“Il regalo dello scorso Natale di mio fratello per mia figlia è stato uno smartphone.

Lì per lì, io e mia moglie non abbiamo avuto il coraggio di dire niente: lei adora suo zio e ormai sta crescendo. Ci siamo detti che per una ragazzina che iniziava le scuole medie, che ha le sue amicizie e i suoi interessi, che si muove coi mezzi pubblici da sola, un telefonino poteva essere utile. Confesso: ho pensato che ci avrebbe aiutato a “proteggerla” un po’ di più. Non siamo degli sprovveduti e piuttosto che vietare preferiamo conoscere e condividere.

Frequentiamo i social, sappiamo i pericoli della rete e parliamo con lei del rischio di intrecciare amicizie con sconosciuti che possono rivelarsi, nel peggiore dei casi, bulli, truffatori o adescatori. Vado al punto: mia figlia, come quasi tutti i suoi amici, ha scaricato l’applicazione “Tiktok” e ne è completamente incantata. Uso il termine “incantata” perché nel tempo che le è concesso di passare in rete è completamente rapita. Io mi sento vecchio, non capisco cosa ci trova. Vedo video velocissimi, che per me non hanno senso, spesso di bambini anche più piccoli di lei.

Soprattutto i video delle bambine sono inquietanti: ballano in modo provocante, sono truccate, sembrano piccole donne sexy. Non voglio essere un padre troppo protettivo o bacchettone, ma quei contenuti mi turbano e non posso fare a meno di chiedermi che effetto possono avere su di lei. Ti chiedo: sono solo io che sono un dinosauro tecnologico o è un’applicazione che le fa davvero male?”
(Ale, 41 anni)

Caro Ale, lasciami prima di tutto scrivere che il tuo messaggio è per me molto rassicurante: cercare di capire e mettere in discussione i limiti che finora abbiamo avuto (e dato, soprattutto come genitori) è la strada giusta per crescere insieme ai nostri figli in un mondo colonizzato dalle tecnologie dell’intrattenimento. Scrivo intrattenimento e non comunicazione proprio perché molta tecnologia è fatta perché gli utenti letteralmente “ci anneghino dentro”. La metafora dell’oceano per descrivere il web ha molto successo perché ha un senso: nel web c’è di tutto, e quello che vediamo e popoliamo è solo una piccola parte.

Anche io, come te e come moltissimi altri adulti, sono spesso smarrita di fronte all’esplosione di fenomeni virali di breve durata e di fascino per me incomprensibile. Definito che abitiamo la stessa parte di questo mondo e che questa rubrica è uno spazio il più possibile neutro da giudizi (tutti i livelli compresi tra dinosauri e tecnoentusiasti sono benvenuti!) entriamo nel merito di “Tiktok”.

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Breve e doveroso inciso per chi non ha figli appena entrati in adolescenza e connessi in rete. “Tiktok” è il nome con cui, nell’agosto 2018, è stato rilanciato il social cinese Musical.ly dal nuovo proprietario ByteDance. Ci si iscrive per condividere video in cui si canta e si balla in playback (cioè si fa “lip–sync”) con brevi video, sotto il minuto; non solo: ci si trovano anche clip comiche, tutorial, piccole prove di abilità, saluti delle star.

Gli ultimi dati rivelano che Tiktok vanta 1.5 miliardi di download ed è la terza app più usata dopo Whatsapp e Messenger, avendo superato Facebook e Instagram (tutte e quattro proprietà di Facebook). In teoria, come in FB, c’è un limite fissato a 13 anni per iscriversi; ma non è verificato. Per farla molto molto semplice: è un social fatto solo di stories in cui sono visibili i numeri dei like. A differenza di altri social che prevedono l’iscrizione, in Tiktok tutti gli account sono pubblici: questo significa che chiunque può vedere e contattare gli utenti che postano i loro video.

Caro Ale, i tuoi turbamenti e i tuoi timori non sono infondati. In primo luogo perché è un’app fatta per “catturare” l’utente da un lato e dall’altro: chi guarda sviluppa una fruizione compulsiva di contenuti velocissimi e sempre diversi, facendo costantemente zapping. Il breve video è raramente un contenuto di spessore; e abitua il cervello a rispondere a scariche di adrenalina. Chi produce i video e li condivide cerca attenzione e consenso, osando con l’ingenuità e l’imprudenza tipiche dell’adolescenza.

