Le parole di Assunta, Patrizia e Marta quattro anni dopo il terremoto di Amatrice

4 anni dal terremoto nel Centro Italia. E no, non ci importa parlare di quanto la ricostruzione vada per le lunghe o sia complicata la macchina burocratica. Ci interessa raccontare le persone. Quelle che ce l'hanno fatta, che non si sono date per vinte. E che, contando sulle proprie forze, sono ripartite.

24 agosto 2016,ore 3:36. Una scossa di magnitudo 6.0 strappa centinaia di persone dal sonno pacifico nelle loro case per precipitarle, in una manciata di secondi, in un incubo il cui bilancio sarà terribilmente reale.

Scompaiono i paesi di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto, spazzati via dalla furia del sisma, che porterà con sé anche 299 vite.

È l’inizio di un lunghissimo, devastante e inesorabile sciame sismico che sconquasserà il Centro Italia nei mesi e negli anni a venire, tornando a terrorizzare a ottobre dello stesso anno, e poi nel gennaio 2017, quando a Rigopiano un hotel verrà travolto dalle slavine di neve  formatesi in seguito alle ennesime scosse, divenendo la più importante tragedia causata da una valanga dal 1916, in Italia, e dal 1999, in Europa.

4 anni dopo il terremoto nel Centro Italia, che già aveva pagato pegno 7 anni prima, con il sisma de L’Aquila del 6 aprile 2009, i numeri del dolore e dell’immane dramma creato dall’evento sono terribili: 41.000 sfollati, 388 feriti e 303 morti complessivamente, cui si aggiungono le 29 persone rimaste uccise dalla frana a Rigopiano.

Come stanno le cose a distanza di 1460 giorni dal sisma? La ricostruzione va a rilento, molti paesi sono ancora cantieri a cielo aperto e tanti i borghi andati distrutti che tuttora non hanno recuperato il loro aspetto. Tanti i progetti, un’ottantina circa quelli di ricostruzione pubblica (scuole, ospedale, opere di urbanizzazione, chiese, caserme e municipi) per oltre 120 milioni di euro, ma Osservatorio Sisma, promosso da Legambiente e Cgil, denuncia una lentezza che, naturalmente, incide sulla quotidianità di chi nel terremoto ha perso case o lavoro.

Le inchieste fanno il loro corso, i processi per cercare eventuali responsabili pure, ma la verità è che, oltre le aule di tribunale e gli uffici dove si espletano e si rimpallano le pratiche burocratiche spesso infinite, ci sono le persone.

Persone che aspettano di nuovo una casa, e che nel frattempo si sono rimboccate le maniche, ricostruendo da sole la propria identità e cercando altrimenti soluzioni alternative per non perdere, oltre alle abitazioni e alle professioni, la dignità e l’umanità.

Ci sono le donne dei paesi colpiti dal sisma, che nel silenzio, rimboccandosi le maniche, hanno scelto di non darsi per vinte. Di restituirsi una vita e di concedersi quell’opportunità che il terremoto ha negato loro. Donne che possono provare a spiegare cosa significhi vivere un terremoto e vedere la propria esistenza spazzata via nel giro di pochi secondi (anche se certe tragedie si capiscono solo vivendole sulla pelle) e che dall’ineluttabilità della vita hanno cercato di trarre il meglio.

Ne abbiamo ascoltate tre: Assunta Perilli, che in una delle soluzioni abitative d’emergenza ha fatto ripartire la propria attività, Patrizia Vita, che dopo anni trascorsi a Roma non intende rinunciare a vivere il suo paese e la sua casa, e Marta Zarelli, una guida che spera di tornare, un giorno, a mostrare le meraviglie dei suoi luoghi.

Assunta, due terremoti e il coraggio di ripartire

Fonte: Assunta Perilli ph. Leonardo Bravi

Assunta parla di Campotosto, epicentro del sisma del gennaio 2017, come di un “terremoto dimenticato”, anche per via della grande tragedia di Rigopiano seguente a quel sisma, in cui sono morte 29 persone.

Noi stavamo con due metri di neve e non riuscivamo a uscire di casa. Nonostante la nostra tragedia, però, io guardavo la tv e soffocavo al pensiero di loro sotto la neve. Da noi i primi soccorsi sono arrivati a tarda notte.

Per fare 70 passi abbiamo impiegato 3 ore e 40.

Rogipiano era un albergo, ora non c’è più, noi invece siamo un paese distrutto, che però continua a vivere. Il nostro problema come comunità ora come ora è che siamo abbandonati, è un dato di fatto.

Per lei, però, quello del gennaio di due anni fa non è stato il primo terremoto:

Noi in paese, a Campotosto, siamo stati colpiti anche nel 2009, con il terremoto de L’Aquila.

Dopo dieci anni solo ora stiamo tornando nella casa che con il primo sisma era stata danneggiata. Dopo Ferragosto hanno tolto le macerie della casa che invece è caduta nel 2017, e questa è una bella notizia. Per ora sono queste per noi le belle notizie.

