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"Mollo tutto e cambio vita? Non potevamo: così l'abbiamo fatto passo per passo"

In un panorama mainstream che ci ha abituate e abituati a narrazioni di successi 'facili' e a titolo tipo "Come da una giorno all'altro ho lasciato un lavoro a tempo indeterminato per inseguire i miei sogni", raccontare la storia imprenditoriale di République Fabrique e delle sue fondatrici è fondamentale per offrire soluzioni concrete, sostenute da progetti no-profit come D²-Donne al quadrato, affinché altre donne raggiungano l'indipendenza e, quindi, prevenire anche la violenza economica.

“Con il senno di poi, posso dire che non essere ricche è stata una fortuna?”

Francesca Temponi è co-founder di République Fabrique, store in centro a Brescia, e-shop di abbigliamento handmade e luogo fisico, nonché ora anche virtuale grazie al servizio in abbonamento Club Fabrique, di corsi di cucito per qualsiasi livello.

Ride, ma nella sua battuta ci stanno più di cinque anni: di fatiche, conti da far tornare, frustrazioni e, soprattutto, di costruzione, di un’azienda ma anche di due imprenditrici.

Anni messi in poche frasi dalla socia e amica Elena Marella: “Partire dal nulla, senza soldi e senza la credibilità per richiedere un prestito in banca, ci ha costrette a raggiungere i nostri obiettivi passo dopo passo, adottando a volte soluzioni creative per sopravvivere: non potevamo permetterci investimenti sbagliati, ma solo scelte ponderate, obiettivi fattibili. Questo ci ha costretto a essere, ancora prima di diventarlo davvero, imprenditrici attente. Non è stato facile, ma proprio per questo oggi siamo molto orgogliose di quello che siamo e di dove siamo arrivate”.

Raccontare la storia di queste due donne imprenditrici che, dal nulla, hanno creato l’azienda Fabrique Sas, oggi è più importante che mai.
La pandemia ha peggiorato un panorama socio-economico già fortemente discriminatorio nei confronti delle donne in termini di retribuzione (gender pay gap), occupazione, rappresentanza nei ruoli apicali, tutele e supporti in grado di garantire loro la possibilità di restare sul mercato del lavoro – e di esserci in modo competitivo – anche dopo la maternità.

I dati Istat 2021 più volte citati, rapportati a quelli delle risorse inattive e alle previsioni del Global Gender Gap 2021 del World Economic Forum – qui sintetizzati nell’articolo 8 cose importanti da sapere se la pandemia ti ha messo in difficoltà economiche – restituiscono una panoramica in cui, è evidente, a pagare il prezzo più caro sono e saranno in futuro le donne.

Il risultato, tra le altre cose, è una recrudescenza di una piaga sociale sistemica di cui solo negli ultimi anni si sta prendendo coscienza, cioè la violenza economica. La libertà di una donna passa per la sua indipendenza economica: è un dato di fatto; esattamente come i numeri dell’indagine pre-pandemica di Global Thinking Foundation, realizzata in collaborazione con la community Powderly, sono lo specchio di un dipendenza femminile endemica:

  • il 50% delle donne italiane non sa i costi di un conto corrente,
  • il 14% non ne ha uno,
  • il 34% delle intervistate non ha idea di quanto il partner guadagni.

A distanza di oltre due anni (di pandemia, appunto) il quadro è inevitabilmente peggiorato e molte donne sono state lasciate (o costrette a tornare) a casa per sopperire alle mansioni di cura dei figli (su 101mila posti di lavoro persi a dicembre 2020, ricordiamo il famigerato dato Istat, 99mila erano posti occupati da donne).

In questo contesto, raccontare storie come quella di Francesca Temponi ed Elena Marella è fondamentale, perché mostrano la strada di un percorso sostenibile, e soprattutto possibile anche per altre donne, per raggiungere l’indipendenza economica. Anche, eventualmente, anche grazie al supporto di progetti formativi come D² – Donne al quadrato di Global Thinking Foundation che offre un percorso in quattro moduli di alfabetizzazione finanziaria dedicato alle donne e mira a fornire loro “conoscenze e competenze su temi economico-finanziari, imprenditoriali e di crescita professionale”.

La realtà del mondo del lavoro, soprattutto per le donne e oggi più che mai, non è quella che troppo spesso ci restituisce il panorama dell’empowerment femminile mainstream, che ha i suoi indubbi meriti ma anche molte zone d’ombra e gioca volentieri con la logica del “volere è potere”, il cui sottotesto inespresso ma passivo-aggressivo dice che: “Se non ce la fai o fallisci, vuol dire che non lo hai voluto abbastanza”. Nulla di nuovo, è la psicologia che da decenni celebra le narrazioni ‘facili’ del tutto e subito e dei “5 passi per ottenere successo, felicità e soldi”.
La realtà, va da sé e i numeri ce lo dicono, è un’altra.

