Il 10 luglio del 1955, in una calda giornata estiva, il meccanico Antonio Solazzi e il sagrestano Luigi Barbon decidono di passare la giornata in barca sul lago di Albano, appena fuori Roma. Inizia così uno dei grandi misteri irrisolti della cronaca italiana del Novecento: il brutale assassinio di Antonietta Longo.

Sono proprio i due uomini a trovare il suo corpo, nascosto tra i cespugli e decapitato. Allarmati, i due amici scappano, pensando che la colpa possa ricadere su di loro, ma poi decidono di contattare i carabinieri. Come ricorda un vecchio articolo di Repubblica, Solazzi racconta la scena del ritrovamento alla stampa.

Il corpo della donna era come piegato tra due cespugli; le gambe erano tese un po’ in alto. Il collo, da cui era stata mozzata la testa proprio alla radice, era rivolto verso il lago. La donna era nuda, un orologio le stringeva il polso tutto raggrumato di sangue.

La descrizione della donna, di circa trent’anni e di media statura, viene subito collegata a quella di Antonietta Longo, giovane cameriera scomparsa il mese prima. Lavorava a casa di Cesare Gasparri, funzionario del ministero dell’Agricoltura, ed è stato proprio lui a denunciare l’allontanamento.

La sventurata ha dunque un nome, ma per la stampa continua a essere “la decapitata”. Di lei si sa che è nata nel 1925 a Mascalucia, in provincia di Catania, da una famiglia povera ma perbene. Parte dalla Sicilia poco più che ventenne, per trovare lavoro a Roma: una storia come quella di tante altre giovani, finita però in tragedia.

Dall’autopsia, si scopre non solo che è stata trafitta da diverse coltellate in tutto il corpo, ma anche che era incinta e che qualcuno ha fatto tutto il possibile per impedire il suo riconoscimento. Sul suo corpo c’è solo un oggetto personale, un piccolo orologio di marca Zeus che viene subito riconosciuto dal padre di Antonietta, che gliel’aveva regalato. La testa, invece, non verrà mai più ritrovata.

I giornali dell’epoca si gettano a capofitto sulla vicenda, raccogliendo testimonianze e delineando i possibili scenari. Secondo le amiche, Antonietta Longo si era comportata in modo strano, negli ultimi tempi. La sorella Grazia dice di averla vista un mese prima a Roma e che era più elegante del solito.

E poi c’è il racconto di un oste della zona del lago, che sostiene di aver noleggiato una barca a una coppia agli inizi di luglio e di averla ritrovata il giorno tra le canne, con un solo remo. Intanto le indagini ufficiali parlano di una valigia scomparsa con i suoi risparmi e di molti presunti corteggiatori, ma non sembrano avvicinarsi alla verità.

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Il caso di Antonietta Longo si trascina per anni, senza portare a uno o più colpevoli. Dopo un lungo silenzio, torna alla ribalta negli anni Settanta, quando alla Corte d’Appello di Roma giungono due lettere anonime che accusano un tale Antonio, pilota, contrabbandiere e presunto amante della donna. Anche in questo caso, non si giunge a una verità.

Per l’opinione pubblica del tempo, Antonietta Longo forse è stata uccisa da un uomo sposato, che le ha rubato tutti i soldi, oppure è stata sedotta e abbandonata. Intervistato recentemente dal Corriere, il nipote di Antonietta dice che non crede sia andata così.

Queste furono due ipotesi, ma ritengo sia andata diversamente. Si volle coprire uno scandalo ancora più grave. Di certo zia Ninetta non meritava una fine tanto orrenda. Né prima, quando le mozzarono la testa e strapparono le ovaie, né dopo, quando la stampa prese a dipingerla come una poco di buono.

Giuseppe Reina non ha mai potuto conoscerla, ma sta cercando di riabilitare la sua memoria. Lo fa per sua nonna Grazia, sorella di Antonietta, ma soprattutto per una donna che è stata uccisa due volte: dal suo assassino e da chi si occupò del suo caso, sui giornali e non solo.

L’inchiesta fu caratterizzata da ritardi e depistaggi continui. Ugo Macera, superpoliziotto dell’epoca, promise a mia nonna che avrebbe catturato l’assassino in breve tempo, ma a un certo punto iniziò a brancolare nel buio, a fermare uomini alla cieca: un macellaio, un chirurgo, un falso conte. Perché? A pensar male, diceva qualcuno…

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