
I 7 giorni che servirono a uccidere, non a piegare, Irma Bandiera

Fin dalla sua nascita, Irma Bandiera dovette scontrarsi con la dura realtà della guerra. Mentre veniva alla luce, nel 1915, suo padre partiva come soldato, lasciando la moglie e le figlie da sole. Come racconta il libro Donne della Resistenza, alla fine la pace tornò, e così anche l’uomo. Sembrava tutto volgere al meglio, per la famiglia Bandiera, ma il clima presto tornò a incupirsi.
La Seconda Guerra Mondiale non si prese solo i soldati, ma anche donne, anziani e bambini. A ventitré anni, Irma Bandiera non aveva però nessun motivo per unirsi ai partigiani: era bella, giovane e apparteneva a una buona famiglia. Avrebbe potuto semplicemente attendere che l’orrore finisse, sperando che non la sfiorasse troppo da vicino.
Decise invece di sacrificare la sua vita, dopo giorni di dolori indicibili e di torture, perché aveva senso lottare contro chi negava la libertà. Una scelta, quella di Irma, a cui dobbiamo continuare a guardare. Una storia, la sua, che non possiamo smettere di ricordare.
Sfogliate la gallery per ripercorrere la vita di Irma Bandiera…
Articolo originale pubblicato il 5 Aprile 2019
Irma Bandiera nacque a Bologna l’8 aprile 1915. Suo padre era un capomastro edile e grazie al suo lavoro poteva garantire un buon tenore di vita alla sua famiglia. Durante il ventennio fascista, la famiglia ebbe i mezzi necessari per lasciare la città e trovare riparo in campagna, lontano dai bombardamenti. Irma, ormai ragazza, decise però di restare in città e cominciò a frequentare ambienti antifascisti.
Come racconta il sito Storia e memoria di Bologna, Irma aveva un fidanzato di nome Federico. Militare a Creta, venne imprigionato l’8 settembre 1943, per poi essere trasferito in Germania. Tuttavia, la nave su cui era stato imbarcato venne bombardata e lui venne dato per disperso.
Irma e la sua famiglia cercano a lungo di ritrovare il ragazzo, ma le loro ricerche non ebbero un esito positivo. Intanto l’Italia era precipitata nel caos e la giovane (forse spinta anche dal suo dramma personale) decise di entrare nel movimento di Resistenza. Assunse il nome di battaglia Mimma e iniziò a dare il suo contributo come staffetta.
Il 5 agosto del 1944 i partigiani della bassa bolognese uccisero un ufficiale tedesco e un comandante delle brigate nere, scatenando la rappresaglia nazifascista. La sera del 7 agosto Irma fu arrestata a casa dello zio in campagna, insieme ad altri due partigiani, e poi portata a Bologna. Sperando di ricavare da lei informazioni preziose, per sette lunghissimi giorni i fascisti la sottoposero a ogni tipo di tortura. Lei, però, non parlò e non rivelò alcun nome. Dopo averla accecata e picchiata barbaramente, i suoi aguzzini la uccisero con una raffica di mitra vicino alla casa dove era cresciuta, al Meloncello di Bologna.
La mattina del 14 agosto 1944 una persona informò i parenti che il corpo di Irma si trovava sul selciato vicino allo stabilimento della ICO, fabbrica di materiale sanitario. Venne lasciata lì per un giorno, come monito, poi sepolta alla Certosa, accompagnata dai familiari e qualche amica. A lei fu intitolata una brigata SAP (Squadra di azione patriottica) e alla fine della guerra fu decorata con la Medaglia d’Oro al Valor Militare, insieme ad altre 18 partigiane in Italia. Oggi un murales realizzato da ORTICANOODLES la ricorda proprio nel luogo dove visse e dove venne uccisa.
Web content writer e traduttrice. Parlo poco, scrivo tanto e cito spesso Yeats.
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