In questo video Marella e Temponi restituiscono, invece, una storia, umana e professionale, autentica, fatta di sacrifici, piccoli obiettivi, doppio lavoro e investimenti oculati fino al momento in cui ci si può davvero licenziare e vivere del lavoro che si è sempre sognato di fare, perché si è trasformata una passione in impresa e, quindi, la si è resa sostenibile economicamente (e non solo, come loro stesse ci raccontano!).

Niente vie magiche per la felicità e per il successo: quando si conoscono entrambe lavorano come cameriere ed entrambe hanno una passione coltivata sin da bambine per il cucito.

Il sogno della macchina da cucire – per citare non a caso un libro di Bianca Pitzorno che di conquista dell’indipendenza economica femminile di una sarta parla – le spinge a condividere l’interesse negli orari extra-lavorativi, prima tra loro e poi dando vita a un’associazione grazie alla quale tengono corsi di cucito e trasferiscono ad altre donne il loro sapere artigianale.

I soldi guadagnati con i primi corsi e le adesioni associative vengono via via reinvestiti nei macchinari e nei materiali necessari ai corsi stessi, in una logica di economia circolare che va ad autoalimentarsi. È questo sviluppo sostenibile – investimenti puntuali e una crescita graduale ma costante – che permette alle due imprenditrici di aprire l’azienda e, con essa, il primo store a Brescia in cui continuare a fare corsi, nonché a realizzare e vendere gli abiti e gli accessori handmade con il loro brand, che all’inizio è solo Fabrique e, non a caso, poi diventa République Fabrique:

“Abbiamo giurato di far cucire il mondo! Per questo abbiamo creato la Repubblica Indipendente del Cucito”, dicono e scrivono sul loro sito perché, per dirla con le parole di Temponi, “per noi la condivisione è, con la sostenibilità, un valore imprescindibile e fondante della nostra azienda”.
Tanto che, nel futuro, insieme a una nuova sede in Piazza Vittoria a Brescia – nel processo di crescita graduale di cui sopra, ne sono state cambiate quattro in grado via via di rispondere alle rinnovate esigenze di ampliamento -. c’è di nuovo l’associazione.

“Vogliamo riprendere il discorso associazionistico destinandolo a fasce marginalizzate: trasmettere a donne in situazioni di difficoltà economica, disoccupate, migranti il nostro sapere artigianale significa per noi creare occasioni di lavoro, reddito e, soprattutto, indipendenza”.

La formula è, questa volta sì, quella dell’empowerment femminile, per cui due donne che ce l’hanno fatta e stanno crescendo, umanamente e imprenditorialmente, invece di custodire il loro sapere e il loro privilegio lo rimettono in circolo per fare da apripista e aiutare altre donne a realizzarsi o, semplicemente, a imparare un mestiere che permetta loro di garantirsi sussistenza e, quindi, indipendenza.

Esattamente come in D² – Donne al quadrato, l’idea è quella di donne che si mettono a disposizione di altre donne (da qui il nome D2): nella fattispecie, il progetto no-profit di Global Thinking Foundation prevede una task force di 56 professioniste volontarie (commercialiste, avvocate, consulenti del lavoro, imprenditrici, psicologhe), distribuite su tutto il territorio italiano, che mettono a disposizione conoscenze e competenze per aiutare altre donne a “saper gestire i propri soldi senza delegare ad altri, prevenire la violenza economica, assumere un ruolo da protagoniste consapevoli rispetto alle proprie scelte di vita, privata e professionale”.

Del resto, un altro motto delle imprenditrici di Fabrique Sas è “cucire è potere” e, storicamente parlando, per le donne è una grande verità. Perché sono stati proprio quei lavori sviliti nei secoli come “roba da donne” che, spesso, hanno consentito alle nostre nonne, bis o trisnonne, di costruirsi, se non un’impresa, una loro piccola o grande – comunque preziosissima – indipendenza.

Per molte donne con una passione, un talento o un mestiere, ma magari non i soldi per farne un’impresa, storie come queste tracciano una strada, mostrano una possibilità: in una parola, ispirano senza illudere e sono mattoni su cui iniziare a costruire anche il proprio futuro.

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Global Thinking Foundation nasce nel 2016 con lo scopo di promuovere l’educazione finanziaria, con una particolare attenzione alle donne e all’uguaglianza di genere.