Digital kidnapping, cos'è il "rapimento digitale di bambini" e come avviene

Con l'espressione digital kidnapping si intende il "rapimento digitale" di foto di minorenni a opera di cyber criminali che, con esse, intendono creare profili falsi e nuove identità basate sulle informazioni ricavate dagli scatti, e con le finalità più disparate (dall'aumento di followers all'utilizzo delle fotografie sui siti pedopornografici). Vediamo di che cosa si tratta nel dettaglio.

Il primo giorno di scuola, una gita fuori porta, le vacanze al mare, il pranzo con i nonni, ma anche la primissima ecografia, il momento del bagnetto, scene buffe durante lo svezzamento o il riposino pomeridiano. Sono tanti gli episodi di vita quotidiana che riguardano i propri figli e che i genitori decidono di immortalare e conservare a imperitura memoria.

Per farlo, però, non sempre basta il rullino del cellulare. Molto spesso, infatti, le foto dei “piccoli di casa” sbarcano sui social network, per i motivi più disparati: desiderio di condivisione con gli amici e i parenti, bisogno di suscitare un sorriso o un po’ di commozione alla vista di determinati scatti o, più banalmente – e tristemente -, voglia di totalizzare più like e followers con foto che possano intenerire e catturare l’attenzione.

Seppur le intenzioni siano le più positive, tuttavia, vi è un rischio cui nessuno può sottrarsi: il cosiddetto “digital kidnapping”. Vediamo di che cosa si tratta.

Che cos’è il digital kidnapping?

Con l’espressione digital kidnapping si intende il “rapimento digitale” di foto di minorenni a opera di cyber criminali che, con esse, intendono creare profili falsi, nuove identità basate sulle informazioni ricavate dagli scatti e inserire, così, la vittima in un contesto totalmente differente rispetto a quello di provenienza, per gli scopi più disparati. Il tutto, naturalmente, senza il consenso dei genitori, vittime anch’esse di un furto lesivo e molto pericoloso.

In Italia, il rapimento digitale è regolato dall’articolo 494 del Codice penale e rientra nel reato di “Sostituzione di persona”, il quale recita così:

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica con la reclusione fino a un anno.

Come avviene il rapimento digitale?

Nella maggior parte dei casi, il digital kidnapping è provocato dai medesimi utenti che pensano di compiere un’azione tanto tenera quanto innocua condividendo foto di momenti intimi e personali, ossia: i genitori.

Con la diffusione dei social network – e le restrizioni imposte dai lockdown pandemici -, si è verificato, infatti, il proliferare di un fenomeno sempre più invasivo: lo sharenting, crasi tra il verbo “share”, condividere, e “parenting”, genitorialità, il quale consiste nel condividere, appunto, scatti dei propri figli sui canali social ed esporli, in questo modo, ai numerosi e invisibili pericoli che interessano la rete.

Come spiega Daniela Borrino, docente ed esperta in Scienze dei Servizi Giuridici:

Molti genitori, per soddisfare la propria velleità narcisistica, condividono materiale fotografico dei propri figli tramite device tecnologici sempre più performanti e a portata di clic, ignorando quanto sia rischioso esporli nel mare di internet: è possibile che dietro all’identità di un utente di dubbia affidabilità, che non si è mai visto né conosciuto di persona, si possa nascondere un cybercriminale. Ebbene, lo sharenting costituisce in qualche modo un atto di “favoreggiamento” di un possibile reato la cui vittima diretta è un minore innocente.

Ne consegue che i cyber criminali possano attingere, così, a un pozzo inesauribile di materiale e informazioni, dal momento che ogni foto postata online, come si legge su Agenda Digitale, viene sottoposta a un’attenta disamina da parte degli algoritmi, che sono in grado di ricavare, da essa, una molteplicità di dati personali e sensibili. Come, ad esempio, i dati EXIF, che consentono di localizzare la posizione precisa e/o le coordinate GPS del luogo in cui è stata scattata l’immagine che ritrae il minorenne.

Rischi e conseguenze del digital kidnapping

I rischi legati al rapimento digitale di fotografie di bambini/e e ragazzi/e sono innumerevoli. Tra i più eclatanti vi è, senza dubbio, quello legato alla creazione di profili falsi, la quale avviene mediante la rilevazione dei dati sensibili (geotag, informazioni relative ai parenti e agli amici, interessi, indirizzo di casa e così via) e comporta l’appropriazione vera e propria dell’identità del minore.

Le finalità possono essere diverse: adescare altri minori (mediante un profilo che, ritraendo a sua volta un minore, non suscita preoccupazione), convincere ragazzi e ragazze a mandare foto erotiche, arrivando addirittura alle minacce, produzione e aumento di followers, alterazione di sondaggi e votazioni (per esempio, nel caso dei talent show), fino alle conseguenze più gravi, come le manipolazioni e le truffe online, la creazione di un “alter ego digitale” del minorenne fin dalla sua più tenera età e l’utilizzo e la condivisione di immagini su siti pedopornografici.

Senza dimenticare, infine, che, nel complesso, postare foto dei propri figli lede la loro identità e si configura come una grave mancanza di rispetto nei loro confronti, dal momento che le immagini difficilmente scompaiono da Internet e il bambino, una volta cresciuto, può imbattersi nella traccia indelebile della propria infanzia lasciata dalle immagini condivise sui social network da genitori e parenti (9 volte su 10, infatti, come precisa l’esperto in Comunicazione digitale Gianluigi Bonanomi, i genitori non chiedono il permesso di postare le foto ai propri figli).

Come tutelarsi dal digital kidnapping

Come proteggersi, dunque? Il primo passo è il buonsenso: postare foto dei propri figli o nipoti non è, ovviamente, “vietato”, ma si può fare rispettando alcune linee guida “morali” che siano in grado di regolarne le modalità e gli eventuali rischi associati, tutelando il diritto alla riservatezza dei minori attraverso il ricorso a sticker o simili che possano velarne parti del volto e del corpo.

Fondamentale, poi, modificare le impostazioni della privacy e porle altamente restrittive, permettendo la visione delle fotografie solo a una cerchia limitata di persone fidate e conosciute, così come eliminare il geotag e i dati EXIF, in modo tale da eludere l’acquisizione delle coordinate GPS e, quindi, le informazioni legate al luogo in cui l’immagine è stata scattata.

E, infine, fare estrema attenzione agli individui cui, anche solo tramite WhatsApp, si inviano le foto dei propri figli: purtroppo, in un mondo etereo ed evanescente come quello di Internet, non è sempre semplice sapere chi si nasconde davvero dietro ai profili che appaiono sui social network e nelle chat di messaggistica, motivo per cui è essenziale muoversi con estrema cautela e preservare il più possibile l’identità e la privacy di figli, nipoti e, in generale, dei minori.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!