Alcune persone purtroppo non vivono a lungo, ma lasciano comunque un segno che diventa la loro eredità anche per le generazioni future. Questo è stato sicuramente il caso della matematica iraniana Maryam Mirzakhani, morta il 15 luglio 2017, a soli 40 anni, per un tumore al seno.

Maryam è stata l’unica donna a essere mai stata insignita della prestigiosa medaglia Fields, assegnata, dal 1936, dall’Unione Internazionale di matematica ogni quattro anni a un massimo di quattro persone non ancora quarantenni, per “Scoperte eccezionali”.

Maryam l’ha ricevuta nel 2014, stabilendo un doppio record: prima donna e prima cittadina iraniana a essere insignita del prestigioso riconoscimento, in oro come il Nobel, ma con un compenso economico decisamente inferiore.

Con lei, in quell’anno a vincere furono un latino-americano, Artur Avila, direttore di ricerca al CNRS e all’università Paris 7, e un indiano, Manjul Bhagarva dell’università di Princeton.

La vittoria di Maryam venne salutata con gioia dal presidente Hassan Rouhani su Twitter in inglese, e con le necessarie abbreviazioni per stare nei 140 caratteri del messaggio:

Congrats to #MaryamMirzakhani on becoming the first ever woman to win the #FieldsMedal, making us Iranians very proud.

Ovvero “congratulazioni a Maryam Mirzakhani per essere diventata la prima donna a vincere la Fields, rendendo l’Iran molto orgoglioso“. Poche parole, asciutte, perché in fondo la grandezza dell’impresa compiuta da Maryam non aveva bisogno di complicati panegirici, e perché, dopo tutto, il merito era stato tutto e soltanto suo, che fin da piccola aveva mostrato una passione sconfinata per i numeri e la geometria.

Da Teheran a Stanford, senza dimenticare le donne

Nata nel 1977 a Teheran, Maryam in realtà in principio voleva fare la scrittrice, ma ha ben presto capito che la sua strada era segnata dai numeri, non dalle parole.  Negli anni del liceo, in Iran, aveva vinto per due volte le Olimpiadi internazionali di matematica, nel 1995 è stata la prima per il proprio Paese a raggiungere massimo punteggio. La sua specialità erano le superfici di Riemann, come le selle, ad esempio, il loro modo di deformarsi in alcuni casi e di non farlo affatto in altri, restando topologicamente stabile, ma anche le proprietà della geometria “iperbolica” e “algebrica”, chiara solo ai pochi matematici che la praticano nel mondo.

Dopo la laurea a Teheran Maryam è partita per gli Stati Uniti, per prendere un dottorato ad Harvard e, dopo un periodo di ricerca di quattro anni al Clay Mathematics Institute e l’insegnamento a Princeton, nel 2008 è diventata professoressa all’Università di Stanford, in California.

Schiva, di poche parole, di sé parlava (raramente) con quell’umiltà che è tipica della genialità, in maniera introspettiva, con autocritica; come quando, nel 2008, intervistata da un collega dell’Istituto Clay, aveva detto con ironia

Sono una pensatrice lenta, ci metto molto tempo prima di riuscire a pulirmi le idee e a fare progressi.

Amava, in compenso, ricordare l’infanzia e la giovinezza trascorse in Iran, e il mondo delle donne iraniane dopo la sanguinosa guerra con l’Iraq; parlava di sua madre, che l’aveva incoraggiata, come le sorelle, a inseguire le proprie aspirazioni, della sua passione per la letteratura tramutatosi poi in curiosità per la matematica “per colpa” del fratello ma anche di un’insegnante di liceo.

Nelle rare dichiarazioni pubbliche aveva però criticato la condizione femminile  in Iran e non solo: a Harvard, a Stanford, a Princeton, pur avendo trovato “un ambiente piacevole“, non aveva potuto fare a meno di pensare come anche negli USA

la situazione delle donne in matematica è ben lungi dall’essere ideale. Le barriere sociali per le ragazze non sono poi meno basse che dove io sono cresciuta. E unire carriera e famiglia resta un grosso problema. Costringe le donne a decisioni difficili che di solito ne compromettono il lavoro.

Poche parole le ha riservate anche al momento della consegna del Fields, dalle mani della presidentessa della Corea del Sud Park Geun-hye,  il 13 agosto 2014 a Seoul:

È un grande onore – ha detto – Spero che questo incoraggi giovani scienziate e matematiche donne. Sono sicura che nei prossimi anni molte altre donne vinceranno questo tipo di premi.

Per lei la matematica era “come perdersi in una giungla, raccogliere tutte le conoscenze a tua disposizione e cercare di usarle per inventarti qualche trucchetto. Con un po’ di fortuna, te la puoi cavare“.

Grazie a lei, alla sua aria timida ma mai severa, alla sua discrezione, alla sua professionalità, un muro è stato abbattuto. Chissà che nei prossimi anni il suo auspicio possa diventare realtà.

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