Curare i lebbrosi era la sua missione di vita. Per perseguirla, l’infermiera Kate Marsden ha viaggiato per l’Egitto, la Palestina, la Turchia, Cipro e, soprattutto, la Siberia, in un’impresa senza precedenti per una donna dell’Ottocento.

Ma Kate Marsden era una donna fuori dall’ordinario, al punto che, nel 1892, divenne una delle prime a essere eletta membro della Royal Geographical Society, ancora oggi una delle realtà più importanti a livello mondiale per la promozione della ricerca geografica.

Le imprese della tenace infermiera inglese, tuttavia, furono offuscate da uno stigma che ne compromise la memoria: l’accusa di omosessualità. Sebbene quella femminile non fosse considerata un reato, nel 1895 Kate Marsden si ritrovò costretta ad “abiurare” di fronte alle maldicenze, vedendo, così, incrinarsi la propria fama di esploratrice.

Non fu, però, un atto di codardia, bensì la volontà di concentrare le ultime energie rimaste sull’altruismo e la cura della lebbra, mediante raccolte fondi, beneficenza e memoir. Sintomo che la determinazione e le battaglie a favore degli innocenti non possono fermarsi nemmeno di fronte all’insensatezza di certe accuse. Allora come oggi.

Chi era Kate Marsden

Nata il 13 maggio 1859 a Edmonton, nella storica contea di Middlesex, Kate Marsden è la minore di otto figli, avuti da Sophie Matilda Wellsted – sorella del tenente della marina indiana James Raymond Wellsted – e dall’avvocato J.D. Marsden.

In seguito alla morte di quest’ultimo, Kate, 14enne perspicace e ribelle alle convenzioni – per l’epoca, una tomboy: al bando il ricamo, molto meglio avventurarsi nella natura! –, si ritrova costretta ad abbandonare la casa natia e a trasferirsi in un’abitazione piuttosto modesta, senza gli agi cui la famiglia era solita.

Ogni membro del clan Marsden è, dunque, costretto ad apportare il proprio contributo per la sopravvivenza. E Kate ha le idee chiare fin da subito: vuole imparare il mestiere infermieristico. A 17 anni inizia, così, il suo tirocinio presso l’ospedale di Tottenham e, nel 1877, viene scelta come volontaria per un viaggio alla volta della Bulgaria. Il compito: assistere i soldati feriti della guerra russo-turca.

Ed è proprio qui che Kate Marsden incontra, per la prima volta, la lebbra. La condizione di emarginazione e disumanità in cui versano i degenti ha, infatti, una notevole influenza sulla sua sensibilità, motivo per cui l’infermiera inglese si riprometterà di fare della cura a questa malattia infettiva la sua missione di vita.

Prima, però, vi sono le priorità familiari. Una volta tornata in Inghilterra, Kate conclude gli studi e, soprattutto, si prende cura dei fratelli malati di tubercolosi. Compresa Annie Jane, trasferitasi in Nuova Zelanda alla ricerca di un clima più mite. Kate e la madre la raggiungeranno nel 1882, ma la sorella morirà poco dopo.

L’infermiera decide, allora, di restare in Nuova Zelanda per curare se stessa – anch’essa colpita dalla tubercolosi – e, una volta ristabilitasi, cercare un nuovo lavoro. Nel 1885 diventa, così, infermiera capo all’ospedale di Wellington, dove, come riporta Elle, si occupa anche di formare le nuove leve e istituire la sezione locale della St. John’s Ambulance Brigade, associazione di volontariato per il primo soccorso.

Kate non dimentica, però, la lebbra. Nel 1889 torna, quindi, in Inghilterra e, nell’aprile dello stesso anno, si reca a San Pietroburgo su invito della Croce Rossa, che la celebra per il suo impegno nella guerra russo-turca. Qui, incontra la principessa Fëdorovna e, con il suo appoggio, viaggia per il Paese alla ricerca di informazioni sulle potenziali cure della lebbra.

Soluzioni sicure non ce ne sono, e anche l’incontro con il microbiologo Louis Pasteur è demoralizzante: di vaccini non se ne parla. Che cosa fare, dunque? Alla ricerca spasmodica di alternative, Kate si imbarca per Alessandria, si sposta a Jaffa e Gerusalemme e, infine, approda a Costantinopoli.

Proprio in Tuchia, Kate Marsden riacquista speranza. Il dialogo con un medico inglese le fa, infatti, scoprire l’esistenza di una pianta “miracolosa” che si trova in Jacuzia, nella Siberia Orientale. Il viaggio è ostico, ma Kate non demorde e ha un’idea: cercare l’appoggio della zarina. La quale, venuta a conoscenza dell’obiettivo dell’infermiera, la accoglierà di buon grado e le donerà anche il suo benestare, costringendo chiunque la incontri a fornirle assistenza.

Il viaggio in Siberia

Kate Marsden
Fonte: Web

L’itinerario che l’attende consta di 18.000 km, da percorrere in undici mesi. Senza treno, naturalmente, dato che la ferrovia transiberiana è ancora in fase di costruzione. Partenza: Mosca, l’1 febbraio 1897. Provviste, per sé e i malati: tè, scatole di sardine, zucchero e 18 kg di Christmas pudding, dolce facile da conservare e da lei particolarmente amato.

