Dal Tech Bro al Tech Savior: la nuova narrativa discriminatoria del salvatore digitale

Chi sono i Tech Savior e da cosa nasce il mito (e limiti) che la tecnologia possa essere la salvatrice del mondo e dell'umanità

Con l’avvento massivo dell’utilizzo della tecnologia, anche i termini del nostro vocabolario comune sono cambiati, integrandosi di parole e definizioni che indentificano figure o modalità di pensiero che si nutrono di digitale. Parole come Tech Bro o Tech Savior, per esempio, due concetti che nascono di una matrice comune, la tecnologia e il digitale appunto, ma che sono differenti anche e soprattutto in riferimento al possibile impatto sulla collettività.

Il termine tech bro, per esempio, deriva dall’unione di due parole, “tecnology” e “brothers”, e sta a indicare quelle persone, imprenditori e innovatori che lavorano nell’industria tecnologica e digitale. Dalla definizione data dal dizionario Dizionario Collins: “Si definisce tech bro un uomo che lavora nell’industria tecnologica innovativa” e che “ha un’opinione molto elevata di se stesso e spesso scarse attitudini sociali”.

Giusto per fare qualche esempio di Tech Bro, fanno parte di questa categoria personalità come Elon Musk, Mark Zuckerberg o Jeff Bezos, oltre a ai vari capi dei grandi gruppi tecnologici della Silicon Valley.

Il concetto di tech savior: significato e implicazioni sociali

Quando si parla di Tech Savior, invece, si entra in un concetto diverso, che parte sempre dagli stessi presupposti ma con l’aggiunta di un’implicazione maggiore. Il tech savior, che letteralmente significa “salvatore tecnologico”, è una definizione che si riferisce alla convinzione secondo la quale la tecnologia e per estensione quelli che la creano, possano salvare l’umanità dai maggiori problemi che l’affliggono, come quelli a livello sociale, economico, ambientale o politico.

Si tratta quindi di una sorta di ottimismo tecnologico che viene associato a figure ritenute carismatiche a livello mondiale, come quelli citati sopra.

Personalità viste come dei geni, capaci di creare soluzioni rivoluzionarie e che posseggono una forza morale e salvifica legata all’implementazione di soluzioni tecnologiche e digitali, che allo stesso modo vengono viste quasi come forze divine.

Se da un lato, quindi, i Tech Savior possono avere un’implicazione sociale positiva, spingendo l’innovazione in modo accelerato, portando l’attenzione globale su problemi importanti come la salute o la crisi climatica o diventando fonte di ispirazione per una modalità di pensiero e di evoluzione tecnologica, dall’altro ci possono anche essere delle implicazioni negative in riferimento a queste figure.

Come il focalizzare l’attenzione solo su alcune tematiche tralasciando quelle sociali, come la disuguaglianza, andando a delegare ogni cosa alla tecnologia. O ancora portando chi si occupa di tecnologia ad essere quasi delle figure intoccabili rispetto a possibili controversie o impatti negativi delle loro aziende a livello sociale. E fino alla modalità di pensiero secondo la quale, ogni problema umano possa essere risolto con una soluzione tecnologica, cosa che non solo è riduttiva ma che è anche falsa.

Tecnologia come salvezza: utopia o realtà?

Date queste premesse, quindi, appare chiaro come il concetto di tech savoir, in base a come viene visto e considerato, possa avere una duplice valenza, positiva o negativa, sulla collettività. Cosa che riguarda anche la visione della tecnologia come una salvezza.

La concentrazione del potere e delle ricchezze nelle mani di pochi (i cosiddetti bich tech) che viene giustificata dal mito del savoir tech, e questa sorta di colonialismo tecnologico dato dal fatto che spesso le soluzioni promosse vanno a ignorare completamente le culture locali, oltre a produrre nuove forme di dipendenza, mostrano quanto la tecnologia possa essere distante dal concetto di salvezza.

E non tanto per la sua natura e per quello che fa, ma per come viene gestita, utilizzata e per tutto ciò che vi ruota attorno, che in quanto nelle mani dell’uomo ne prende anche tutti i difetti.

Pur essendo un concetto e una figura potente a livello contemporaneo, per avere reale beneficio dal tech savior è fondamentale distinguere tra ciò che rappresenta un’innovazione reale e la storia raccontata di come questo possa essere una fonte di salvezza per l’umanità.

La tecnologia, infatti, può certamente essere una parte importante delle soluzioni che vengono messe in atto nei diversi ambiti, ma non può in alcun modo andare a sostituire quelle che dovrebbero essere delle peculiarità umane, come l’etica, la capacità di dibattito, l’agire collettivo e per la collettività, ecc.

Il ruolo del tech savior nell’innovazione e nella società moderna

Il ruolo del Tech Savior all’interno della società moderna, quindi, potrebbe essere positivo se non si perde la parte “umana” in favore unicamente di quella tecnologica. Per esempio come una sorta di propulsore del cambiamento, mettendosi alla guida di aziende o start up che introducono nei loro modelli le cosiddette tecnologie di rottura o disruptive technologies, come le biotecnologie o l’AI.

Ma i Tech Savior possono anche essere nei narratori di possibili scenari futuri, investendo e orientando le politiche globali verso un progresso guidato dall’uso consapevole della tecnologia.

E fino ad essere dei poli di attrazione per i giovani nell’ambito del digitale e della tecnologia, promuovendo una maggior innovazione e scovando i veri talenti del settore.

Insomma, qualcuno in grado di offrire soluzioni sistemiche in tempi rapidi e di creare vera innovazione.

Critiche e dibattiti attorno alla figura del tech savior

Allo stesso tempo però, la figura del Tech Savior non è esente da critiche o dibattiti, e sopra vi abbiamo già accennato i motivi. Come la concentrazione del potere e della ricchezza in pochissime mani, andando a minare la democrazia, la privacy di tutti e l’equità. Ma anche l’idea che la tecnologia possa risolvere e sostituirsi a ogni cosa, un concetto tanto sbagliato quanto pericoloso. E fino alla divinizzazione che viene fatta rispetto a queste figure, quasi andando a creare un culto che le eleva a intoccabili e che mette in serio pericolo il pensiero critico e la visione reale delle cose.

Comprendere la dualità insita nei savoir tech, quindi, è fondamentale per orientare il fenomeno verso un’innovazione più democratica, etica e inclusiva. Anche tenendo sempre a mente che, il progresso vero, non avviene mai solo nei laboratori, ma è il prodotto del lavoro che si crea all’interno delle comunità in sinergia con le istituzioni e con una responsabilità condivisa.

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