Stefania: "Sono una ragazza trans, non si tratta di sesso, ma di genere!"

Stefania è una persona transgender che è riuscita a intraprendere il cammino verso il riconoscimento di sé, un cammino che, come lei stessa ci racconta, è fatto di sofferenza, cadute e incomprensioni, anche e soprattutto per via di una diffusa ignoranza sul tema della disforia di genere.

Stefania è una donna transgender. Abbiamo incrociato la sua storia, leggendo un suo commento a corredo del post dedicato alla storia di Leelah, la giovane ragazza con disforia di genere che nel 2014 si è tolta la vita a causa delle discriminazioni subite e che i genitori volevano maschio ad ogni costo.

Il suo commento così recitava:

Ho la disforia di genere e sono in terapia ormonale per fortuna. Aiutate i vostri figli, non lasciateli soli. Mi sento di dire solo questo.

Abbiamo deciso di parlare con Stefania di quello che succede a molti giovani oggi, che però rappresenta un tema delicato, spinoso, poco conosciuto e per questo spesso incompreso, deriso e condannato. Stefania mi parla subito di una questione per lei fondamentale, alla base delle discriminazioni che le persone transgender devono subire ogni giorno.

Non si scinde mai la questione transessuale da quella sessuale. Le persone devono capire che non si tratta di un discorso di sesso, ma di genere. Il sesso non c’entra nulla. Le persone transgender vivono in un corpo che non sentono proprio, sono intrappolate nel genere sbagliato. Il loro percorso, complesso, lungo, difficile, è solo un modo per ritrovare se stessi e vivere una vita in cui si riconoscono. È questo che la gente deve capire. Forse la situazione di discriminazione in cui ci troviamo oggi è solo il frutto di una grande ignoranza sulla questione, non cattiveria. E la stampa può fare molto per trasmettere questo messaggio e contribuire a fare cultura.

Poi Stefania parla della difficoltà che le persone transgender devono affrontare, soprattutto se si ritrovano a vivere questo lungo cammino da soli.

Non è un gioco, un capriccio, una moda. Stai male, vivi un tormento interiore perché nasci in un corpo che non senti tuo. Tutto quello che segue è un un viaggio verso il riconoscimento di se stessi, ma è un percorso difficile, e lo è ancora di più se ti ritrovi completamente solo, senza il sostegno delle famiglie e delle persone che hai intorno. Non è scontato trovare la forza se ti ritrovi senza un appoggio.

Stefania ci racconta poi che lei ha avvertito questa sensazione di disagio verso il suo corpo intorno ai 14-15 anni:

L’ho avvertito subito, verso i 14-15 anni, provavo le calze di mia mamma, mi truccavo, sentivo di essere un’altra persona rispetto a quello che il mio corpo mi diceva. Erano però altri tempi, gli anni Novanta, questi argomenti neanche si conoscevano, non c’erano le informazioni adeguate. Ti ritrovavi davvero sola e senza un supporto che ti potesse anche solo guidare da un punto di vista pratico. Fortunatamente ora le cose sono cambiate, però, purtroppo, nonostante questo, le discriminazioni e l’ignoranza persiste.

E le discriminazioni, come ci racconta Stefania, sono spesso amplificate dalla cassa di risonanza dei social, da cui oggi viene diffusa una vera campagna d’odio, che nella maggior parte delle volte resta impunita.

Con l’avvento dei social, è ancora più facile insultare, senza rischiare nulla. La legge contro l’omotransfobia deve essere ancora approvata al Senato e potrebbe davvero rappresentare una svolta. Un inizio di un cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno.

Un fenomeno che potrebbe essere placato e in parte corretto anche attraverso una diffusione capillare di una cultura della consapevolezza, come ci spiega:

Bisognerebbe partire con un’informazione adeguata già negli anni della scuola, ovviamente quando i giovani iniziano ad avere una maggiore consapevolezza, ad esempio già ai primi anni delle superiori. Sarebbe un passo importante farlo per far conoscere il tema e focalizzarlo esclusivamente sulla questione del genere, non del sesso. Sono certa che questo potrebbe davvero fare la differenza, quantomeno per le generazioni future.

In chiusura però, Stefania, ribadisce l’aspetto più importante con cui aveva esordito, quello dell’importanza del sostegno delle famiglie, come punto fondamentale per fare in modo che le persone transgender non abbandonino la loro strada:

È determinante avere il sostegno dei propri cari in una situazione così delicata e difficile. Ed è fondamentale, perché questo avvenga, che le famiglie capiscano davvero che cos’è la disforia di genere. C’è ancora troppa ignoranza. I genitori devono capire che sesso e genere sono due concetti ben diversi e che questo fenomeno non c’entra nulla con l’atto sessuale.

Come ribadisce Stefania, il prezzo di seguire la propria strada verso il riconoscimento di sé, può essere altissimo:

Ci sono spesso rinunce che accompagnano questo viaggio verso se stessi, e non tutti hanno la fortuna di essere accompagnati e incoraggiati a proseguire in questo cammino. Spesso la famiglia ti volta le spalle, spesso perdi persone per inseguire te stessa. E in molti casi, il prezzo da pagare è troppo alto: ci si abbandona a una vita non vera che fa soffrire, oppure, anche alla scelta di farla finita.

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