Nell’aprile del 1768, lungo la costa di Tahiti, due vascelli francesi gettarono le ancore in mare. Erano la Boudeuse e l’Étoile, con a bordo oltre trecento uomini che non mettevano piede sulla terraferma da quasi un anno. Al comando di Louis-Antoine de Bougainville, stavano circumnavigando il globo in cerca di terre da conquistare per la Francia. Finalmente sulla spiaggia, un urlo attirò l’attenzione di tutti: una donna, minacciata da alcuni isolani, stava cercando aiuto. Non era indigena, bensì francese: si chiamava Jeanne Baret e fino a quel momento aveva solcato i mari, come prima di lei le piratesse Mary Read e Anne Bonny, insieme a loro, vestita da mozzo, senza che nessuno se ne accorgesse.

Per due lunghi anni, la donna aveva detto di chiamarsi Jean Baret e si era calata in panni maschili per assistere il naturalista Philibert de Commerson, che non riusciva a compiere di persona le spedizioni per via di una vecchia ferita alla gamba. Ma come era arrivata fino a lì? La storia dell’esploratrice francese vissuta nel Settecento è poco nota ai più, ma merita di essere raccontata. Ci ha pensato la scrittrice britannica Glynis Ridley, che ha ripercorso la sua mirabolante avventura nel libro The Discovery of Jeanne Baret, purtroppo non ancora tradotto in italiano.

Nata il 27 luglio del 1740 nel villaggio francese di La Comelle in Borgogna, Jeanne Baret era figlia di due poveri braccianti analfabeti. Poco si sa della sua infanzia, ma a un certo punto la sua strada incrociò quella di Philibert de Commerson. Pur essendo illetterata e senza alcun mezzo di sostentamento, al di fuori della forza delle sue braccia, possedeva un antico sapere che anche il miglior botanico al mondo le invidiava. Come molte altre donne della valle della Loira, conosceva benissimo le erbe, i fiori e le piante locali, e sapeva dove andarle a trovare. Una volta essiccate, venivano poi richieste da medici, dentisti e farmacisti in città: tutti uomini, ça va sans dire, che avevano avuto la possibilità di studiare.

Assunta dai Commerson come cameriera e governante, dopo la morte prematura della moglie dello studioso Jeanne Baret continuò a gestire la casa. Pare certo, dai documenti scoperti dai biografi, che tra il vedovo e la giovane fosse nata una storia, che nel 1764 portò alla nascita di un figlio, dato subito in affidamento per via della situazione illegittima. Diventata un’aiutante fissa per il naturalista, si trasferì con lui a Parigi, continuando ad assisterlo nella vita domestica e lavorativa.

Nel 1765 Commerson decise di partecipare alla spedizione di Bougainville, ma volle con sé Jeanne, che poteva aiutarlo a individuare nuove specie in giro per il mondo. Dato che le donne non erano ammesse sulle navi, pensò di farla travestire da uomo e presentarla a tutti come il suo servitore. Una circostanza negata da entrambi dopo la scoperta del “segreto”, perché avrebbe potuto portare all’accusa di truffa.

Scrivendo nel suo diario, Bougainville narrò infatti una vicenda diversa: in lacrime, Jeanne gli avrebbe detto di aver ingannato il suo padrone, che non aveva mai conosciuto prima. Disse che “aveva deciso di nascondere il suo vero sesso e che, sapendo che si parlava di circumnavigare la terra, il viaggio aveva stimolato la sua curiosità”. In fin dei conti, quindi, giunse alla conclusione che non ci fosse poi niente da condannare.

Sarà l’unica del suo sesso ad aver fatto una cosa simile e l’ammiro ancor più per la sua determinazione, dato che si è sempre comportata in maniera corretta. Credo che la Corte la perdonerà per questa infrazione. Dubito fortemente che il suo esempio si riveli contagioso. Non è né bella né brutta e non ha ancora 25 anni.

Sicuramente il capitano non si dimostrò particolarmente lungimirante riguardo alla parità dei sessi, ma mostrò comunque un’inattesa tolleranza riguardo al gesto indisciplinato di Jeanne Baret. Fu proprio quest’ultima, del resto, a recuperare un campione della pianta di origine brasiliana che ancora oggi chiamiamo Bougainvillea. Più salaci furono i commenti del medico di bordo, François Vivez, che si lasciò andare a resoconti licenziosi sulla “strana coppia”, da lui smascherata molto tempo prima dell’incidente a Tahiti.

Le cure speciali che riservava al suo padrone non sembravano naturali per un servo maschio, tanto che il periodo di tranquillo godimento svanì in fretta per queste due persone. Dopo il primo mese, la placida quiete fu interrotta dai crescenti mormorii dell’equipaggio: si diceva che ci fosse una ragazza nascosta a bordo.

Alla fine, per mettere a tacere le malelingue, Jeanne Baret e Philibert de Commerson si fermarono a Mauritius, nella dimora di un altro botanico francese. E proprio lì, nel 1773, l’uomo morì, lasciando sola la sua compagna di vita e di avventure. Non aveva soldi per tornare in Francia, dove Commerson aveva lasciato un testamento a suo nome, e quindi iniziò a lavorare in una locanda.

Nel 1775 Jeanne sposò un ufficiale francese e poté finalmente fare ritorno in patria, dove visse per il resto dei suoi giorni. Sono tante le piante identificate e catalogate durante la sua avventura in mare, ma solo una porta il suo nome: si chiama Solanum baretiae, ha piccoli fiori lilla ed è stata scoperta nel 2012. Originaria del Sudamerica, ama il sole ed è resistente, proprio come la donna che ne ha ispirato il patronimico.

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