Dopo la great resignation e il quiet quitting, un nuovo trend, questa volta partito da TikTok, sta mettendo in discussione la cultura del lavoro così come la conosciamo. Basta hustle culture, le ragazze della Gen Z cercano un “lazy girl job” che possa far combaciare salari dignitosi e benessere.

Ecco in cosa consiste e perché è anche una questione legata all’empowerment femminile.

Lazy girl job: cosa significa?

L’espressione è stata coniata da Gabrielle Judge, influencer e fondatrice dell’iniziativa online Anti Work Girl Boss, in un video diventato virale per indicare quei lavori caratterizzati da stress minimo e una paga dignitosa, ma con un investimento emotivo minimo o nullo:

Un lazy girl job è fondamentalmente qualcosa a cui puoi semplicemente rinunciare. Ci sono molti lavori là fuori in cui potresti guadagnare, ad esempio, da 60 a 80 K senza lavorare così tanto e da remoto.

Il concetto si è esteso al “lazy girl job movement”, una spinta sociale più ampia verso la ridefinizione di ciò che intendiamo con “successo” e “produttività” che sfida le norme lavorative tradizionali e sostiene una cultura del lavoro che valorizzi la salute mentale, il tempo personale e il benessere tanto quanto i risultati professionali.

Quali sono i tipici lazy girl jobs?

Assistente amministrativa, receptionist, customer service manager, ma anche assistente marketing e content creator sono solo alcuni dei lavori tipici.

In generale, si tratta di tutte professioni con un orario fisso 9-18, un buono stipendio e buoni benefit, senza responsabilità o carichi di lavoro così eccessivi al punto di portare al burnout.

Il punto di vista della Gen Z: pigrizia o emancipazione?

Il fatto che si tratti di una tendenza, proprio come il quiet quitting, è una reazione culturale alla nostra cultura del lavoro “sempre attivo”. Quiet quitting in realtà significava semplicemente fare il proprio lavoro entro le ore richieste, e quello che è considerato un lavoro da ‘Lazy Girl’ probabilmente non è nemmeno così pigro: semplicemente non va oltre. Fondamentalmente è così che le persone lavoravano qualche decennio fa, senza Internet.

Ha spiegato a Baazar Emma Gannon, autrice di The Success Myth e conduttrice del più importante podcast sulla mondo del lavoro nel Regno Unito.

I millennials, e più ancora la Gen Z, infatti, hanno ereditato della generazione precedente il culto della competitività, della produttività e del lavoro “estremo”, in un contesto che però si è trasformato, non solo dal punto di vista economico (basta pensare al diverso potere d’acquisto), ma anche da quello della possibilità – che si trasforma spesso in obbligo – di essere operativi anche oltre gli orari di lavoro e di potersi – doversi – portare il lavoro a casa sullo smartphone, uno strumento che ciascuno di noi ha sempre con sé.

Senza dimenticare la frattura, da questo punto di vista rivoluzionaria, della pandemia.

Per le Gen Z che si sono unite al trend dei “lazy girl job” non si tratta di essere pigre, ma, ha detto ancora Judge, «di essere più neutrali nel nostro lavoro», di non plasmare la propria identità attorno al proprio lavoro.

Soprattutto, si tratta di far luce sulla cultura del lavoro nel suo insieme, quella “hustle culture” che ci dice che se stacchiamo in orario «oggi mezza giornata?», che dobbiamo essere reperibili 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Che dobbiamo farci carico di tutto ciò che ci viene chiesto, oltre le nostre mansioni, oltre il nostro benessere altrimenti non stiamo facendo abbastanza. E recuperare il lavoro per quello che, in fondo, è (o dovrebbe essere): un mezzo per guadagnare il denaro che ci permette di vivere.

Lazy girl job e parità di genere

Secondo le promotrici, il concetto di “lazy girl job” non solo combatte una cultura del lavoro tossica, ma è uno strumento di empowerment femminile. Non tutte, però, sono d’accordo su questo aspetto. Una delle critiche principali è proprio la genderizzazione del fenomeno, visibile soprattutto nella parola “ragazza” in “Lazy Girl Jobs”, problematico perché rafforza gli stereotipi di genere: applicare questa etichetta a posizioni come quella di assistente amministrativa, che sono spesso ricoperte da donne, perpetua l’idea sbagliata che questi ruoli siano irrilevanti.

Elisa van Dam e Susan MacKenty Brady del Simmons University Institute for Inclusive Leadership, esperte in equità e inclusione di genere, hanno spiegato a Forbes che questo tipo di narrativa può essere dannosa per le donne, minando il rispetto conquistato a fatica sul posto di lavoro e implicando che le donne non sono ambiziose.

C’è anche un’altra analisi di questo fenomeno, però, che è quella che emerge dal sondaggio pubblicato da Gallup nell’ottobre 2023 “Debunking “Lazy Girl” Jobs: What Women Really Want at Work”: se le donne cercano “lavori da ragazze pigre” è perché sperimentano il burnout a tassi più elevati rispetto agli uomini: il 33% rispetto al 25% degli uomini. Questo, spiega influisce su ciò che cercano nel loro prossimo ruolo, tra cui un maggiore equilibrio e stabilità tra lavoro e vita privata. Le donne, infatti, sono significativamente più propense ad affermare che un migliore benessere personale è molto importante quando si considera un prossimo lavoro (69%) rispetto agli uomini (58%).

La tendenza del “lady girl job”, quindi, non rifletterebbe tanto la pigrizia femminile, ma quanto le donne siano esauste ed esaurite al lavoro.

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