Care leavers, i "giovani che hanno perso gli affetti" che devono cavarsela da soli

Non tutti aspettano con impazienza di diventare maggiorenni. Per qualcuno questa data corrisponde a problemi, responsabilità e alla consapevolezza di doversi mantenere. Scopriamo chi sono i care leavers e come questi giovani, uomini e donne, devono crescere improvvisamente.

Nell’immaginario collettivo il compimento della maggiore età rappresenta un momento di gioia e spensieratezza. Oltre alla possibilità (più o meno reale) di essere finalmente “liberi” dalla stretta genitoriale. Vero ma solo in parte. Questo, infatti, non vale per i care leavers.

Per coloro che, per varie motivazioni e sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, non vivono con i propri parenti, infatti, avere diciotto anni porta con sé tutta una serie di problemi. Sfide e responsabilità molto più grandi di quelle vissute normalmente dai propri coetanei.

Una fra tutte, la necessità di rendersi autonomi e potersi mantenere entrando nel mondo del lavoro. Con tutte le difficoltà che ne conseguono.

Vediamo, allora, prima di tutto, chi sono i care leavers e quali sono i rischi, le opportunità e le agevolazioni che questi giovani possono trovare nel nostro Paese.

Chi sono i care leavers?

Il termine care leavers significa letteralmente “coloro che hanno perso gli affetti familiari”.

Si tratta di tutti quei giovani neomaggiorenni che, per cause di forza maggiore, sono stati costretti a vivere gran parte della loro vita (infanzia e adolescenza) in una comunità o in affidamento. E comunque in un contesto diverso da quello della propria famiglia di origine.

Tra questi si parla di quei ragazzi che non hanno mai conosciuto i propri genitori o di coloro che hanno vissuto storie di affido andate male.

Ma anche di chi, per diversi motivi (violenza domestica, abusi e dipendenze dei genitori), è stato allontanato dalla propria famiglia nel corso degli anni, giovani uomini e donne che, una volta raggiunta la maggiore età, devono uscire nel mondo reale e iniziare a provvedere a loro stessi.

Una realtà molto più estesa di quanto si possa (o si voglia) pensare e che, proprio per la sua incidenza, merita di essere analizzata e discussa.

I care leavers in Italia: i dati

Solo in Italia, infatti, sono circa tremila i ragazzi maggiorenni che ogni anno escono dai percorsi di accoglienza in comunità o in affido e iniziano una vita indipendente. Vita che prevede come primo step la ricerca di un lavoro in grado di mantenerli economicamente.

Ma è davvero così semplice? Ovviamente no. Secondo i dati riportati da uno studio di Eurostat del 2018, in Italia l’età media in cui un giovane lascia la propria casa di origine (quella dei genitori) è intorno ai 30,1 anni. Molto più alta della media europea che vede questo passaggio verso i 26 anni.

Questo è dovuto a diversi fattori sia culturali che socioeconomici. Riuscire a trovare un lavoro ed essere in grado di mantenersi, infatti, risulta particolarmente difficile per due ragioni:

  • la prima è che il mercato offre per lo più contratti a breve termine;
  • la seconda è che ai giovani viene richiesto un background di competenze e istruzione in cui la formazione universitaria o professionale risulta indispensabile.

Aspetto inconciliabile con la vita di un neomaggiorenne appena uscito (o in procinto di uscire) dalle scuole superiori.

Care leavers: rischi e opportunità

Ma i problemi non sono solo questi. A metterlo in luce è uno studio condotto in due anni da Sos Children’s Villages e il London University College di Londra, in undici Paesi diversi.

Secondo l’approfondimento italiano della ricerca internazionale “Decent work and social protection for young people leaving care”, infatti, le difficoltà per i care leavers sono molte e di varia natura.

Primi tra tutti, il rischio di ritrovarsi in una situazione di povertà e quello di esclusione sia sociale che lavorativa.