Significa che dopo procederemo con qualcosa di bello, tipo una ricostruzione, e questa è la speranza di tutto l’Appennino“.

Continua:

Il terremoto del 2009 ci ha sorpresi, prima abbiamo sempre pensato al sisma come a una specie di ‘gioco’, negli anni ’80, dopo uno sciame sismico, ci avevano dato il permesso di dormire fuori casa, è stata un’esperienza eccitante per noi ragazzini. Ma ci siamo resi conto di cosa significhi solo quando la terra ha tremato a L’Aquila.

Nel 2017 eravamo già ‘preparati’, avevamo già casette di emergenza – le MAP, i moduli abitativi provvisori – già dopo Amatrice abbiamo iniziato a vivere lì, solo pochi hanno continuato a vivere fra mura“.

Dopo la doppia esperienza del terremoto Assunta ha solo una grande certezza:

Io ora una casa di proprietà non la vorrei mai più, perché ho risparmiato per comprarne una e l’ho vista cadere in un giorno. C’è gente che paga ancora il mutuo per un cumulo di macerie. Preferisco vivere in macchina.

Dal punto di vista professionale, però, Assunta è riuscita a ripartire: si è comprata una casetta, con i suoi soldi, per riaprire il suo negozio di tessitura a mano, a Campotosto.

Anche il racconto di Patrizia è drammatico. Ed è il racconto di chi ha perso tutto:

Patrizia, pensare al futuro senza perdere di vista il presente

Fonte: Facebook @Patrizia Vita ph. Genziana Project

Patrizia abita ad Ussita, che è stata l’epicentro della scossa del 26 ottobre 2016 delle 21:20. Dopo il sisma alla zona è stata data una percentuale altissima di inagibilità, eppure, ci racconta, se non per due cantieri (di cui uno privato) la ricostruzione è ancora a uno stato primitivo.

Io avevo un B&B, La casa dell’ortigiana, che era anche la mia casa, in un borgo, Sorbo. Bene, la mia casa è stata demolita nel gennaio 2018, nel momento in cui è stata dichiarata inagibile io ho perso casa e lavoro, per tutta una serie di motivi complicatissimi legati alla burocrazia sono in una soluzione abitativa di emergenza dal febbraio 2018.

Per i primi 7, 8 mesi potevamo entrare in paese solo con pass e militari, praticamente eravamo controllati a casa nostra. È stato decisamente surreale.

Per quanto mi riguarda sono riuscita ad andare avanti perché ho la fortuna di avere una grandissima rete di persone che mi vogliono bene, dopo questo terremoto me ne sono accorta. Ho vissuto a Roma per vent’anni, decidendo di tornare nel 2012, in questi anni ho intessuto una serie di relazioni che durante il sisma mi sono state di grosso supporto.

Non mi vergogno di dire che per molto tempo mi hanno mantenuta i miei amici, hanno creato una raccolta fondi permettendomi di non avere il problema del ‘come andare avanti’“.

Patrizia ricorda ancora la mensa dell’esercito nell’anno e mezzo passato in camper, e di come Ussita fosse un paese fantasma, fino a quando, con la consegna delle SAE [soluzioni abitative d’emergenza, ndr.], qualcosa è tornato a muoversi.

“Piangersi addosso per una tragedia serve a poco, ma allo stesso tempo non puoi fare progetti nel lungo periodo, perché non conoscendo i tempi della ricostruzione è impossibile, e si vive una frustrazione immensa.

Io attualmente sto lavorando con una borsa lavoro over 30 (ho 50 anni), ma il mio sogno è ovviamente tornare ad avere un B&B“.

Un’opportunità, forse, potrebbe arrivare dal cammino delle Terre mutate, un pellegrinaggio che, partendo da Fabriano, percorre 250 km per arrivare a L’Aquila. Nel frattempo, la forza di volontà degli abitanti delle zone colpite dal sisma si avverte anche dalla nascita di realtà come CASA – Cosa Accade Se Abitiamo – un’associazione nata ad Ussita dall’incontro tra comunità locale, abitanti dello spazio e ospiti esterni, impegnata nella ricostruzione immateriale e sociale del paese e per continuare a tenere accesa una luce sulla situazione dell’Appennino Centrale.

Per quanto riguarda se stessa, Patrizia ci dice

L’idea è imparare a vivere il quotidiano e il presente con un occhio al futuro, ma senza dimenticare di vivere l’oggi: l’esperienza ci ha insegnato che tutto in un secondo può saltare in aria.

Io vorrei che la mia casa venisse ricostruita, non importa se ci vorranno, come dicono, 10 o 15 anni. Sono tornata qui a 43 anni per scelta, vorrei tentare il tutto per tutto per restare qua, vorrei evitare un’altra soluzione. In attesa di riavere la mia casa io resto nella SAE. Se la mia casa non fosse stata demolita l’avrei fatto io a mie spese, non voglio vivere in una casa rattoppata“.

