scelta da Francesca Melis

Femminista, attivista politica, intellettuale.
Prima di tutto un’artista.

La verità con cui saliva sul palco era spiazzante, cruda.
Ricordo che la prima volta che vidi il video del suo monologo “Lo stupro ebbi un incubo: sognai di essere violentata.

Il monologo (portato in scena negli anni ‘70, quando non si parlava molto di violenza sessuale) raccontava l’esperienza vissuta da Franca Rame in prima persona: nel 1973 fu torturata e violentata a scopo “punitivo”.

Alcuni neofascisti la odiavano a causa delle sue idee politiche, e decisero di colpirla in quanto donna.
La sua voce dura, le parole che pronunciava in modo secco senza cercare di apparire “brava” o “armoniosa” mi avevano stregata.

Il modo in cui raccontava le terribili violenze che aveva subito non aveva retorica. Proprio per questo mi era entrata sotto la pelle e dentro la testa.
Per giorni, questo monologo è stato come un tarlo che impercettibilmente scavava dentro di me.

Già recitavo, il teatro faceva parte della mia vita ma non avevo ancora capito quanto fosse difficile mettersi a nudo come sapeva fare lei.
Riusciva a trattare temi scomodi, riusciva a raccontare il suo essere donna senza melodrammi, senza ipocrisia o autocommiserazione.

Per una come me, che sta bene solo quando recita, lei è un esempio di verità e credibilità. È un esempio perché aveva la forza di raccontare la propria vita senza filtri o menzogne, perché è riuscita ad affermare la sua arte prima della sua femminilità.

Franca Rame è un esempio perché ha dimostrato che non è vero che dietro un grande uomo c’è una grande donna, un grande uomo e una grande donna stanno uno di fianco all’altra e si tengono la mano.

E così ha fatto lei con Dario Fo per oltre sessant’anni. È un esempio perché il suo talento era in buona parte determinato dal suo coraggio.
E questo, inevitabilmente mi sprona ad avere meno paura. Soprattutto di me stessa.

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