"Siamo tante e alziamo la voce": il sessismo nella musica secondo Giorgieness

" Intelligente, ma pure un po’ stupida, altrimenti che pesantezza! Magra, ma non troppo perché le ossa ai cani. Colta, ma con testi facili o non ti ascoltano. Sexy, ma non sfacciata perché devi essere un po’ quella della porta accanto. Fidanzata devota ma non sui social o i tuoi fan non vogliono più scoparti. Vogliamo andare avanti?". Il sessismo nella musica: ne abbiamo parlato in questa intervista con Giorgia D’Eraclea alias Giorgieness.

Quando, nell’estate 2018, coretti sessisti e insulti osceni si erano alzati ad accogliere l’arrivo sul palco dell’Indiegeno Fest della collega e artista CRLN che apriva il concerto di Gemitaiz, Giorgia D’Eraclea alias Giorgieness era stata una delle poche artiste a spendersi con forza sull’argomento.

Del caso avevamo parlato in questo articolo:

Quando quest’estate Giorgia è tornata sul tema sessismo nella musica, abbiamo deciso di parlarne insieme in un’intervista.
L’emergenza sanitaria in corso non ci ha permesso di incontrarci, come avremmo voluto e, in mezzo sono successe, per fortuna, anche tante cose belle.

Tipo l’uscita dei singoli Maledetta e Hollywoo, che anticipano il nuovo album di Giorgieness su label Sound To Be, che arriva dopo Nuove Regole (2018, con tre rework e l’inedito Questa città), Siamo Tutti Stanchi (2017) e, ovviamente, l’album di debutto La Giusta Distanza.

Artista mutante e mutevole, trasformatasi nel solco del rock, che da ruvido e viscerale agli esordi è diventato poi più maturo e melodico, Giorgieness ha abbracciato lo scorso anno il percorso intimista di un tour acustico in solo ed è ora tornata al pubblico con una nuova veste dalle sonorità pop, sempre ricche però della sua cultura alternativa che l’ha vista condividere il palco con artisti internazionali come Cristina Donà, Edda, Tre Allegri Ragazzi Morti, Verdena, Fast Animals And Slow Kids, The Kooks, Garbage, American Football, Placebo, White Lies e Savages.

La discriminazione di genere nel mondo della musica, come tu stesso hai denunciato, avviene a più livelli: coinvolge chi produce musica, ma anche chi l’ascolta. Da spettatrice ho in mente certi coretti sessisti che partono nei festival estivi quando a salire sul palco è una donna…

Per mia grande fortuna, perché penso si tratti davvero solo di fortuna e di un booking che ha sempre saputo inserirmi nelle serate giuste, non ho mai ricevuto o forse non ho mai sentito certi cori e certe battute. Sono certa ci siano stati e sono certa che mi sarei sentita mortificata ed arrabbiata. Ma non tanto per l’insulto in sé che è vuoto come la persona che lo intona, quanto per il fatto che anche li sopra devo ricordarmi di essere una donna.

Il che è snervante, perché io sto facendo un lavoro, il lavoro non ha genere. Credo che derivi molto anche dalla pochissima educazione all’arte e alla sua fruizione che abbiamo. Non so all’estero, ma in Italia c’è sempre quella punta di invidia che ti porta a pensare che se qualcuno ottiene qualcosa sicuramente è stato raccomandato. Ecco nel caso delle donne ancora di più. Qualche tempo fa leggevo sotto la mia intervista per il Tg3 un commento del tipo “la solita raccomandata”. Ho risposto: ho risposto che ci sta tutto che non mi conosca, che non mi abbia mai sentita suonare, che io mi muova in un circuito piccolo, ma pensare che, se una persona lavora per dieci anni e riesce ad avere una piccola esposizione, presupponga comunque una raccomandazione – e magari qualche favore sessuale – è avvilente.

Sui social cosa accade?

Anche qui, fino adesso credo di aver costruito un rapporto di rispetto reciproco coi miei follower, quindi non mi sono ancora realmente scontrata con queste cose in maniera massiccia. Personalmente mi è capitato però che si prendessero delle mie foto, le ritoccassero sporcandomi il viso di quello che sicuramente non è budino di riso e mettendomi attorno al viso diversi organi genitali maschili. Tutto per farci un profilo finto, taggando la pagina di Giorgieness, scrivendo che il mio lavoro era in sostanza quello di inginocchiarmi spesso e contattando diversi amici e conoscenti.