Kate Marsden viaggia in condizioni scomode e anguste, perlopiù su slitta, cavallo e chiatta. E, per sopportare il clima glaciale, si ritrova costretta a indossare strati e strati di abiti pesanti, tali da impedirle il movimento degli arti inferiori e farsi issare, ogni volta, sul mezzo di trasporto dagli uomini che viaggiano con lei.

Come riporta il Daily Mail:

Mi faceva male ogni osso e tremavo tutta, ed ero così stanca da non prestare attenzione neanche a zanzare, pulci e insetti. Quando il dolore mi provocava attacchi di depressione, sentivo che non avrei dovuto vivere senza portare a termine i miei amati piani.

L’unico modo per affrontare le criticità era pensare ai lebbrosi che aveva intenzione di curare:

Loro soffrivano molto più di quanto soffrissi io, e questo, oltre alla forza fornitami da Dio, è stato un pensiero che mi ha impedito di crollare.

Le tappe si susseguono veloci: Ekaterinburg, Tjumen, Tobolsk, Tukalisnk, Omsk, Krasnojarsk, Jakutsk, Viljujsk, Sosnovka. In ognuna, Kate incontra uomini e donne esiliati e bisognosi di cure, con cui condivide le proprie provviste e parole gentili, e a chiunque trovi sul percorso chiede informazioni sull’erba prodigiosa.

La lunga odissea siberiana, tuttavia, non reca con sé i risultati sperati: la pianta, infatti, non si rivela efficace come previsto. Ancora una volta, però, Kate non si arrende e decide di porre fine alla piaga della lebbra in un altro modo: il progetto è costruire un centro con due ospedali, un piccolo villaggio, una chiesa, una panetteria, alloggi per il personale sanitario e un obitorio.

Per contribuire alla raccolta fondi, Kate Marsden decide, quindi, di scrivere un libro-testimonianza sulla sua avventura in Siberia, On Sledge and Horseback to Outcast Lepers, pubblicato nel 1892 e subito oggetto di grande successo. Nel frattempo, è anche eletta membro della Royal Geographical Society, tra le prime donne a ottenere l’importante riconoscimento, consacrato, in seguito, dalla stima della stessa regina Vittoria, che la omaggerà di una spilla a forma di angelo.

Finché, nel 1897, il sogno si avvera: il centro di cura è finalmente inaugurato a Viljujsk. Ma il sereno dura poco.

Le diffamazioni e l’accusa di omosessualità

La lunga traversata siberiana non lascia indifferente la salute di Kate Marsden. Non è, però, questo a inficiare il suo benessere, bensì l’accoglienza che riceve al suo ritorno in patria. Molti giornali, infatti, la lodano per le sue imprese, ma altrettanti – tra cui quello di William Thomas Stead, antesignano delle testate scandalistiche – si rendono fautori della maldicenza.

L’infermiera è incolpata non solo di aver sottratto i fondi raccolti per arricchirsi, ma anche, e soprattutto, di aver compiuto il viaggio al fine di espiare i peccati di immoralità. Tradotto: Kate è accusata di essere omosessuale.

Fieramente, Kate Marsden non nega le sue relazioni intime con altre donne. E, dal momento che l’omosessualità femminile non è considerata reato, nel 1895 considera anche l’idea di intentare una causa per diffamazione.

L’esploratrice, però, decide di ponderare con attenzione le circostanze. Negli stessi anni, infatti, Oscar Wilde è vittima dei detrattori e della condanna per omosessualità, e Kate, impaurita dalle umiliazioni sfiancanti cui potrebbe incorrere, rinuncia a intraprendere vie legali. Nonostante alcuni diplomatici inglesi e americani scrivano al “Times” per dimostrarne l’innocenza, quindi, la reputazione di Kate Marsden è ufficialmente incrinata.

Il tutto, come rivela Atlas Obscura, a causa di un pregiudizio nei confronti delle donne e delle relazioni lesbiche, conseguenza di un timore misto a bigottismo proprio di una società che vedeva, nelle donne stesse, i cardini del focolare.

Gli ultimi anni e la memoria

Tomba Kate Marsden
Fonte: Victorian Kate Marsden

Per fronteggiare le mortificazioni, Kate si impegna con ancora più determinazione nella lotta alla lebbra. Sempre nel 1895, dunque, fonda l’ente di beneficenza – tuttora attivo – St. Francis Leprosy Guild e, successivamente, si stabilisce a Bexhill-on-Sea, dove, insieme al reverendo J. C. Thompson, progetta e dà vita al Museo di Bexhill.

Dopo aver pubblicato un altro libro di memorie nel 1921, My Mission in Siberia. A Vindication, ed essere stata colpita da un ictus nel 1924, Kate Mardsen muore a Londra nel 1931. La sua tomba, senza effige e situata a Hillingdon, verrà presto ricoperta di rovi, così come la sua memoria.

Il triste epilogo di un’esistenza dedita alla salute degli emarginati e dei più deboli, ma offuscata dall’arroganza paternalistica dell’epoca. Forse impaurita dall’idea di riconoscere, in Kate Marsden, il valore di una vera e propria combattente, così determinata a debellare la lebbra da porsi in pericolo e dimenticare quasi se stessa.

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