*** Aggiornamento del 13 ottobre 2021 ***

Benché l’Accademia della Crusca, massima autorità in fatto di linguistica italiana, abbia recentemente bocciato l’utilizzo di asterischi e schwa, l’orientamento generale di molti media e strumenti tecnologici sembra sempre più improntato all’utilizzo di un linguaggio inclusivo, in cui non si trovino quindi non rappresentati gender fluid, non binari e chiunque abbia un’identità di genere non corrispondere ai canonici maschile/femminile.

Le motivazioni della Crusca sono chiare:

[…] Chi, tra coloro che ci hanno scritto, propone di far ricorso al neutro per rispettare le esigenze delle persone che si definiscono non binarie, citando il latino, non tiene presente da un lato che l’italiano, diversamente dal latino, non dispone di elementi morfologici che possano contrassegnare un genere diverso dal maschile e dal femminile, dall’altro che in latino (e in greco) il neutro non si riferisce se non eccezionalmente a esseri umani (accade con alcuni diminutivi di nomi propri) e neppure agli dei: venus, -eris ‘bellezza, fascino’ (da cui venustas), che era neutro come genus, -eris, diventò femminile come nome proprio di Venere, la dea della bellezza. D’altra parte, per venire all’attualità, anche in inglese il rifiuto dei pronomi he (maschile) e she (femminile) da parte delle persone non binarie non ha comportato l’adozione del pronome neutro it, presente in quella lingua ma evidentemente inutilizzabile con riferimento a esseri umani, bensì l’uso del ‘singular they’, cioè del pronome plurale ambigenere they (e delle forme them, their, theirs e themself/themselves), come pronome singolare non marcato.

[…] Un altro dato da ricordare è che nell’italiano standard il maschile al plurale è da considerare come genere grammaticale non marcato, per esempio nel caso di participi o aggettivi in frasi come ‘Maria e Pietro sono stanchi’ o ‘mamma e papà sono usciti’. Inoltre, se dico ‘stasera verranno da me alcuni amici’ non significa affatto che la compagnia sarà di soli maschi (invece se dicessi ‘alcune amiche’, si tratterebbe soltanto di donne). Se qualcuno dichiara di avere ‘tre figli’, sappiamo con certezza solo che tra loro c’è un maschio.

Eppure, come detto il parere della Crusca sembra incontrare molte opposizioni, soprattutto dal mondo dei social e della tecnologia: se Instagram ha da poco introdotto la novità della scelta dei propri pronomi (fino a 4), Apple ha fatto persino di più, introducendo la schwa nella tastiera dei sistemi operativi IOS 15.

*** Articolo originale ***

«Sono vasto, contengo moltitudini». Walt Whitman, che precorrendo i tempi è stato una sorta di attivista Lgbt nell’800, descriveva così il proprio essere umano in una poesia.

Ma la moltitudine di orientamenti sessuali o, ancor più, di identità di genere, come si traduce nel linguaggio? Diciamo che per gli anglofoni la questione è un po’ più semplice: she/her, he/him, they/them sono i pronomi che vengono utilizzati da persone che si riconoscono in diverse identità di genere. Il neutro è utilizzato spesso dalle persone gender fluid o non binarie, oltre che da alcune persone transgender. Gender fluid, non binari o trans possono inoltre ricorrere anche a she/her o he/him quando e se lo ritengono opportuno per loro stessi.

She/her, he/him, they/them: quali sono i pronomi e come si usano

In inglese, she, he e they sono pronomi personali soggetto, her, him e them sono pronomi personali complemento e in italiano significano ella/lei, egli/lui ed essi/loro. They/ them è scelto solitamente dalle persone transgender, non binarie o gender fluid.

Le cose funzionano in maniera molto differente nella nostra lingua, basti pensare al lei di cortesia usato in ambiente formale e che non ha genere, o il più tradizionale e quasi in disuso voi, che pur essendo antiquato è in linea con qualsiasi genere.

L’uso dei pronomi neutri al lavoro e sui social

Far sapere agli altri in quale genere ci riconosciamo è importante affinché tale riconoscimento sia rispettato, a partire dai pronomi con cui ci si rivolge. Anche nelle e-mail, specificare i pronomi in cui ci si riconosce può essere utile all’interlocutore, non solo in rispetto a persone non binarie e gender fluid ma anche perché non sempre si può stabilire l’identità di una persona dal suo nome, da chi ha un nome unisex come Andrea o Sasha, o chi porta un nome tradizionalmente attribuito al sesso opposto come le donne che si chiamano Leonida.