Ecco oltre all’imbarazzo, perché con la mia immagine ci lavoro e perché sui social ci sono i miei genitori, ho provato tanta rabbia anche perché poi è venuto fuori che questa persona neanche la conoscevo. Per quanto riguarda i social però io suggerisco sempre di denunciare prima alle forze dell’ordine, io l’ho fatto nel caso sopraccitato.

Come sempre, trovo che sbaglia chi non capisce che dall’altra parte c’è una persona, la stessa che incontreresti al supermercato e alla quale non urleresti che è una troia perché ha un paio di pantaloncini. Se ci mettiamo anche invidia, rabbia repressa, sessismo e rimasugli della mentalità delle medie il gioco è fatto.
Quando ti esponi lo sai, ma non per questo devi accettarlo e lasciar correre.

Sembra che le artiste, per il pubblico ma a volte anche per il mercato musicale stesso, debbano essere sempre belle e sexy. Non è una cosa che si chiede per forza agli uomini. Come altro deve essere, secondo questa mentalità maschilista, una musicista?

Deve essere vittima, ma non lagnarsi. Forte, ma con un uomo che le scrive le canzoni. Intelligente, ma pure un po’ stupida, altrimenti che pesantezza! Magra, ma non troppo perché le ossa ai cani. In carne, e quindi con un grande senso dell’umorismo. Indipendente, ma farsi settare l’amplificatore dal fonico. Avere delle opinioni, ma non esporle troppo perché a nessuno interessa cosa pensi della politica. Colta, ma con testi facili o non ti ascoltano. Cantare piano, le urlatrici non piacciono a nessuno. Cantare forte, che delle donne piace la potenza vocale. Sexy, ma non sfacciata perché devi essere un po’ quella della porta accanto. Fidanzata devota ma non sui social o i tuoi fan non vogliono più scoparti (questa cosa è stata davvero detta a me, da una persona che per altro era molto vicina alla mia vita anche privata). Vogliamo andare avanti?

La verità è che bisogna lavorare sodo, crescere professionalmente, essere oneste con se stesse, avere un obiettivo e circondarsi di persone, anche uomini che ce ne sono tanti, che lavorano con te in quanto musicista, non con una donna con la chitarra.

Parliamo di competenze tecniche. Tu hai raccontato aneddoti sui pregiudizi incontrati quando volevi diventare fonico e su frasi tipo “ti devo accordare la chitarra”, “non serve che impari a usare i programmi di editing” o “le donne non devono fare i produttori (che poi al massimo sarebbe le produttrici)”. Da dove arriva questo pregiudizio sulle capacità tecniche delle donne?

Credo sia come con le macchine, che per antonomasia non sapremmo guidare anche se poi gli incidenti peggiori li fanno gli uomini.
Comunque è la solita storia: le donne per tradizione cucinano ma gli chef sono tutti maschi; le donne per tradizione cuciono i vestiti, ma gli stiliti sono maschi e via dicendo.

Nel mio libro-bibbia “Una stanza tutta per sé”, Virginia Wolf racconta bene perché le donne hanno iniziato più tardi a scrivere e di come per lungo tempo si siano concentrate sulla poesia. Poi, quando è arrivata la prosa, all’inizio l’hanno cosparsa di loro stesse, non riuscendo a scindere il racconto dalla loro vita, in quanto sentivano forte il bisogno di riscatto e di raccontare le proprie frustrazioni.

Di riflesso, penso ci sia una condizione analoga nella musica che ci ha portate a essere viste come mere interpreti per un sacco di tempo e, da quando abbiamo iniziato ad alzare la mano (e la voce) e dire che queste cose le sappiamo fare anche noi – magari con meno praticità perché non siamo state incoraggiate a farlo fin da ragazzine, per esempio -, diventa subito una corsa al “ma non ne hai bisogno, devi cantare”.

Ci stiamo muovendo però, lo sento, siamo stanche e siamo tante.

Quanto può essere penalizzante essere una voce (o una musicista) femminile a parità di competenza, creatività e capacità artistica?

Il fatto è che la risposta non può essere che: molto.

Però ecco, non voglio vivere la mia vita e il mio lavoro pensando costantemente a quanto sia difficile, a quanto sia discriminata, a quanto, se fossi stata meno orgogliosa e più disponibile a prendere scorciatoie, potrei avere adesso. Il modo per fare musica è continuare a farla, no matter what, fin quando si ha qualcosa da dire. E questo consiglierei a chi comincia: paraocchi, paraorecchie, antenne alzate e tanto lavoro anche di introspezione. Non preoccuparsi di essere donne mentre si fa musica. Mi dicevano che ero pazza a uscire con un primo disco così violento, così “da uomo” e invece se non lo avessi fatto non sarei qui a parlare con te. Devi essere il tuo primo fan in qualche modo, ma questo vale anche per gli uomini.

