Avete presente la gioia di entrare in quella S che pensavate non si sarebbe chiusa? O la soddisfazione di poter dire “porto sempre la stessa taglia da anni”? Cosa pensereste se vi dicessero che siete stati ingannati e che la taglia sull’etichetta vi ha mentito?

Tutti siamo stati prima o poi vittime del vanity sizing: cosa è e perché conoscere la psicologia che lo regola è fondamentale per proteggersi.

Vanity sizing: cos’è?

L’Oxford English Dictionary lo descrive come

la pratica di assegnare ai capi di abbigliamento taglie più piccole di quanto non siano in realtà, al fine di incoraggiare le vendite.

Molto semplicemente: i vestiti rimangono uguali, le taglie rimpiccioliscono, i clienti sono più contenti. E comprano di più.

Ecco il motivo per cui è sempre più difficile rispondere alla domanda “che taglia porti?”: non solo le taglie non corrispondono più alle dimensioni effettive, ma ogni brand fa storia a sé.

Il giornalista a dell’Esquire Abram Sauer ha fatto un test su alcuni brand di pantaloni da uomo e ha scoperto che le misurazioni effettive erano spesso 5-7 cm più grandi della dimensione indicata. Addirittura, in un caso i pantaloni misuravano 12 cm in più rispetto alla taglia riportata sull’etichetta.

Se sperate che le cose vadano meglio nel mondo dell’abbigliamento femminile vi sbagliate di grosso. Le donne devono far fronte a una variabilità ancora maggiore delle taglie: la stessa donna potrebbe indossare una taglia 4 in una marca e una taglia 10 in un’altra, secondo Stephanie Clifford del New York Times nell’articolo One size fits nobody

Le cause del fenomeno del vanity sizing

Magro è bello. Ce lo dicono tutti, no? Dalle tv ai giornali, passando per le foto dei social, il messaggio martellante è che più saremo magri, più saremo attraenti, e felici. Per questo, basta un trucco da prestigiatore che cambia il numero della taglia senza cambiare le dimensioni degli abiti per farci sentire meglio.

I brand, però, non utilizzano il vanity sizing per coccolare il nostro ego, o meglio non solo: farci stare bene non è il fine, ma il mezzo. L’obiettivo è uno e uno solo: spingerci a comprare di più.

Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Consumer Psychology, acquistare taglie più piccole (o presunte tali) aumenta l’autostima dei consumatori, mentre acquistare taglie grandi non cambia solo la percezione del proprio corpo, ma anche del capo di abbigliamento che si sta acquistando:

In cinque studi dimostriamo che le taglie più grandi si traducono in valutazioni negative dell’abbigliamento e dimostrano che questi effetti sono guidati dall’autostima dell’aspetto dei consumatori.

Al consumatore totalmente razionale non importerebbe cosa dice l’etichetta delle taglie: si preoccuperebbe della vestibilità e dell’aspetto del prodotto. I ricercatori, infatti, hanno scoperto che nei soggetti la cui autostima legata all’aspetto era stata rafforzata all’inizio dell’esperimento, l’umore non era influenzato dall’etichetta delle dimensioni del prodotto. Se questa spinta positiva non era presente, il prodotto con l’etichetta di una taglia più grande aveva effetti negativi sull’autostima del soggetto, a cui il prodotto stesso piaceva di meno.

Ma quanti di noi possono dirsi consumatori razionali, che scelgono un brand di cui devono acquistare una taglia maggiore quando lo stesso prodotto di un’altra marca gratifica il loro ego grazie a un numero più basso sull’etichetta?

Vanity sizing: le conseguenze

Secondo lo studio che abbiamo citato,

Lo shopping può servire a costruire, rafforzare, minacciare e/o riparare l’autostima legata all’aspetto.

Non sorprende quindi che il vanity sizing abbia una profonda capacità di influenzare il modo in cui le persone percepiscono il proprio corpo. Non importa la vestibilità e in molti casi nemmeno l’immagine restituita dalle specchio: troppo spesso è il numero sull’etichetta a far sentire attraente – o meno – chi acquista un capo di abbigliamento. Più alto è, più bassa è la considerazione che si ha del proprio corpo e peggiore è l’immagine di se stessi.

Nei casi più gravi, questo meccanismo può contribuire a sviluppare disordini alimentari, come ha raccontato Stephanie a Metro UK:

Amo un marchio in particolare, ma le loro taglie sono sempre state davvero piccole. ‘Ogni volta che provavo gli articoli mi chiedevo se avessi guadagnato peso o meno e questo mi faceva sentire consapevole di me stessa. Ho finito per diventare anoressica perché la mia mente continuava a giocarmi scherzi. Andavo in un negozio e prendevo la mia solita taglia, ma non andava bene. Questo sembrava funzionare come bias di conferma per gli schemi di pensiero dannosi che stavo vivendo in quel momento.

Le conseguenze, però, non sono solo sulla percezione corporale e sulla concezione di cosa possa essere considerato bello e attraente, ma anche sulle abitudini di acquisto, dice ancora lo studio:

È importante sottolineare che scopriamo anche che invece che ridurre unilateralmente l’intento di acquisto come si potrebbe supporre, taglie maggiori possono effettivamente aumentare la spesa, poiché i consumatori si impegnano in un consumo compensativo per aiutare a riparare la loro autostima danneggiata.

La relazione tra i consumatori e le etichette delle taglie è quindi più dinamica e complessa di quanto gli stessi brand vorrebbero; a ben vedere, però, chi ci rimette è sempre chi compra mentre i brand vincono sempre e riescono a incentivare l’acquisto sia facendo leva sulla gratificazione del vanity sizing o sull’acquisto compensatorio.

Vanity sizing e body positivity

Il vanity sizing cambia il modo in cui le persone vedono se stesse e pensano i loro corpi. Questo è un fatto, ed è vero soprattutto per le persone con corpi grassi e non conformi. Secondo l’attivista femminista per la body positivity Lindsay McGlone, conosciuta come The Fierce Fat Feminist, infatti, il vanity sizing trasmette l’idea che i corpi più piccoli siano più desiderabili:

È più accettabile essere più piccoli nella società e questo può influenzare la percezione che le persone hanno di se stesse e degli altri. Convinci le persone che sono di una taglia più piccola della loro e le renderai più propense ad acquistare quell’indumento. Sentono che essere più piccoli li rende migliori.

Negozi e designer possono fare uno sforzo per misurare i modelli, non solo “assegnare una taglia”. Devono anche essere sinceri con i loro consumatori sugli errori precedenti nelle taglie e chiarire che, indipendentemente dalle dimensioni, tutti sono degni e validi.

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