Westplaining, la spocchia occidentale di chi crede di essere al centro del mondo

Neologismo sorto nelle prime settimane della guerra in Ucraina, il westplaining propone una visione degli avvenimenti storici filtrata da una prospettiva univoca e poco attenta ai soggetti coinvolti in ciò che, con saccenteria, tenta di spiegare. Vediamone i dettagli.

«Non è come dici tu, ma come dico io: fidati», «No, aspetta, lascia che ti spieghi…», «Non ne capisci nulla, io ne so di più». Finora, frasi di questo tipo avevano un nome preciso: mansplaining, ovvero la tendenza di alcuni uomini ad assumere un atteggiamento saccente e paternalistico nei confronti delle donne, spiegando loro cose che conoscono perfettamente, tesi ovvie o avanzando la presunzione di saperne di più proprio in quanto uomini.

Da qualche mese, tuttavia, alla sequela di “spiegazioni” di cui siamo vittime ogni giorno si è aggiunta una variante nuova, figlia del suprematismo e colonialismo occidentale: il “westplaining”, un neologismo creato per indicare quell’attitudine razzista con cui una buona parte della sinistra europea e nordamericana ha deciso di commentare la guerra in Ucraina.

Che cosa significa e quali sono le sue conseguenze? Vediamone i dettagli.

Che cos’è il westplaining?

Come accennato poco sopra, il termine “westplaining” è un sostantivo relativamente nuovo – sebbene possegga, in sé, radici molto profonde –, che fa eco al similare “mansplaining” e deriva dalla crasi tra “west”, “Occidente, Ovest”, ed “explaining”, “spiegare”.

La sua nascita, infatti, si deve alla sinistra dell’Europa dell’Est, e delinea la propensione, da parte di un certo progressismo radicale occidentale, a considerare tutto ciò che accade in quella zona del mondo come un prodotto delle politiche adoperate in Occidente.

In poche parole: tutto ciò che succede a Est della Germania sarebbe causato da noi, l’Occidente. Il risultato, come si può facilmente desumere, è un sostanziale svuotamento del ruolo attivo dei soggetti coinvolti, considerati, così, alla stregua di “pedine” prive di razionalità, identità e iniziativa.

Come spiega l’Urban Dictionary, dunque, si verifica un episodio di westplaining ogniqualvolta in cui:

Gli occidentali vogliono spiegare situazioni e problemi legati all’Est Europa in modi che o ignorino le voci della Regione, o la trattino come oggetto, e non soggetto, della Storia. Essi applicano le loro prospettive, ignorando ciò che questi Paesi e queste persone hanno effettivamente vissuto.

Westplaining e guerra in Ucraina

Una tendenza emersa con particolare vigore proprio nelle prime settimane dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia guidata da Vladimir Putin.

Come si legge su LEFT:

Secondo questa prospettiva, Putin avrebbe invaso l’intera Ucraina come conseguenza diretta dell’allargamento a Est della Nato, Zelensky non sarebbe altro che un burattino manovrato da Biden, i militari e i cittadini che resistono una propaggine dell’esercito statunitense, i governi dell’Est Europa che sostengono Kiev gli utili idioti della Casa Bianca e del Patto atlantico.

In base a tale logica, perciò:

[…] poiché ogni colpa della Storia dipenderebbe dall’ingordigia di noi occidentali, non può esistere un’altra causa per un conflitto come quello in Ucraina, né un altro potere altrettanto spietato di quello occidentale e dotato di una propria agenda imperialista a cui è necessario opporsi. Si arriva dunque al paradosso di un “anticolonialismo colonialista”, che vorrebbe imporre ai popoli oppressi quali devono essere i loro nemici, di fatto sovradeterminando i loro desideri e la loro volontà.

Il westplaining incarna, quindi, ciò che il mansplaining caratterizza per le donne: una minaccia di preminenza e mancanza di rispetto, espressa mediante tentativi di chiarificazione e giustificazioni che nascondono – talvolta neanche così bene – un pensiero suprematista e colonialista.

Le reazioni al westplaining

Naturalmente, le reazioni a questo tipo di atteggiamento non si sono fatte attendere. E a farsi sentire sono state soprattutto le persone che, in quella porzione di mondo, ci vivono, e che sono più legittimate delle sinistre europee e nordamericane a parlare della guerra in corso e delle sue possibili motivazioni.

Nonostante tutte le manifestazioni di antirazzismo e anti-imperialismo siano profondamente apprezzate, non cessa, appunto, di stupire l’univocità delle prospettive messe in campo. Come commenta su The Nation la filosofa politica Tereza Hendl:

È davvero straordinario che quando la sinistra occidentale discute dell’imperialismo russo, così spesso non si impegna ad approfondire e non si basa sulle voci di coloro che sono effettivamente sopravvissuti a quegli atti di aggressione imperiale… e alla lunga storia di violenza coloniale perpetrata nell’Asia centrale e settentrionale e, ovviamente, anche in Siria.

Una mancanza di voci e punti di vista che, irrimediabilmente, non dà libera espressione a tutte le componenti della Storia, ma le filtra in base a una visione ristretta e condizionata delle questioni geopolitiche in atto. Come precisa l’antropologo ucraino Volodymyr Artiukh su OpenDemocracy, infatti:

Le spiegazioni Stati Uniti-centriche sono obsolete. Noto come la sinistra occidentale stia facendo quello che sa fare meglio: analizzare il neoimperialismo americano, l’espansione della NATO. Questo, però, non basta più, perché non spiega il mondo che sta emergendo dalle rovine del Donbas e dalla piazza principale di Kharkiv.

E conclude:

Il mondo non è descritto in modo esaustivo se considerato come plasmato (o come una reazione alle stesse) dalle azioni degli Stati Uniti.

Non c’è una narrazione unica. In nessun ambito.

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