In realtà quello che tu e altri artisti descrivete è una situazione speculare a quello che avviene ed è avvenuto storicamente in tutti i settori artistici. Parlo all’assenza/carenza/sottovalutazioni di scrittrici, pittrici, fotografe, scultrici… È come se la Storia in generale avesse rimosso la narrazione femminile o l’abbia svalutata. Ma forse le cose stanno cambiando. Sei d’accordo?

Come dicevo prima sì, sta cambiando ma ci vuole ancora tanto tempo. Bisogna continuare a fregarsene senza sottovalutare il problema, a denunciare ogni promoter che allunga una mano, a impuntarsi sulle proprie idee se cercano di farti fare musica che non ti rappresenta, non lasciarsi schiacciare o crederci quando ti dicono che non sei competente. Non lo so fare? Bene, allora insegnami, non farlo tu.

Ci provano, ma non penso ce la faranno più ancora per molto. È la mentalità comune che deve cambiare e ho tanta fiducia nei bambini che un giorno prenderanno il nostro posto.

La copertina di Hollywoo di Giorgieness

Veniamo a Maledetta e Hollywoo, i due singoli che a partire dal luglio scorso hanno segnato il tuo ritorno e anticipano l’album in uscita. Maledetta di certo non è “solo” una canzone d’amore, per restare in tema di donne e di “streghe”; Hollywoo, brano di solitudine violenta, contrasta con l’apparente perfezione di certe vite. Parlaci di questi due singoli, ma guardiamo anche il futuro: cosa puoi dirci dell’album?

Queste due canzoni sono state scritte a molti mesi di distanza, ma sono nella cartella di quelle che mi hanno convinta subito, senza grandi riscritture. Sono felice siano uscite per prime proprio per questo, perché ci credo tanto e mi rappresentano. Ecco, in questo album ci sono io nella mia essenza più vera, se chiudo gli occhi mentre ascolto i pezzi, appare la mia faccia. Non sono mai stata tanto felice di un lavoro, forse giusto l’eccitazione per il primissimo EP può avvicinarsi. Ovviamente non sto denigrando i miei figli maggiori, i due album precedenti fanno parte del percorso, senza di loro non sarei io. Però sono diventata più capace di comunicare alle persone con cui lavoro cosa voglio, spesso porto i provini avanti da sola prima di confrontarmi con loro e le mie idee sono chiare, compatte.

C’è sempre un “io” narrante ma diventa corale, diventa un fiume in piena. Temo slitterà un po’ l’uscita causa Covid, ma ci siamo quasi!

In una recente intervista in Rai hai definito la musica un esorcismo che ti ha salvato la vita. Cosa intendi?

Ne “La trilogia della città di K” l’autrice racconta di questi due gemelli che per imparare a sopportare il dolore, qualunque dolore, si fanno del male a vicenda, violentemente. Così continuare a cantare di cose che ti hanno ferita e ti feriscono ti rende meno sensibile al male che ti fanno quotidianamente. Dietro ogni canzone, c’è qualcosa che ho vissuto che non sono riuscita a processare, qualcosa che volevo fermare nel tempo, un sapore preciso, una stanza precisa, una strada, degli occhi, persone e sentimenti. Ho paura di dimenticare, mi ripeto le scene più belle della mia vita in testa finché non sono certa di averle memorizzate.

Pensiamo al potere taumaturgico delle parole, agli atti magici di Jodorowsky, agli incantesimi, al pregare. Si tratta di ripetere delle parole dandogli un valore simbolico e catartico. Ecco, le canzoni sono così, sono mantra, squarci aperti che non fanno male, anzi, ti fanno sentire piena. Avere la musica è stata davvero la magia che cura tutto, ma che spesso allo stesso tempo è anche causa di… Come l’alcol per Homer Simpson!

A una bambina o ragazzina che inizia oggi a fare musica qual è il messaggio più importante che vuoi dare?

Fallo, urla forte e sbatti i piedi. E mentre scopri chi sei, cantalo al mondo senza che nessuno ti dica cosa puoi o non puoi essere. Trova chi è capace di apprezzarti, non chi vuole usare la tua voce e fidati di loro anche quando altri ti dicono che è sbagliato. E fidati di te.

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