È un fatto: sempre più persone vogliono lasciare il lavoro. Almeno 1 su 2 secondo il report “Italiani e lavoro nell’anno della transizione” realizzato dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro. Scarsa retribuzione, mancanza di prospettive di carriera, ansia… i motivi sono molti, soprattutto per i giovani, che sempre più in massa stanno trasformando il desiderio di lasciare il lavoro in realtà: secondo l’Associazione Italiana Direzione Personale (ADPI), infatti, le dimissioni volontarie fra i giovani in Italia toccano il 60% delle aziende.

Non sempre si lascia il lavoro per un’altra opportunità, il caso più comune e socialmente accettato: spesso entrano in gioco altre dinamiche, mirate soprattutto a preservare – o recuperare – il benessere emotivo o psicologico dei lavoratori.

7 buoni motivi per lasciare il tuo lavoro

1. Un ambiente di lavoro tossico

Tensione continua, mobbing, confusione di ruoli e mansioni, scarso ascolto reciproco, mancanza di autonomia, scarso rispetto per le necessità altrui e il tempo libero, colleghi e superiori sempre sulla difensiva o aggressivi: i segnali di un ambiente di lavoro tossico possono essere moltissimi, ma spesso riconoscerli non è facile. In tutti i casi, però, ci si sente stressati, non a nostro agio, e la produttività ne risente.

2. Bassa retribuzione e poche prospettive di carriera

Purtroppo, lo sappiamo: in Italia i salari sono bloccati da anni, mentre i prezzi continuano a crescere. In mancanza di un salario minimo, le retribuzioni sono estremamente variabili e, in molti casi, assolutamente inadeguate. Talvolta, ad essere bloccati non sono i salari ma le possibilità di fare carriera, soprattutto se si è donne: il “soffitto di cristallo” è ancora presente in tantissime aziende e, spesso, purtroppo romperlo da sole è impossibile.

3. Ansia e stress

I disturbi legati allo stress, che si manifestano con ansia, disturbi del sonno e sintomi della depressione, sono molto comuni tra i lavoratori: secondo la ricerca “The Workforce View 2020 – Volume Uno” realizzata da ADP, il 62% degli intervistati prova stress almeno una volta alla settimana, una percentuale che si alza tra i lavoratori più giovani, che hanno maggiori probabilità di soffrire di stress rispetto ai colleghi più anziani. Il 70% dei 18-24enni, infatti, prova stress almeno una volta alla settimana, rispetto al 50% delle persone di età superiore a 45 anni.

4. Molestie sessuali

Le molestie sessuali sul posto di lavoro sono molto più comuni di quanto si pensi. Se non se ne parla abbastanza e non vengono denunciate è perché spesso si fatica a identificarle a meno che non si tratti di casi eclatanti. Secondo la giurisprudenza, anche le parole, al pari delle azioni, possono rappresentare una molestia e, quello che è più importante, è che non importa l’intenzione di chi le mette in atto ma il modo in cui vengono recepite.

5. Un datore di lavoro che non rispetta la legge

Lavori a nero, contratti fasulli, mancanza dei dispositivi di sicurezza, rifiuto di pagare, violenze verbali o fisiche… ci sono molti modi in cui un datore di lavoro può violare la legge, tutti buoni motivi per lasciare il posto in cui ci si trova e cercare una nuova posizione.

6. Fare un giro intorno al mondo o aprire una propria attività

Non tutte le motivazioni per lasciare il lavoro devono essere negative: si può decidere di lasciare quello che stiamo facendo per lanciarsi e fare qualcosa per noi stessi. Può trattarsi di un’attività indipendente, di un progetto condiviso. Non è mai troppo tardi per tirare fuori i sogni dal cassetto se se ne ha la possibilità o per prendere finalmente quel volo e scoprire il mondo.

7. Recuperare il proprio benessere

Ci possono essere mille buoni motivi per lasciare il lavoro, ma potrebbe bastarne uno: prendersi cura di se stessi. Secondo il report della Fondazione Consulenti del lavoro, anzi, recuperare il proprio benessere è uno dei motivi che spinge più spesso a voler cercare un’altra attività:

Emerge, nel desiderio di un cambiamento professionale, anche la voglia più profonda di un maggiore benessere ed equilibrio personale, che la situazione attuale non permette appieno di realizzare. Alla richiesta, infatti, di indicare i requisiti irrinunciabili che dovrebbe avere il nuovo lavoro, assieme al miglioramento retributivo, indicato dal 52,5%, una quota pressoché simile (49%) indica un maggiore equilibrio personale, minore stress, e più tempo da dedicare a se stessi.

Quando è meglio lasciare il lavoro?

A questa domanda non c’è una risposta universalmente valida. Molto dipende dal motivo per cui lo si fa: nel caso di un datore di lavoro che non rispetta le normative e mette a rischio i propri lavoratori, ad esempio, la risposta è «immediatamente». In altri casi, è fondamentale capire quali sono le tempistiche che per legge si è tenuti a rispettare o, nel caso si lasci il lavoro per una nuova attività, quali sono i tempi in cui è previsto l’inserimento.

Un caso particolare è quello del periodo di prova, durante il quale sia il datore di lavoro che il dipendente possono interrompere il rapporto lavorativo immediatamente e senza conseguenze. In questo caso, se pensate di aver trovato un lavoro che non fa per voi provate a darvi qualche giorno in più, per capire se ci sono possibilità che la situazione cambi conoscendo meglio le mansioni e le dinamiche interpersonali. Se invece cogliete segnali allarmanti (mobbing verso i dipendenti, molestie, mancato rispetto delle normative e simili) scappate subito!

Come lasciare il lavoro: 3 consigli

1. Calcola i tempi del preavviso

I lavoratori dipendenti possono dimettersi dando un periodo di preavviso che varia a seconda del tipo di contratto e dell’anzianità; per alcune categorie di contratti, come quello a tempo determinato, non è prevista questa possibilità ma è possibile arrivare a scadenza naturale del contratto e decidere di non rinnovarlo.

2. Scopri se puoi licenziarti con giusta causa

I dipendenti, anche quelli a tempo determinato, possono però licenziarsi con effetto immediato per “giusta causa”, una trasgressione o una inadempienza tale da compromettere il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. In questa casistica rientrano situazioni come:

  • mancato o ritardato pagamento della retribuzione;
  • omesso versamento dei contributi (purché non sia stato a lungo tollerato dal lavoratore);
  • comportamento ingiurioso del superiore gerarchico verso il dipendente;
  • pretesa del datore di lavoro di prestazioni illecite da parte del lavoratore;
  • mobbing;
  • aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
  • modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;
  • spostamento del lavoratore da una sede all’altra senza che vi siano “comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive” come richiesto dall’articolo 2103 del codice civile.

Anche la gravidanza, sebbene non rientri tra le inadempienze o le trasgressioni, è considerata motivo di giusta causa nel licenziamento.

3. Chiedete aiuto

Se siete in dubbio sulla vostra condizione, la cosa migliore è rivolgersi a un CAF o a un consulente del lavoro, che saprà approfondire meglio il singolo caso, suggerirvi la migliore strategia di azione e, eventualmente, darvi supporto o indirizzarvi verso qualcuno che potrà assistervi nel caso voleste fare vertenza. I lavoratori che si dimettono per giusta causa, al pari di quelli licenziati, possono fare richiesta per la disoccupazione – o NASPI – a seconda del numero di settimane di contribuzione versate nei 4 anni precedenti: la domanda si può fare anche online, ma un CAF potrà assistervi anche in questo, oltre che nell’invio delle dimissioni tramite il portale INPS.

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