Libero ci ricasca. Non è certo la prima volta che il quotidiano diretto da Vittorio Feltri esce con dei titoli che lasciano perplessi – per usare un eufemismo -, ma quello scelto stavolta non si limita a essere semplicemente discutibile, ma è grave, sia da un punto di vista deontologico, poiché usa informazioni strumentalizzate, che da quello sociale, in quanto fuorviante e potenzialmente pericoloso.

In prima pagina, a nove colonne, si legge:

Più maschicidi che femminicidi.

E sotto

133 uomini uccisi all’anno, mentre le donne sono 128. Eppure non si assiste a mobilitazioni in favore del sesso forte che in realtà è debole.

Presi così, e senza un’analisi lucida e approfondita delle fonti, questi dati rovescerebbero completamente un contesto nel quale si parla di violenza di genere quasi sempre e solo a senso unico, ovvero come compiuta dagli uomini verso le donne. Ovvero contesterebbe chiunque sostenga, pur non negando l’esistenza di forme di violenza inversa, che il numero di “femminicidi” sia molto più alto di quello dei “maschicidi”.

Ma il primo punto da cui dobbiamo partire, per comprendere perché il titolo di Libero sia scorretto e ingannevole, è capire che cosa significa il termine femminicidio (e quindi maschicidio), definizioni che a quanto pare sembrano sfuggire al quotidiano.

Cos’è il femminicidio

Leggiamo da vocabolario Treccani:

Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica o annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale.

Dunque non si parla di una donna uccisa in un tentativo di scippo andato male, o per un colpo di pistola sparato da un pazzo appostato dietro una finestra; non si tratta quindi di un generico omicidio di una donna. C’è una ragione ben precisa che spiega perché questo termine viene usato per denominare tutte le donne vittime della violenza, spesso a sfondo sessuale, di un ex compagno/marito, di un conoscente, di un collega. Ed è la stessa ragione che spinge molti giornali, in una maniera orribile, a definire questi omicidi come “a sfondo passionale”.

Femminicidio (o feminicidio) – si legge ancora su Treccani – ha ragione di essere inserito in un dizionario moderno della lingua italiana dell’uso perché, da quando è comparso per iscritto nella stampa e nella saggistica e si è diffuso nel parlato, ha confermato di essere efficace, ovvero di funzionare bene per esprimere un concetto altrimenti senza sbocco terminologico o sommerso in una semantica indifferenziata: certo, omicidio è termine che comprende semanticamente femminicidio, ma nasconde ogni specificità. Egualmente, com’è stato notato con avvedutezza, femminicidio non coincide con uxoricidio, che ritaglia un’altra sottospecie semantica di omicidio.

[…] mettere polemicamente in rilievo lo svilimento della donna, ridotta a femmina (dal latino foemina), entità “animale” sessuata: chi si rende responsabile di femminicidio lo fa attaccando l’altra perché da donna – essere umano di sesso femminile dotato di personalità, intelligenza, diritti, voce in capitolo, ecc. – vuole degradarla a femmina, animale da macello.

E a chi dice che la parola femminicidio sia un'”invenzione” recente, vogliamo spiegare che il termine è in realtà un calco dell’inglese feminicide, e dello spagnolo feminicidio. La prima ad adoperare il termine – quindi probabilmente anche colei che lo ha coniato – è stata l’antropologa messicana Marcela Lagarde in un suo scritto del 1993; ma, andando a ritroso, troveremo il termine  femicide in riferimento all'”uccisione di una donna” nel vocabolario inglese già a partire dal 1801.

In breve, il femminicidio è l’omicidio di una donna in quanto donna, perché donna.

Si può parlare di maschicidio?

Sia chiaro, nessuno vuole negare né l’esistenza di forme di violenza domestica nei confronti degli uomini – l’Istat ha stimato che sarebbero circa 3 milioni e 574 mila gli uomini italiani vittime di di violenza psicologica, economica, morale – né che alcune donne uccidano i propri compagni. Del resto, la stessa Convenzione di Istanbul tutela anche gli uomini dalla violenza, anche se nell’introduzione del testo si legge

Riconoscendo che le donne e le ragazze sono maggiormente esposte al rischio di subire violenza di genere rispetto agli uomini;

Riconoscendo che la violenza domestica colpisce le donne in modo sproporzionato e che anche gli uomini possono essere vittime di violenza domestica;

Seppure quindi nessuno neghi l’esistenza di violenze a danno di uomini, il “maschicidio” per essere usato in modo corretto dovrebbe intendere l’uccisione di un uomo in quanto uomo, ovvero di un uomo che non è più considerato tale ma diventa “animale da macello”. Perciò non si può definire maschicidio un generico omicidio, né che l’omicida sia uomo, ma nemmeno se è donna. Occorre infatti valutare il movente (e questo Libero non lo fa).

