Geopolitica: ne parlano soprattutto gli uomini, ma influenza soprattutto le donne

Trattare di geopolitica non è un lavoro semplice, è una materia complessa e profondamente trasversale, che richiede uno studio costante. Gli spazi per potersene occupare sono pochi, ristretti. Quando si è donna, molto soesso, questi spazi sono virtualmente inaccessibili. 

Trattare di geopolitica non è un lavoro semplice, è una materia complessa e profondamente trasversale, che richiede uno studio costante. Gli spazi per potersene occupare sono pochi, ristretti. Quando si è donna, molto spesso, questi spazi sono virtualmente inaccessibili. 

Vizio di narrazione

Nonostante sia divenuta una materia di interesse collettivo, nonostante le trasmissioni si riempiano di narrazioni più o meno centrate sul tema, per una donna ritagliarsi uno spazio da persona competente interpellata sulle questioni connesse di geografia umana, fisica e relazioni internazionali è davvero difficile.

Questo accade perché tutti gli spazi sono occupato da un certo tipo di maschile che ammette alla sua presenza solo un certo tipo di femminile, giornalista sì ma esperta in geopolitica no, corrispondente sì, ma che porti un racconto esperienziale e non accademico.

Questa esclusione porta a un vizio di narrazione in cui non solo si cancellano intere prospettive, ma si impedisce alla materia di progredire. Al pubblico si offre la solita pantomima battagliera, senza offrirgli la possibilità di essere considerato parte attiva e in cerca di informazioni del reale, gli si danno in pasto solo opinioni circostanziali e quando si chiama l’esperto il più delle volte sulla poltrona troviamo ancorato il solito individuo stereotipico imbibito di saperi troppo spesso obsoleti e sempre, sempre, viziati da quel modo maschilista di percepire le cose del mondo e raccontarle di conseguenza. 

Cosa manca?

Ciò che si perde tenendo lontane le donne dalla geopolitica, soprattutto nel racconto pubblico, è proprio la possibilità di aprire il dialogo a nuovi livelli interpretativi, di osservare gli eventi con nuove chiavi di lettura, di contestualizzare le dinamiche oppressive e il ruolo della cultura in tali dinamiche e, quindi, di esercitare un lavoro creativo e propositivo sulla materia. 

La geopolitica è uno spazio totalmente precluso alle donne. Possiamo studiare, parlare,  scrivere a riguardo e farlo con competenza e passione, ma per noi quello spazio rimane genericamente inaccessibile. Il che è indicativo di una certa visione della geopolitica, delle sue dinamiche e conseguenze, soprattutto è il cuore rivelatore di una verità amara: la politica fino ad ora l’hanno fatta principalmente gli uomini – e le poche donne considerate sufficientemente maschili da poter entrare nell’arena come eccezione e non come modello alternativo – e sono sempre loro a raccontarla.

Con quella prospettiva in più

Una narrazione geopolitica femminista, fatta da donne e con una prospettiva necessariamente intersezionale, è forse quanto di più necessario ci sia al momento. Mettere in campo le risorse allontanate, le prospettive silenziate e le competenze negate potrebbe condurre il mondo e la sua analisi di sé stesso verso nuovi lidi, più consapevoli e sconnessi dal bisogno machista di guerra.

Stati nazione e confini come unità di affermazione. La geopolitica è, per definizione, una narrazione complessa della geografia, ovvero un’analisi di come dinamiche ambientali, sociali e politiche si intreccino costantemente le une alle altre. Quindi, inevitabilmente è un racconto di eventi e dei loro effetti sull’umano. E qual è il primo spazio dell’umanità a essere intaccato dagli interessi politici inter e intra nazionali? Qual’è il primo gruppo umano colpito da guerre, carestie, migrazioni e repressioni? Le donne.

Le donne sono le prime vittime delle carestie alimentari perché sono gli individui socializzati alla rinuncia per il bene dell’altro, sono quelle più diffusamente impegnate in lavori agricoli da cui dipende il diretto sostentamento della famiglia, sono coloro che debbono trasportare i membri più giovani ed anziani delle famiglie in caso di migrazione, sono coloro a cui spettano le conseguenze peggiori in caso di invasione. 

Il corpo della nazione

I corpi delle donne fanno sfortunatamente parte della considerazione territoriale. La violenza sessuale in guerra è un metodo di conquista, di repressione e di cancellazione della nazione avversaria. Le gravidanze forzate sono uno strumento diffuso di pulizia etnica e di cancellazione dell’identità nazionale e culturale. Lo stupro, in sé, è usato come mezzo per colpire la proprietà nazionale, il suolo, il futuro e il corpo che per antonomasia deve essere protetto.

I conflitti trasformano la perfezione delle donne, trasmutandole in premi e bersagli. E infatti, quando si parla di conflitti, esse sono raccontate come l’elemento da proteggere dal nemico. Questa narrazione sessista non fa che alimentare la predazione e la dispercezione delle donne, declassate a cose di proprietà. 

La geopolitica del futuro 

Serve una geopolitica capace di integrare anche questo nel discorso, una geopolitica capace di raccontare le conseguenze e le prospettive, ma soprattutto che sia conscia di quanto le dinamiche geografiche, economiche e le interazioni tra stati possano e cambino la sicurezza delle donne nel mondo, più in generale dei gruppi oppressi. E se tanto per cambiare, ogni tanto, venissero invitate donne competenti a parlare di geopolitica, come comunità potremmo superare i bias della narrazione maschile. 

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