Gli uomini hanno un problema con le donne al potere.

E ce l’hanno anzitutto perché queste donne vanno contro lo stereotipo della brava donzella senza opinioni che vive per compiacere il proprio uomo e nient’altro. Per alcuni uomini, il mondo ideale è un mondo dove tutto il potere è nelle loro mani e noi siamo le ragazzine accondiscendenti che ricordano loro quanto siano potenti (in effetti, non è un mondo troppo distante dal nostro).

Perciò, quando le cose non vanno come vogliono loro per colpa di una donna che sta esercitando il suo potere, fanno fatica ad accettarlo. Negli anni, naturalmente, hanno affinato le tecniche per deridere queste donne, mancare loro di rispetto e così facendo diminuire il loro potere (o almeno provarci).

Tutte avrete seguito le vicende della capitana Carola Rackete, che qualche giorno fa ha forzato il blocco navale italiano facendo entrare al porto di Lampedusa la Sea Watch per portare in salvo i 42 migranti a bordo. Quale che sia la vostra opinione in merito, non è di questo che voglio discutere oggi. Voglio portare alla vostra attenzione la reazione degli uomini, che si è espressa attraverso due risposte differenti, entrambe da manuale.

Quando c’è una donna giovane al potere, il primo modo per toglierle credibilità è trattarla come se fosse una bambina. Sottolineare la sua età aiuta a farla percepire come poco competente, ad esempio. La capitana ha 31 anni, per un uomo sarebbero (sono) sufficienti per prendere qualsiasi decisione, ma su una donna sono troppo pochi, la declassano a “ragazzina”.

Giusto per fare un esempio, Martin Luther King ne aveva 34 quando ha pronunciato il discorso “I have a dream”. Qualcuno si è mai riferito a lui come a un ragazzino? Non mi sembra. E sto volutamente citando un uomo nero, che storicamente è stato vittima di attacchi che miravano a depotenziare la sua voce.

Il secondo modo per far sì che le persone non prendano sul serio una donna di potere è ricreare quella dinamica alunno-insegnante, per cui tu studente chiami il professore per cognome, mentre lui ti chiama per nome. Qualcuna sarebbe in grado di dirmi il nome del capitano Schettino senza cercarlo su Google? Mentre invece sappiamo tutte che sulla Sea Watch c’è Carola.

Carola, come se fosse una persona qualsiasi, come se fosse su quella nave per sbaglio e non al comando. Non la chiamano capitana Rackete, perché suonerebbe troppo altisonante e le conferirebbe serietà e professionalità.

(Certo, ci sarebbe anche il terzo modo per sporcare la professionalità di una donna: parlare della sessualità di quella donna – anche augurandole lo stupro – per renderla un oggetto sessuale e non più una persona, ma forse meriterebbe un articolo a parte).

Ma perché darsi tanto da fare per distruggere la credibilità di una donna al potere?

Perché se ce n’è una, potrebbe essercene un’altra e se cominciano a essere un po’, iniziano davvero i guai.

Noi donne abbiamo molti motivi per essere arrabbiate e siamo più del 50% della popolazione mondiale, se decidessimo tutte di fare sentire la nostra voce, si fermerebbe il mondo. Questo scenario fa troppa paura a chi detiene ora il potere (gli uomini) e perciò devono frenare sul nascere qualsiasi tentativo di ribellione. Come? Facendoci vedere che chi ci prova è un’illusa, che non ci prenderanno sul serio, che non ne vale la pena.

Ogni tanto, nel fare questo trovano delle alleate nelle donne stesse, perché il maschilismo non ha genere. E perché per una donna che per tutta la vita è stata convinta di non poter essere altro che l’ombra di un grande uomo, è difficile accettare che altre abbiano deciso di lottare abbastanza per togliersi da quella condizione di buio. Ti porta a riflettere sulle tue scelte, a chiederti cosa avresti potuto fare di diverso. Non sempre le risposte ci piacciono, e così anziché riflettere su di noi preferiamo prendercela con un’altra. È un meccanismo di difesa, triste ma comprensibile (che non significa per forza condivisibile).

Le donne al potere fanno paura anche alle donne, ma per ragioni diverse. E quella paura svanisce un poco quando ci rendiamo conto che anche noi potremmo reclamare quel potere che ci spetta di diritto. E magari scoprire che dietro quella paura c’è un sentimento di ammirazione per una donna che facendo valere i suoi diritti, mi ricorda che ne ho anche io e con essi il potere di riprendermeli.

People have the power.
Women have the power.

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