Inoltre, anche dovessimo ignorare questa doverosa premessa e prendessimo in considerazione gli omicidi di uomini compiuti da donne, i dati di sulla violenza di genere elaborati da Trunumbers e basati su quelli della Polizia di Stato mostrano che il numero di uomini uccisi da donne è calato nel tempo, passando da 30 a 26 omicidi all’anno. E anche in generale, dagli anni ’90 a oggi c’è stato un considerevole calo di omicidi tra uomini, passati da 342 a 201 all’anno, mentre, pur essendo diminuiti in termini assoluti anche gli omicidi con vittime donne, la flessione è stata molto minore – da 149 a 131 – perciò il peso percentuale di questo tipo di omicidi è aumentato.

Inoltre, parlando sempre per percentuali, la media di uomini che uccidono le donne è aumentata del 7% negli anni, passando dal 28% a oltre il 35%, quella delle donne che uccidono gli uomini ha avuto un incremento dell’1,4% (dal 5,6 al 7%).

Fonte: Truenumbers su dati Polizia di Stato

Lo stesso tipo di errore compiuto da Libero è stato fatto anche da Il Giornale nel giugno 2017, quando ha scritto del “terzo maschicidio in tre settimane”. Parlando dell’omicidio di un uomo da parte della compagna, nell’articolo si sono messi sullo stesso piano altri due casi di cronaca, quello di  Villongo, nel bergamasco, dove una quarantaquattrenne ha investito con la propria auto un uomo che la perseguitava, e quello di Campasso di Sampierdarena, nel genovese, dove una trentanovenne ha ucciso il marito che la picchiava. È davvero difficile considerare tali omicidi come “annientamento dell’uomo nel suo ruolo sociale” (a meno che non si intenda il ruolo sociale dell’uomo quello di perseguitare e picchiare le donne) perciò non si può parlare di maschicidio (che infatti non è presente in alcun dizionario, a differenza di femminicidio).

Libero ha operato quindi una pericolosa distorsione dei dati a sua disposizione, presi dal report Violenza domestica e di prossimità: i numeri oltre il genere, curato da Barbara Benedettelli, vicepresidentessa dell’Osservatorio Nazionale Sostegno delle Vittime che è stata recentemente impegnata, con altri professionisti, a redigere il Codice Rosso in sostegno proprio delle vittime di genere.

Nel documento, riferito al 2017, si parla di 355 omicidi, e di 236 vittime che hanno perso la vita per mano di familiari, amici, vicini di casa, compagno/a di vita e colleghi. Fra loro, 120 sono le donne, 116 gli uomini (ma il numero si pareggia se si contano 4 italiani uccisi all’estero dalle compagne). Più sotto, si legge che gli uomini uccisi sono stati 133 in quell’anno, a fronte dei 128 donne, ma queste morti sono da considerarsi rientranti nella generica categoria “omicidi”, ovvero quelli perpetrati per motivi economici, per rapine, per risse finite male. Insomma, è superficiale e volutamente fuorviante definirli “maschicidi” solo perché la vittima è un maschio.

Qui non parliamo di uscire con un titolo come il famoso “Cala il PIL, aumentano i gay”, o di quel “Vieni avanti Gretina” riferito a Greta Thunberg, che sono aberranti ma al limite della libera interpretazione, perché scrivere in prima pagina che “i maschicidi sono più dei femminicidi” è falso e pericoloso, perché rischia di acuire una situazione già esasperata in cui, alla richiesta delle donne di maggiori tutele e prese di coscienza, corrisponde un aumento del livore di alcuni uomini fomentati dalla propaganda maschilista, che si evidenzia, ad esempio, nella formazione di gruppi come A voice for men (ora non più trovabile su Internet), che schierandosi dietro l’egida dell’anti-misandria in realtà portano avanti idee anti-femministe e misogine, in cui, ad esempio, equiparano il femminismo al nazismo. 

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