Secondo il report, i giovani che escono dalle strutture di accoglienza e, quindi, lontani da persone in grado di indirizzarli e supportarli, hanno maggiori difficoltà a:

  • adattarsi a una vita diversa da quella fino a quel momento conosciuta;
  • accedere a percorsi di studi universitari;
  • trovare un alloggio;
  • gestire le spese di casa;
  • gestire le proprie spese personali e le finanze in generale;
  • accedere gratuitamente all’assistenza sanitaria e psicologica.

Esperienze che, in effetti, non sono comuni alla maggior parte dei neomaggiorenni e che, soprattutto in Italia, vivono la loro vita accanto ai propri affetti e supportati economicamente ed emotivamente dai propri genitori.

E questo fino anche a età ben più avanzate dei tanto attesi diciotto anni.

Perché si, se da un lato si vedono situazioni problematiche come quelle dei care leavers dall’altro, paradossalmente, si assiste alla situazione opposta, in cui si tende a prorogare il taglio del cordone ombelicale fino a tarda età.

Opportunità e iniziative

Fortunatamente, però, lo studio mette in luce anche aspetti positivi e che fanno ben sperare. Secondo gli esperti, infatti, occorrono iniziative e servizi che aiutino i giovani care leavers prima che questi escano dalle comunità o dall’affido.

Progetti che attualmente vengono promossi a livello privato e sociale, in collaborazione con gli enti locali e a volte delle Regioni, che mirano a:

  • sensibilizzare la cittadinanza e i giovani;
  • offrire ai ragazzi possibilità di lavorare regolarmente durante il periodo dell’accoglienza;
  • aiutare economicamente il passaggio dalle strutture a realtà indipendenti.

Ma non solo. Un passo concreto verso i care leavers è stato fatto anche a livello più ampio, con un progetto che copre l’intero territorio nazionale.

Si tratta di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nell’ambito del Fondo per la Lotta alla Povertà e all’Esclusione Sociale e realizzato in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti.

Care leavers e agevolazioni sociali

Nello specifico, è stata stanziata una somma pari a 15 milioni di euro per il triennio 2019-2021. Cifra dedicata ai neomaggiorenni che escono della comunità o da situazioni di affido/accoglienza, allo scopo di accompagnarli e sostenerli con risorse mirate fino al compimento dei 21 anni di età.

Un primo passo concreto in favore dei care leavers e, a livello italiano, il primo vero sostegno economico a loro dedicato.

Il progetto, inoltre, punta a creare una rete di supporto sulla base di valutazioni e analisi fatte da personale competente (educatori, assistenti sociali, familiari affidatari, ecc). Lo scopo è quello di permettere a queste ragazze/i di arrivare all’età adulta in modo graduale, senza traumi e con tutto il sostegno necessario.

Un’iniziativa che, di fatto, aiuta i giovani a perseguire i propri obiettivi, portandoli a termine o agevolandoli.

Dal completamento degli studi secondari superiori, alla scelta di intraprendere un percorso universitario, dalla possibilità di acquisire una formazione professionale di base, fino alla facilitazione nell’entrata nel mondo del lavoro.

Un aiuto in più

Facilitazione che è stata traslata anche a chi il lavoro lo offre, le aziende.

La quota di riserva prevista dalla legge 68, infatti, definisce che tutte le aziende pubbliche o private con più di 50 dipendenti debbano assumere una certa percentuale di lavoratori iscritti a determinate categorie, ovviamente con determinate agevolazioni fiscali.

Tra queste categorie fanno parte anche i care leavers. Un’opportunità vera per questi giovani e un aiuto concreto nel difficile percorso verso l’autonomia e la presa in carico della propria vita e del proprio sostentamento.

Un passo che, se da un lato rappresenta un salto di vita e un viaggio verso il futuro, dall’altro (sempre più spesso) capita obbligatoriamente quando ancora non si è pronti.

Ed è responsabilità di ognuno fare in modo che gli errori dei più grandi non si riversino sulla possibilità di un futuro sereno e pieno di soddisfazioni di chi colpe non ha. Ma che, con il giusto supporto, ha la grande fortuna di poter contare sempre su se stesso.

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