
Si parla sempre più spesso di stalking. Da qualche anno abbiamo dato finalmente un nome a tutti quegli atti persecutori che qualcuno mette in opera ai danni di una o più persone. Alla consapevolezza che si tratti di un fenomeno ben identificato si accompagna però sovente la percezione che si tratti di un crimine molto spesso impunito. Perché è di questo che si tratta in effetti: un reato.
Ma in cosa consiste e soprattutto che cosa dice la legge a riguardo? Esaminiamolo insieme.
Cos’è lo stalking?

Il termine deriva dal verbo inglese «to stalk» che significa «inseguire furtivamente, pedinare». Naturalmente lo stalking non riguarda soltanto questo e talvolta nelle cronache rappresenta l’anticamera di un altro fenomeno orribile che conosciamo bene: il femminicidio. Benché la stampa ne parli quasi sempre in un’ottica di «ragioni passionali» – un’orribile espressione, non c’è nulla nello stalking, nelle violenze o nei femminicidi che riguardi lontanamente la passione o l’amore – possono essere molteplici i motivi alla base delle azioni di uno stalker. La discriminante è infatti il suo modus operandi, o meglio i mezzi che sceglie per lo stalking.
Stalking condominiale
Lo stalking condominiale configura una tipologia di stalker ben precisa di solito: il vicino di casa molesto. Solitamente la sua azione si concretizza in atti persecutori che rappresentano tutt’altro che dispettucci causati da una convivenza forzata: si va dai furti di posta fino al danneggiamento delle proprietà altrui, dalle minacce fino alla distruzione della reputazione con false accuse. Uno stalker condominiale è potenzialmente molto pericoloso: sa dove abitate, sa chi frequentate, non ci sono margini d’errore e tutto il vostro mondo è in pericolo.
Stalking telefonico
Anche lo stalker telefonico potrebbe essersi procurato una serie di informazioni su di voi – tra cui dove abitate e chi frequentate – ma la sua persecuzione viene messa in opera con chiamate, messaggi, telefonate mute, chat e così via. E non ha importanza che lo blocchiate – cambierà prepagate come fossero mutande – o che cambiate numero – lui, purtroppo, vi troverà.
Reato di stalking: quando è possibile la denuncia
Il reato di stalking è regolato dal Decreto Legge n.11 del 2009, che nel 2009 è diventato la Legge n.38: in base alla norma, se si viene riconosciuti colpevoli, è prevista la reclusione da 6 mesi a 5 anni, con un aumento di pena se lo stalker è un coniuge o ex coniuge, se la vittima è un minore, una donna gravida o un disabile. Sostanzialmente si può denunciare
chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato d’ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
Bisogna ricordare tuttavia, che ci può essere uno sconto di pena – per buona condotta – e che si può evitare il carcere grazie alla condizionale o all’indulto. O che, nel caso lo stalker condannato finisca effettivamente in carcere, il nostro sistema penitenziario si basa sul presupposto che le persone possano essere rieducate o riabilitate grazie soprattutto a centri di aiuto psicologico. A volte la riabilitazione non c’è, e le storie finiscono sulle pagine di cronaca nera – ma che in quanto cronaca costituisce sempre l’eccezione, non la regola.
Vale comunque la pena ricordare che lo stalking non è una prerogativa maschile, ma le statistiche che vedono vittime le donne e persecutori gli uomini sono significativi e costanti.
Storie di stalking

Vanity Fair riporta la storia di Sara, che nel periodo dell’università si è fidanzata con un ragazzo apparentemente normale, ma che si è rivelato misogino – definiva con parole dispregiative le amiche di Sara – e possessivo – la costringeva ad aprire le mail vicino a lui, la controllava in qualunque modo. Quando lei l’ha lasciato dopo tre anni di relazione, lui non si è rassegnato, prima con messaggi e poi presentandosi a casa di Sara e avendo con lei atteggiamenti violenti – tra cui strattonarla e spingerla, l’ultima volta fino a farle perdere i sensi.
Oggi – racconta Sara – posso fortunatamente raccontare che il trauma cranico che mi ha procurato la caduta si è riassorbito. All’ospedale ho trovato la forza per denunciarlo (anche grazie ai medici che hanno capito che non potevo essere scivolata da sola in quel modo) e, nonostante non l’abbia più visto dopo che il tribunale gli ha intimato di non avvicinarsi, da quel giorno soffro di crisi di panico ricorrenti e non uso più il cellulare.
Adele Dolci – non è il suo vero nome – è una professionista vittima di stalking che ha scritto un libro sulla sua esperienza, Non mi fai paura. La sua “relazione” con lo stalker è stata lunga – tanto da avere un figlio da lui – e molto violenta. E oltre al danno c’è stata anche la beffa, dato che lui l’ha tradita. Ma soprattutto oggi ha raccontato come ci si sente, come la mentalità maschilista dello stalker riesca a sovvertire ogni razionalità.
Pensavo – spiega Adele in un’intervista all’Espresso – di essermi attirata in qualche modo quelle reazioni. Credevo di avere la mia parte di colpe, e questo contribuiva al mio silenzio. Ero stata troppo precipitosa nel decidere di lasciarlo, avevo telefonato a mia madre in sua presenza e lo avevo fatto arrabbiare… Solo molti anni dopo una collega psicologa mi avrebbe detto che non c’erano ragioni al mondo che giustificassero la violenza: e per farmelo capire bene, me lo avrebbe ripetuto più volte, scandendo ogni parola: «Nessuna. Ragione. Al. Mondo». Nessuna ragione al mondo.
Sul Corriere della Sera si può leggere anche la storia dello stalker Claudio, 35enne nel 2013 intervistato da Beppe Severgnini. Ci sono alcuni passaggi dell’intervista che fanno tantissima rabbia dal punto di vista femminile: si legge il carattere di un uomo che vuole controllare la propria donna nelle abitudini e nell’abbigliamento, che è entrato nella sua casa con un’accetta. E che ritiene che le pubblicità progresso contro lo stalking non dovrebbero contenere donne che guardano gli uomini in segno di sfida. Nella sua storia giudiziaria – che si è conclusa con un patteggiamento a 18 mesi – nessuno fortunatamente si è fatto male. Claudio dice di essere cambiato, eppure nelle sue parole si ravvisano dei retaggi pericolosi.
Non so neanche io se sono geloso, può darsi – dice a un certo punto – Poi adesso queste mode qua sono abbastanza, come dire… Si piegano e si vedono le mutande, per non parlare delle scollature. Eccomi darebbe fastidio se la mia fidanzata va in giro così. Mi sembra quasi poco serio.
Cosa ne pensi?