In molti luoghi di lavoro ci si sta orientando in tal senso, come riporta Qz, e non è affatto una moda passeggera. Per molti sarà difficile essere sensibili a questa tematica, ancora ancorati, sbagliando, all’idea che si possa dedurre il genere di una persona dal suo nome, dall’aspetto o dai suoi caratteri sessuali secondari, come seno o barba. Ma non funziona sempre così: il genere di una persona è l’espressione di ciò che quella persona sente, non ha necessariamente a che fare con il suo aspetto o con i suoi genitali.

Il linguaggio e l’inclusione

Se utilizzare essi/loro può non essere un problema per noi italiani, è più complicato dal punto di vista delle desinenze. In inglese non esistono desinenze che connotano una parola dal punto di vista del genere (a parte quei termini che sono declinati solo al maschile o al femminile, come uomo/man e donna/woman), ma in italiano le desinenze delle parole hanno un genere, perché il neutro del latino è stato assorbito in gran parte dalle desinenze maschili e in alcuni casi importanti anche dai femminili, con l’eccezione dei latinismi che restano nella lingua dell’uso (come «desiderata» cioè le cose che desideriamo).

Il linguaggio funziona in un modo semplice: si evolve mano a mano che cambia il modo in cui parlano le persone. Le diverse lingue sono l’espressione del linguaggio verbale e seguono un’evoluzione in base a fattori diversi, in particolare il substrato (ossia la lingua d’origine, come il latino per l’italiano) e il superstrato (la lingua delle popolazioni dominatrici o di passaggio, come l’arabo o il provenzale sempre per l’italiano). Una nuova sensibilità può essere un fattore che contribuisce al cambiamento di una lingua, ma può farlo se ci sono in sé le condizioni di substrato.

Alcuni linguisti si sono orientati verso differenti desinenze, proprio per cercare a risolvere il problema dell’inclusione della lingua italiana, ma non solo: non si tratta solo di avere rispetto linguistico per una persona di cui ignoriamo il genere, ma anche di poter parlare delle cerchie senza ricorrere al tradizionale maschile plurale. Dal punto di vista della resa grafica, la questione si rivolve ricorrendo all’asterisco.

Le desinenze proposte in un dibattito ancora non risolto, come riporta ValigiaBlu, sono la vocale indistinta o schwa ma anche la -u. La finale indistinta (che a livello sonoro è una specie di “e” molto chiusa) può fare buon gioco a gran parte della popolazione italiana, dato che questo suono è presente in molti dialetti meridionali mediani, cioè del centro Italia. Moltissimi italiani conoscono bene questo suono quindi.

Per quanto riguarda la -u è più in linea con un’ottica conservativa della lingua (non a caso è una desinenza molto usata nei dialetti meridionali estremi, poiché più “isolati” e quindi conservativi). I sostantivi e gli aggettivi si sono modificati dal latino all’italiano a partire dalla declinazione all’accusativo, con la caduta immediata della -m di quel caso. Ma cosa c’era prima della -m all’accusativo in molte declinazioni del singolare neutro? C’era la -u appunto.

She/her, he/him, they/them: perché possono usarli anche i cisgender

Non bisogna essere un attivista Lgbt per decidere di usare i pronomi neutri, non bisogna essere persone non binarie o gender fluid per usarle: anche i cisgender, ossia coloro che si riconoscono nel genere attribuito alla nascita, possono indicare il pronome che preferiscono (basti pensare a coloro che hanno nomi unisex) e a sua volta utilizzare i pronomi neutri per parlare di altre persone. Se non conosciamo il genere in cui una persona che abbiamo di fronte si riconosce, il neutro ci permette di rispettarla nella sua identità. Inoltre evitiamo di mettere le persone in imbarazzo, presumendo qualcosa che non possiamo conoscere a priori.

Come giornaliste ci è capitato spesso di chiederci come comportarci nel raccontare in cronaca di persone transgender o non binarie, per esempio, e i corsi di formazione sull’argomento sono davvero sparuti: con i vip è più semplice, perché spesso sono loro a esprimere il genere in cui si riconoscono (e quindi a collegare i pronomi corretti), ma quando in cronaca nera finisce una persona non binaria o trans non sempre è chiaro come comportarsi nel modo più rispettoso possibile.

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