Intervista a Ilaria Cucchi: "Perché non vado a piangere in tv"

Questa intervista con Ilaria Cucchi ha avuto luogo il 16 novembre 2019, a meno di 48 ore dalla sentenza del 14 novembre 2019 in cui la Corte d'Assise di Roma ha condannato i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro a 12 anni per omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi. Condanne definitive quindi per i due, accusati del pestaggio di Stefano la notte del 15 ottobre 2009, confermate il 4 aprile 2022 dalla Corte di Cassazione.

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Incontrare Ilaria Cucchi equivale a un incontro con la parte migliore e più civile di noi stessi, nel senso etimologico di quest’ultimo aggettivo: dove per “civile” si intende ciò che ha a che fare con l’essere cittadini all’interno di un’organizzazione sociale, ovvero di uno Stato.

È un confronto scomodo, sia chiaro, perché ci strappa a convinzioni e alibi rassicuranti, che vanno da “a me non potrebbe mai succedere” al “sono una persona comune, cosa potrei mai fare per cambiare le cose?”.

Invece, ecco Ilaria Cucchi, colei che prima di essere “la sorella di Stefano Cucchi”, era un’amministratrice di condominio, mamma di due figli e figlia, a sua volta, di un geometra e di un’insegnante: una di cui non avremmo mai saputo nulla.

Nel corso dell’intervista che, per ovvie ragioni di montaggio è soggetta a dei tagli lo ripete spesso: “Da soli non si fa nulla!”.
Di fatto, però, se a dieci anni dalla morte di Stefano Cucchi, il 14 novembre 2019 la Corte di Cassazione di Roma ha scritto quelle due parole in una sentenza storica – “omicidio preterintenzionale” – è stato grazie alla ribellione ostinata di questa donna ai tanti chi le consigliarono di lasciare perdere, che tanto Stefano era morto e che certi poteri non si toccano.

Sbaglia chi pensa al processo Cucchi come al processo della famiglia Cucchi. È stato ed è un processo sui diritti dei cittadini, sul dovere e sull’onore di chi indossa una divisa: un processo di civiltà.

Lo Stato italiano ha processato se stesso e questo gli fa onore. Anche se ci sono voluti 10 anni.
Anche se ci sono stati tanti tentativi di nascondere la polvere (e il sangue di Stefano) sotto il tappeto, direttamente o per omissione. Ma mentre in tanti giocavano a nascondino dietro i poteri forti, altrettanti uomini e donne di legge hanno avuto il coraggio di uscire da un sistema di comfort omertoso e indegno per uno Stato che voglia essere orgoglioso delle proprie istituzioni.

Chi critica, ferocemente, la famiglia Cucchi o la accusa di santificare Stefano, che un santo non era, dimentica colpevolmente un dettaglio importante. A pochi giorni dall’arresto e dalla morte di Stefano Cucchi, quando il processo per droga era già concluso, furono gli stessi genitori di Stefano Cucchi a denunciare il figlio, morto, dopo aver ritrovato nella sua abitazione un quantitativo non indifferente di hashish e di cocaina.

Perché lo fecero? Perché non buttare quel bottino nel water, sapendo bene che la loro battaglia sarebbe a maggior ragione diventata un processo a Stefano Cucchi, uno scandagliarne la vita alla ricerca di tutti quei segnali che, per qualcuno, bastano a giustificarne o addirittura renderne auspicabile la morte?
Per senso civico.
“Non puoi andare a combattere contro un’ingiustizia con la coscienza sporca – dice l’avvocato Fabio Anselmo, ora anche compagno di Ilaria Cucchi -. Per cui questi due genitori, nonostante fosse già loro chiaro che il figlio era stato ammazzato di botte in una caserma, decisero di compiere il loro dovere di cittadini e di denunciarlo”.

Perché quello Cucchi non è un processo di santificazione di un ragazzo drogato o di uno spacciatore, ma un processo che mira a ripristinare la giustizia.
Stefano doveva pagare, ma secondo la legge. Non secondo gli abusi e la legge personale di chi ha deciso, pur rappresentandolo, di sostituirsi allo Stato.

E allora perché tanto odio attorno a Ilaria Cucchi, perché non si riesce a riconoscere una vittima, ma si sovrappongono pregiudizi, violenze verbali e accuse infamanti?

Glielo chiedo, attendo la risposta, e poi mi chiedo e le chiedo.

“Quanto c’entra il fatto che tu sia donna che procede a testa alta, che restituisce un’immagine di sé forte, combattiva?
Quanto ti è costato il fatto di far valere le tue ragioni e non andare in tv a piangere, a cedere a sentimentalismi e voyeurismi che oggi la gente pretende come manifestazione di dolore?”.

La risposta di Ilaria è quella con cui si apre questo video. E, purtroppo, probabilmente ha ragione lei.

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