Il 10 Dicembre del 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, firmò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che definiva i “diritti inalienabili di ogni essere umano, senza distinzione di razza, sesso, religione e ideologia politica”.

I quattro pilastri fondamentali su cui di fonda la dichiarazione riguardano la dignità, libertà, uguaglianza e fratellanza che, insieme, dovrebbero garantire la tutela e la parità di ogni essere umano.

Lo scopo è quello di proteggere i valori individuali, la libertà e la sicurezza personale, la partecipazione politica o pubblica e i diritti economici, sociali e culturali, a prescindere dalle differenze di religione, etnia o sesso.

Ma è davvero così?

Se da un lato nel corso degli anni è stato fatto molto per concretizzare questi diritti, dall’altro sappiamo perfettamente che ancora oggi esistono notevoli differenze tra individui e in particolare tra uomini e donne.

E non parliamo solo di “ciò che una donna può o non può fare”. Ci sono Paesi in cui a rischio c’è la sopravvivenza stessa.

Paesi in cui “è consigliato” non uscire di casa per la propria incolumità o addirittura in cui vige un vero e proprio coprifuoco imposto per legge. 

Origine del coprifuoco

La pratica del coprifuoco ha origini molto antiche. Il termine, infatti, venne adottato nel medioevo per indicare lo spegnimento di ogni fuoco, lume o lanterna nelle ore notturne. Questo serviva a evitare che si formassero accidentalmente degli incendi, salvaguardando così la popolazione.

In epoche più moderne, poi, il coprifuoco è stato utilizzato soprattutto durante guerre o combattimenti come protezione. Lo spegnimento di ogni luce, infatti, rendeva meno visibili i centri abitati che quindi rimanevano più nascosti e al riparo. Questo viene fatto anche oggi come misura preventiva a protezione dei civili, soprattutto nel caso di attacchi aerei.

Anche parlando di coprifuoco femminile si hanno testimonianze riconducibili a situazioni di guerra. Si pensi per esempio a quello imposto dai tedeschi durante Seconda Guerra Mondiale, per fermare le “staffette” in bicicletta con cui la resistenza femminile supportava i partigiani. Protezione o strategia quindi. Ma è ancora così?

Coprifuoco femminile: strategia, protezione o limite?

A oggi, quando si parla di coprifuoco femminile non esiste nessuna strategia militare che lo supporti ma solo la volontà, travestita da “aiuto”, di limitare il diritto alla libertà della donna. Se è vero che per le donne spesso è pericoloso anche solo fare una passeggiata serale, dall’altro è vero anche che questo nasce da chi il pericolo lo crea.

I casi di violenza sessuale ai danni delle donne fanno parte della cronaca quotidiana in tutte le parti del mondo e proprio su questo, negli anni, sono emerse proposte per indire un coprifuoco a “tutela” del sesso femminile.

Una finta protezione verso la donna e un modo per scoraggiare il problema senza, però, mettere un freno a chi commette la violenza stessa.

In Italia, è simbolico il caso del processo per stupro che vedeva Tina Lagostena Bassi come avvocato dell’accusa. Nel 1979, un avvocato della parte colpevole disse “Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l’avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente”.

Queste parole erano volte a evidenziare la presunta colpa della ragazza, senza manifestare nessuna traccia di aiuto o tutela nei suoi confronti.

Diverso è stato l’approccio al problema In Israele, quando Golda Meir era primo ministro. Alla Meir fu proposto di mettere un coprifuoco per tutelare le donne dalla possibilità di subire degli stupri.

Per tutta risposta lei rifiutò dicendo «Sono gli uomini che attaccano le donne, se c’è un coprifuoco, che stiano a casa gli uomini».

Parole che dovrebbero far riflettere sul fatto che la soluzione alle violenze non è limitare la libertà della donna o delle categorie considerate più deboli o a rischio, ma si dovrebbe agire per ostacolare e contenere quelle politiche o ideologie che favoriscono questo genere di problemi.

Ma vediamo insieme quali sono i luoghi considerati pericolosi per il genere femminile e in cui vige un coprifuoco.

