difendere un’idea.

O magari il diritto alla vita di un fratello trucidato.

A scegliere lei come mia donna ispirazionale per questa ricorrenza mi sembra di farle un torto, ma tant’è: mi do l’alibi del fatto che questa mia “dichiarazione d’amore per una donna circondata d’odio”, rubando il titolo a un libro dello scrittore Matteo B. Bianchi dedicato a un’altra, vale oggi come in qualsiasi altro giorno dell’anno.

Perché Ilaria Cucchi non voleva diventare l’eroina, né la donna simbolo.
Non l’ha scelto lei.
Quello che ha scelto, e di questo le siamo tutti debitori, anche chi la insulta, è stato non accettare l’ingiustizia, diventare scudo e pilastro per la sua famiglia. Una scelta pagata con le offese, l’oltraggio e con il rischio di combattere una lotta contro giganti molto più potenti di lei che avrebbe potuto rivelarsi vana.

Non lo è stato. Ilaria ha scelto la verità. Di questo, la ringrazio.

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