Suicidio assistito o eutanasia? Cosa dicono le leggi in Italia e all'estero

Il suicidio medicalmente assistito, come si evince dalla denominazione, si configura come l'atto di porre fine alla propria esistenza mediante il supporto e l'aiuto di un medico, il quale fornisce al paziente il farmaco con cui quest'ultimo provocherà la propria dipartita, autosomministrandoselo. Si differenzia, perciò, dall'eutanasia, dove la morte è, al contrario, indotta da un altro individuo, e non dal paziente che ne fa richiesta. Vediamone i dettagli.

Il diritto a una “buona morte” e a porre fine alla propria vita nei modi e nei tempi che si ritengono più appropriati dovrebbe costituire uno dei pilastri del nostro vivere civile.

Ancora oggi, tuttavia, quello della morte indotta è un tema dibattuto, frastagliato e divisivo, come dimostrano i discorsi pubblici relativi al suicidio assistito, all’eutanasia e alla sedazione palliativa continua profonda. Di che cosa si tratta, nello specifico, e quali sono le differenze che concernono queste pratiche? Vediamolo insieme.

Che cosa si intende per suicidio assistito?

Il suicidio medicalmente assistito, come si evince dalla denominazione, si configura come l’atto di porre fine alla propria esistenza mediante il supporto e l’aiuto di un medico, il quale fornisce al paziente il farmaco con cui quest’ultimo provocherà la propria dipartita – autosomministrandoselo. Tendenzialmente, esso ha luogo in strutture protette, dove il personale specializzato si occupa di tutto ciò che concerne la morte in senso lato, ossia il ricovero, la preparazione delle dosi e delle sostanze coinvolte e la gestione tecnica e legale post mortem.

Tra i casi più recenti, si annovera, in questo senso, quello di Fabio Carboni, 44enne rimasto tetraplegico dal collo in giù in seguito a un incidente stradale. Grazie alla depenalizzazione del reato di “omicidio del consenziente”, infatti, Carboni ha potuto ricorrere, nel 2022, al suicidio medicalmente assistito, dopo ben dodici anni di sofferenza, profilandosi come la prima persona in Italia a richiederlo e ottenerlo.

La strada per il suo conseguimento, però, è stata particolarmente tortuosa e lastricata di ostacoli. Come si legge sul sito della Fondazione Veronesi, infatti:

Nonostante vi fossero tutti i presupposti clinici e legali per procedere, le istituzioni competenti hanno deciso di non decidere per molto tempo, costringendo Federico a condurre sotto lo pseudonimo di “Mario” una battaglia civile per vedere riconosciuto il suo diritto al suicidio medicalmente assistito. A Federico, negli ultimi giorni, è stato anche detto che avrebbe dovuto farsi carico delle spese per il macchinario che lo avrebbe aiutato a morire, il cui costo non sarebbe stato coperto dalle strutture sanitarie.

Esso è stato, perciò:

Un ulteriore atto di mancanza di rispetto da parte delle istituzioni nei confronti di una persona che voleva solo rivendicare un suo diritto e che, per fortuna, ha motivato una serie di altri atti di generosità da parte di molti donatori che hanno organizzato una raccolta fondi, (coordinata dall’Associazione Luca Coscioni) per coprire le spese e acquistare il macchinario di cui Federico aveva bisogno. Il 16 giugno 2022, dopo ulteriori mesi di sofferenza, Federico ha potuto finalmente esaudire le sue volontà.

Le differenze tra suicidio assistito ed eutanasia

Ma quali sono le differenze tra il suicidio medicalmente assistito e la dibattuta eutanasia? Come abbiamo visto, nel primo caso il paziente fa richiesta di un farmaco che si autosomministrerà per porre fine, nel pieno delle sue capacità decisionali e cognitive, alle proprie sofferenze.

Nel secondo caso, invece, sebbene la condizione di partenza sia la medesima – ossia una persona che richiede coscientemente di terminare la propria esistenza -, si fa riferimento all’atto di procurare in maniera intenzionale la morte di un individuo somministrando a esso le dosi della sostanza letale, sospendendo le cure o spegnendo le macchine che lo tengono in vita, agendo, così, in maniera diretta e non più solo assistenziale.

Come si legge sul sito dell’Associazione Luca Coscioni, perciò:

Le due pratiche hanno in comune la volontà (libera e consapevole) della persona (cosciente e in grado di capire le conseguenze delle proprie azioni) che ne fa richiesta e l’esito finale (voluto dalla persona). La differenza riguarda le modalità di esecuzione e di coinvolgimento altrui: nel caso del suicidio medicalmente assistito è il paziente ad autosomministrarsi il farmaco letale, l’eutanasia invece prevede l’intervento di un medico per la somministrazione.