Esiste poi un oggettivo problema di sicurezza: proprio in questi giorni, le riviste di settore hanno riportato la correzione di una falla che permetteva agli hacker di scaricare dati personali e video degli utenti, cancellare contenuti e caricarne altri non autorizzati. Insomma: in fatto di sicurezza, Tiktok è un colosso dai piedi d’argilla.

Infine, cosa da non sottovalutare, i videoclip hanno come protagonisti per lo più bambini, che sono visibili e contattabili da chiunque nel mondo. Con tutta l’apertura mentale possibile, questa prospettiva è comunque inquietante.

Insegnare a navigare gli utenti più piccoli (senza che anneghino)

Tiktok è l’ultimo social di enorme successo tra i giovanissimi utenti, in grado di diffondersi con una rapidità sconcertante e privo di garanzie che social più maturi ormai devono riconoscere a utenti più esigenti per quanto riguarda la sicurezza dei propri dati, la moderazione e l’affidabilità per le situazioni di rischio.

Non sarà l’ultimo: altri fenomeni nasceranno, qualcuno resterà e si consoliderà, altri saranno delle comete destinate ad essere presto dimenticate. “È la viralità, bellezza!”, direbbe qualcuno. Ma la viralità non è sempre innocua: un conto sono i video musicali, un conto sono le challenge (vere e proprie gare) che spingono gli utenti a sfide pericolose (ricordate extreme ironing? era la sfida a stirare in situazioni assurde e di estremo pericolo), al bullismo di massa (una su tutte: il deprecabile “pull a pig”, cioè l’ingannevole seduzione e l’umiliazione pubblica di una donna fisicamente poco attraente) fino all’autolesionismo.

Di fronte a questo mare di pericoli, la tentazione del divieto è forte. Ma permettetemi di usare una metafora: da bambini, per non avere paura del mare bisogna imparare a nuotarci dentro; ed è meglio se ce lo insegna qualcuno di più grande e di più esperto.

Quindi, tre cose da fare subito se siete genitori sbigottiti di fronte ai fenomeni virali. Primo: essere curiosi, conoscere, capire. Esistono e attirano i vostri figli? Allora vale la pena interessarsi e approfondire di cosa si tratta. E se anche non lo capite, non condannatelo a priori, ma cercate qualche lato positivo; va bene anche il divertimento (non venite a dirmi che passate notti intere a guardare le serie tv perché hanno contenuti di spessore!).

Secondo: dare dei limiti al tempo in rete. Esiste una differenza tra informazione e conoscenza: quando acquisiamo delle informazioni (parole, dati, immagini), poi dobbiamo avere il tempo di elaborarli, abbiamo fisicamente bisogno di pensarci su, di capire; e anche di mettere a fuoco quello che ci ha turbato o disorientato.

Terzo: mantenete aperto il dialogo e il confronto, senza pregiudizi o condanne. Qualsiasi cosa succeda ai vostri figli (nella vita reale come in quella virtuale) devono sapere che possono raccontarvela e che voi ascolterete, vi sforzerete di capire e sarete comunque dalla loro parte. Questa è la differenza determinante tra il supporto (concreto) di un genitore e quello dei follower.

E adesso scusate, ma per i miei figli è iniziato il momento del gioco e qui spopolano Fortnite e Minecraft. So che potete capire la fatica che fa una come me, che sono pacifista e che, per costruire mondi, non uso altro che parole…

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La rubrica di Roba da Donne “Non te lo posso dire – Alziamo la voce VS il bullismo”, è curata da Nadia Busato, scrittrice e giornalista, che risponderà, in una sorta di posta del cuore, a chi il cuore lo ha ferito dalla crudeltà altrui, a chi ha perso la speranza, a chi non sa come uscirne o con chi parlarne e vorrà raccontarci la sua storia di bullismo e soprusi.
Accanto a noi, in questo percorso, gli amici di Centro Nazionale contro il Bullismo – Bulli Stop, il dottor Massimo Giuliani e la dottoressa Carmen Sansonetti (Area Nord Italia – Lombardia Settore Scuole ed Eventi Sportivi), che ci hanno aiutato a mettere a punto il kit di primo soccorso che trovate qui di seguito.
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