Marta, vivere il terremoto da lontano è un po’ come chiudere gli occhi per non vedere

Fonte: Facebook @Marta Zarelli

Sono una guida ambientale escursionistica, all’inizio della mia carriera lavoravo solo nel territorio dei monti Sibillini, poi, prima del terremoto, mi è stata offerta un’opportunità da un tour operator siciliano, quella di accompagnare gruppi di stranieri. Ho svolto questa attività in tutta Italia e anche all’estero, fino a quando, nel 2016, l’azienda mi ha offerto di occuparmi di progettazione di nuovi itinerari e della formazione di nuove guide.

All’epoca avevo deciso di trascorrere la settimana in Toscana, vicino Firenze, per poi tornare nei Sibillini il weekend. Quel 24 agosto del 2016 invece ero a Fiastra, a casa mia. Dopo la prima scossa la mia casa non è stata dichiarata da subito inagibile. Anche se ho avuto molta paura, non ho vissuto il terremoto nella sua durezza reale, ero spesso assente, in giro per lavoro. 

A ottobre, ad esempio, mi trovavo in Costiera Amalfitana con un gruppo di turisti francesi. Proprio durante questo viaggio, il 30, c’è stata la grande scossa“.

Marta sente al telefono i familiari, che nel frattempo si erano spostati a dormire in garage, intuisce la gravità della cosa.

“Dovevo raggiungere in macchina la Sicilia, ma ho sentito mia mamma molto spaventata, nonostante lei mi dicesse ‘Tranquilla, tu vai. Qui c’è un gran casino, non sappiamo nemmeno che fine faremo, ma tu occupati delle tue cose”.

Sono partita ascoltando via radio le notizie sul sisma, dicevano che stavano spostando tutti sulla costa adriatica. Da casa mi confermarono la cosa, i miei familiari erano stati accolti in un hotel di San Benedetto del Tronto. Appena arrivata in Sicilia ho preso un aereo per vedere cosa stava accadendo e capire.

Da novembre fino a gennaio Marta è rimasta a San Benedetto, facendo la spola tra la costa e Fiastra per occuparsi degli animali lasciati a casa alternandosi con la mamma.

Dopo due mesi di sballottamento totale ho capito che non potevo continuare a fare questo genere di vita, non avendo più un posto non riuscivo neppure a trovare un modo per lavorare. Mi sono trasferita a Catania a gennaio del 2017, in ufficio, il mio pensiero è stato ‘O rimango qui e penso al terremoto, o vado via e faccio quello che devo fare’.

Non sarei riuscita a conciliare le due cose, intuivo la tragedia che si era consumata. Mi sono dedicata al lavoro, mentre la mia famiglia risistemava la casa che affittavamo durante i mesi estivi, soprattutto per dare un posto a mia nonna, novantacinquenne. Mia mamma si è trasferita invece a casa del compagno, mentre mio fratello, con la compagna e i due bambini piccoli, è rimasto sulla costa, dove penso ormai rimarrà per tutta la vita“.

La casa di Marta viene classificata come B, edificio temporaneamente inagibile con un danno lieve con necessità di ristrutturazioni: il termine dei lavori, non ancora iniziati, è fissato per il gennaio 2020. Nel mentre, Marta decide di costruirsi una casa di legno nel giardino della proprietà, definita inizialmente un abuso ma poi condonata con il decreto “Salva Peppina“, per trascorrere i giorni in cui si trova a Fiastra.

Però resta a Catania, cercando di allontanare da sé l’idea della tragedia vissuta. Non ha il coraggio di chiamare Patrizia, di cui è amica, per più di un anno, ci racconta. “Sapevo che lei aveva perso molto più di me“.

Stare a distanza è un po’ come voler chiudere gli occhi per non vedere, è un subire la tragedia indirettamente.

Proprio Patrizia, però, è stata per Marta un forte stimolo per rientrare nei Sibillini. Lei le parla del cammino delle Terre mutate, Marta lo fa.

Fino a quel momento non ero riuscita ad allontanarmi da Fiastra. A due anni dal terremoto, è stato bello camminare fino al mio paese a piedi, attraversare i Sibillini, incontrare persone, conoscenti, è stato come tirar fuori tutto quello che non ero riuscita a fare da lontano“.

Nel cammino Marta ha incontrato Chiara, con cui ora vive a Ussita. Lei con altre persone è l’ideatrice di CASA, “che mi ha subito fatto pensare che sul territorio qualcosa si stesse muovendo, dato l’idea di che ci fosse un nuovo fermento, di  qualcosa di diverso, la possibilità di poter di vedere il terremoto come opportunità“.

Ad aprile del 2019, dopo più di due anni, Marta rimette i suoi bagagli su un aereo e torna definitivamente ad abitare i suoi posti, cominciando a fare il suo lavoro da casa.

Non so quale sarà il futuro, ma rientrare mi ha fatto riappropriare di quel lato selvaggio e di necessario bisogno di natura che ho sempre cercato. Una pace ritrovata, un sentirsi a casa, un poter fare piccoli passi ogni giorno, dove le macerie ingombrano ancora e la ricostruzione sembra un sogno lontano“.

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