Le leggi in Italia e all’estero

Attualmente, in Italia, il ricorso al suicidio medicalmente assistito è possibile, in determinate circostanze, grazie alla disobbedienza civile attuata da parte di Marco Cappato per l’aiuto fornito a Fabiano Antoniani (sentenza 242 della Corte costituzionale). Le circostanze di cui si parla sono le seguenti: la persona che lo richiede deve essere

  1. affetta da una condizione irreversibile
  2. da sofferenze insopportabili e refrattarie
  3. deve essere capace di prendere decisioni autonome.

L’eutanasia, invece, è ancora illegale, come affermato dall’articolo 579, denominato “Omicidio del consenziente”. Quest’ultima – unitamente al suicidio assistito – è, al contrario, autorizzata in Olanda (dove, nel 2020, il suicidio assistito è stato esteso anche ai minori di 12 anni, malati terminali), Belgio, Lussemburgo, Colombia, Canada, Uruguay e in cinque Stati Usa (Oregon, Vermont, Washington, Montana, Nuovo Messico e California). Il Belgio, nello specifico, costituisce un caso emblematico, dal momento che, come si legge su La Repubblica, esso è stato:

Il primo Paese a introdurre l’eutanasia infantile, senza limiti d’età e previo consenso dei genitori, è stato il Belgio nel 2016. A Bruxelles l’eutanasia è stata legalizzata nel 2003, mentre il suicidio assistito non è esplicitamente legale.

Un altro caso a sé è, poi, rappresentato dalla Svizzera, dove l’eutanasia non è legale, ma il cui codice penale prevede, attraverso l’articolo 115, la possibilità di procedere con il suicidio assistito se eseguito da una persona, che non sia un medico o un parente, priva di interesse nella morte del soggetto richiedente. Ed è proprio qui che, nel 2017, dj Fabo ha trovato la morte grazie al sostegno di Marco Cappato.

Il dibattito e le polemiche sul suicidio assistito

La Corte Costituzionale, dopo aver emesso la storica sentenza del 2019 sul caso Cappato/Antoniani, non è, però, sufficiente a garantire, da sola, il diritto al suicidio medicalmente assistito.

Per tale ragione, l’Associazione Luca Coscioni è impegnata a presentare nelle Regioni la legge di iniziativa popolare Liberi Subito, al fine di garantire tempi e procedure ai pazienti – spesso malati terminali -, costretti ad appellarsi ai tribunali per avere un risposta da parte del Sistema Sanitario Territoriale, che, in assenza di regole precise, non sa come comportarsi per attuare la sentenza.

Permangono, tuttavia, le polemiche – soprattutto di natura cattolica e conservatoria -, la maggior parte delle quali si focalizza sul “preoccupante dilatarsi” – che una legge garantirebbe – della platea di persone che potrebbero accedere al suicidio assistito, senza che la loro volontà sia sottoposta a valutazioni, giudizi e critiche ulteriori. Il tutto in favore di un’autodeterminazione che provocherebbe danni al sistema relazionale in cui il soggetto è immerso – tramutatosi così, secondo alcuni, in oggetto su cui decidere – e che, in realtà, non proverrebbe da una libera scelta, bensì da ingiunzioni e obblighi sociali ed economici.

Insomma: la vita non si tocca, anche se a decidere di terminarla vi è un individuo pienamente cosciente della propria scelta (magari anche redatta sotto forma di DAT – Disposizioni Anticipate di Trattamento) e desideroso solo di porre fine alle proprie sofferenze, fisiche, psicologiche e morali.

Gli ostacoli a una legislazione sul fine vita

Quali sono, allora, gli ostacoli che bloccano una legislazione sul fine vita in Italia? In primo luogo vi è, senza dubbio, l’ingerenza della Chiesa cattolica, che concepisce il suicidio medicalmente assistito alla stregua di un “omicidio assistito”, cui si accompagnerebbe anche una scarsità della cura e dell’impegno profuso nel mantenere in vita il paziente.

Come affermano i vescovi delle quindici diocesi del Triveneto:

Il suicidio assistito, come ogni forma di eutanasia, si rivela una scorciatoia – premettono –: il malato è indotto a percepirsi come un peso a causa della sua malattia e la collettività finisce per giustificare il disinvestimento e il disimpegno nell’accompagnare il malato terminale.

Per cui:

Primo compito della comunità civile e del sistema sanitario è assistere e curare, non anticipare la morte. La deriva a cui ci si espone, in un contesto fortemente tecnologizzato, è dimenticarsi che lo sforzo terapeutico non può avere come unico obiettivo il superamento della malattia quanto, piuttosto, il prendersi cura della persona malata.

Di qui, la predilezione nei confronti delle cure palliative, una formazione adeguata del personale e la possibilità di un accompagnamento totale ed esaustivo del malato, affinché sia alleviato dal dolore e dalla sofferenza che lo pervadono. E poco importa se, questo, ha già deciso di morire.

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