Quando il proprio Paese non è un posto sicuro

Che esistano luoghi più sicuri di altri è cosa nota. Quando si è donna, poi, il rischio aumenta notevolmente. Per politica, religione o violenza diffusa, ci sono Paesi in cui la vita stessa delle donne è a rischio in ogni momento.

Secondo gli esperti della Thomson Reuters Foundation, ci sono dieci Paesi in particolare considerati pericolosi per il sesso femminile, per mancanza di assistenza sanitaria, discriminazione, tradizioni culturali, violenza sessuale, violenza non sessuale (abusi domestici, fisici e mentali), traffico di esseri umani (lavoro forzato, matrimonio forzato e schiavitù sessuale).

Al primo posto troviamo l’India, con il più alto rischio di violenza sessuale, molestie e traffico di esseri umani. L’Afganistan con una fortissima incidenza di abusi sessuali e domestici. Siria e Somalia, dove le donne sono vittime di stupri anche connessi ai conflitti in essere.

In Arabia Saudita le donne subiscono violenze domestiche e molestie sessuali oltre a forme di discriminazione diffuse e la violazione di molti diritti. Per esempio, è solo di pochi mesi fa l’introduzione della possibilità per le donne di poter viaggiare da sole, senza il consenso di un tutore uomo.

In Pakistan esiste ancora il delitto d’onore, mentre nella Repubblica Democratica del Congo, nello Yemen e in Nigeria, spesso sono i conflitti a segnare la sorte della donna.

Anche gli Stati Uniti rientrano nella classifica a causa del numero di violenze sessuali, molestie e mancanza di accesso alla giustizia nei casi di stupro.

Ma la pericolosità non è l’unica causa a limitazione dei diritti delle donne. In alcuni Paesi, anche se non considerati pericolosi, il divieto di uscire di casa dopo una certa ora è definito e dettato per legge.

È il caso del Madagascar. Qui, per esempio, c’è uno specifico coprifuoco che impone unicamente alle donne di restare a casa dopo il tramonto.

In Indonesia, invece, vengono seguiti i dettami della sharia. Le donne non possono uscire di casa dopo le 23 senza essere accompagnate da un uomo.

Il coprifuoco nella Sharia

Illiza Sa’adudin Diamal, il sindaco di Banda Ace, nell’isola di Sumatra, ha dichiarato che il provvedimento non è stato preso per penalizzare le donne.

L’intenzione è stata quella di proteggere le lavoratrici e le giovani dall’aumento dei casi di violenza sessuale nel Paese. Per chi trasgredisce, infatti, non ci sono pene ma rimproveri dalle autorità.

In merito al provvedimento ha preso parola anche il leader musulmano Ustad Masrul Hadi.

Come ha dichiarato, è necessario “tornare ai principi degli insegnamenti di Dio che ordinano di vivere e lavorare con la luce del giorno e di riposare la notte”.

Il motivo? L’aumento del numero di giovani, tra cui ragazze, che escono fino a tarda notte.

Di fatto, però, c’è da dire che la sharia impone tutta una serie di restrizioni alle donne come, uno tra tutti, l’obbligo di portare il velo.

Nelle zone tra Iraq e Siria, per esempio, le donne che vivono sotto lo Stato Islamico (IS), possono uscire solo se velate e accompagnate da un uomo. Questo può essere un membro della propria famiglia, come il padre, un fratello o un parente, o un guardiano appositamente incaricato.

In questi Paesi, i guardiani o gli uomini della famiglia che non fanno rispettare queste leggi alle “proprie” donne, possono essere puniti esattamente come le donne stesse.

Quello che traspare, quindi, è che sulla libertà, la parità, l’emancipazione e i diritti delle donne nel mondo, ci sia ancora tanta, tantissima strada da fare. Questo perché, quando si parla di diritti, la parola uomo o donna crea ancora delle enormi disuguaglianze.

Che ci siano Paesi pericolosi, orari off limits o azioni non consentite per un genere piuttosto che per un altro indica che, ancora oggi, quando si parla di diritti non si intendono quelli “umani”.

Perché questi, in quanto umani appunto, non dovrebbero interessare solo una parte, ma dovrebbero essere universali e uguali per tutti, senza differenza di sesso.

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