"Women" di National Geographic: le foto che mostrano le donne tra bellezza e dolore

"Women" di National Geographic: le foto che mostrano le donne tra bellezza e dolore
Fonte: credit @Matthieu Paley, 2012
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Le donne, maltrattate od osannate, altra metà del cielo o nemesi degli uomini, vittime di pregiudizi, stereotipi, ostracismi e capaci di lottare per il proprio diritto all’autodeterminazione e per trovare un posto nella società.

Sono loro, in tutte le loro molteplici sfaccettature, le protagoniste uniche di Women. Un mondo in cambiamento, mostra organizzata da National Geographic per celebrare i 100 anni dalla concessione del voto femminile negli USA e portata nel nostro Paese dall’edizione italiana del prestigioso magazine, in collaborazione con Genus Bononiae, idea nata per iniziativa della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, e Fondazione Carisbo.

Proprio nella città felsinea la mostra ha aperto i battenti il 15 febbraio scorso, e resterà visibile al pubblico, nel complesso museale di Santa Maria della Vita, in via Clavature, fino al 17 maggio 2020, patrocinata dal Comune di Bologna.

È un vero e proprio percorso espositivo, quello di Women, articolato in sei sezioni: Beauty/Bellezza, Joy/Gioia, Love/Amore, Wisdom/Saggezza, Strength/Forza, Hope/Speranza. Sei sostantivi che descrivono tutte le fragilità e le peculiarità dell’essere donna, con gli aggettivi che spesso siamo soliti attribuire loro, ma che altrettanto spesso ci dimentichiamo appartengano loro.

A completare la mostra anche una sezione Portraits/Ritratti, in cui sono raccolti scatti intimi e biografici di attiviste, politiche, scienziate, celebrità; di loro, ma anche del messaggio che la mostra vuole lanciare, abbiamo parlato in una piacevole chiacchierata con Marco Cattaneo, direttore dell’edizione italiana di National Geographic e curatore di questa versione di Women.

Sei sezioni per parlare della condizione femminile nel mondo. Perché la scelta di questi nomi per ciascuna di loro?

“La scelta della struttura della mostra è stata data dai colleghi americani, da cui è partita l’idea. Personalmente io avrei aggiunto un’altra sezione, Pain/dolore, abbiamo purtroppo molto materiale sulle spose bambine, ad esempio, sarebbe stato uno degli elementi su cui lavorare.
Anche se, in realtà, un po’ il dolore da queste immagini emerge comunque, ad esempio nello scatto di un gruppo di donne con i bidoni gialli sulla testa, spesso con i figli al seguito, che fanno chilometri per andare a prendere l’acqua.

Ecco, da foto come quelle emerge, oltre che la forza e la determinazione, anche il dolore“.

Già, a proposito delle spose bambine, ci viene in mente anche il problema delle mutilazioni genitali, ma l’Occidente non è che se la “passi meglio”, in termini di opportunità femminili, vedasi il gender pay gap o la scarsità di accesso ai posti di comando.

Come si fa allora a stabilire un piano d’azione? Da chi dovrebbe partire il cambiamento, visto che il maschilismo è ancora così ben radicato ovunque?

Sì, il maschilismo è molto radicato, anche in settori ‘insospettabili’; pensiamo ai farmaci, la maggior parte di quelli testati sono pensati con dosaggi per uomini. Con questa domanda mi dai l’occasione di citare una donna straordinaria, una delle donne simbolo raffigurate nella mostra, che è  Sylvia Earle, explorer di National Geographic, prima donna biologa marina e prima a essere salita su una nave oceanografica, oltre che ad aver poi messo in piedi un equipaggio di sole donne su un’altra nave simile. Lei ha scritto una frase:

“Il cambiamento deve cominciare anche da noi donne, non considerare più che non siamo in grado di fare certe cose.”

Quindi credo che il cambiamento debba partire da tutti, donne in primis, che spesso sono le prime nemiche delle donne, soprattutto nei casi di violenza dove viene sempre o quasi messa in dubbio la parola o la reputazione della donna. Dato che ho una figlia di dieci anni verso cui nutro grosse speranze, ciò che mi auguro è che, quando sarà adulta, non faccia più notizia che lei o le altre siano in grado di fare le stesse cose di un uomo“.

Eppure, sembra che siamo ancora molto lontani da quel punto, se pensiamo che notizie come quella di Susan Goldberg alla direzione del National Geographic – prima donna in 130 anni di storia – sono sempre accolte come fossero una festa. Non è anche questo un modo per portare avanti una visione maschilista?

Già, alla fine ci dobbiamo sempre stupire se tocca a una donna avere un determinato ruolo, una determinata qualifica; la verità è che penso che da una parte sia ancora un bene, perché ci permette di parlarne, ma dall’altro direi che è ora di dire basta e di normalizzare la situazione“.

Citiamo alcune delle donne presenti nella sezione Ritratti: Nancy Pelosi, Oprah Winfrey, il Primo Ministro neozelandese Jacinda Ardern e la Senatrice a vita Liliana Segre. Ciascuna di queste donne ha contribuito molto all’empowerment femminile, ognuna a modo suo.

Ma se dovesse indicarne una, e solo una, da questo elenco o anche fuori, chi sceglierebbe e perché?

“Cito senza dubbio Amani Ballour, la più sconosciuta di tutte, protagonista di uno straordinario documentario di National Geographic candidato all’Oscar. Lei ha una storia straordinaria, è una dottoressa siriana trovatasi a Gutah, in una delle zone più colpite dai bombardamenti, a lavorare in un ospedale ricavato nello scantinato di un palazzo,.

È stata scelta dai colleghi come direttore dell’ospedale, quindi si è trovata a gestire il triage, l’arrivo dei pazienti e, come se non bastasse, a litigare con gli uomini, parenti delle persone che curava, che non accettavano che fosse una donna. Molte si chiedevano ‘Ma non c’è un dottore uomo?’.

Ecco, se già operare in una situazione di guerra è fonte di uno stress mostruoso, aggiungerci la lotta contro il maschilismo è qualcosa di indescrivibile.
Oggi Amani vive in Turchia, è ricercata dall’esercito, credo si auguri di arrivare in Europa e poi di tornare in Siria per continuare il suo operato”.

Dopo Bologna avete intenzione di promuovere la mostra in altri contesti e città italiane?

Vorremmo tanto, io spero vivamente di portarla altrove, magari anche in Parlamento, dove lo scorso anno abbiamo portato la mostra sulla plastica. Sono temi importanti, di cui occorre sempre parlare“.

Sfogliate la gallery per vedere alcuni degli scatti che fanno parte della mostra.

 

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