La storia di Don Andrea Gaggero, il prete partigiano torturato dai nazisti

È stato l'unico prete, in Italia, ad aver fatto parte di un comando militare. Ha partecipato alla raccolta delle armi, a tutte le riunioni costitutive e al dislocamento delle prime forze partigiane sull'Appenino ligure. È stato imprigionato e torturato a Mauthausen, per poi essere ridotto allo stato laicale e assumere la presidenza del Comitato italiano. Sempre con un solo e unico obiettivo: la pace. Ecco la storia di Don Andrea Gaggero, il prete partigiano e pacifista che è sopravvissuto alle torture più atroci e ha sempre protetto la Resistenza italiana.

È stato l’unico prete, in Italia, ad aver fatto parte di un comando militare. Ha partecipato alla raccolta delle armi, a tutte le riunioni costitutive e al dislocamento delle prime forze partigiane sull’Appenino ligure. È stato imprigionato e torturato a Mauthausen, per poi essere ridotto allo stato laicale e assumere la presidenza del Comitato italiano. Sempre con un solo e unico obiettivo: la pace.

Ecco la storia di Don Andrea Gaggero, il prete partigiano e pacifista che è sopravvissuto alle torture più atroci e ha sempre protetto la Resistenza italiana.

Origini, fede e militanza: la formazione antifascista di Don Andrea Gaggero

Nato il 12 aprile 1916 a Mele, una piccola frazione nell’estremo ponente di Genova, Don Andrea Gaggero cresce in una famiglia operaia (il padre, Giovanni Battista, lavorava come manovale presso il zuccherificio Eridania) e, all’età di 12 anni, entra in seminario a Chiappeto, nelle alture fuori Genova.

Nel 1938, si trasferisce, poi, a Roma per frequentare l’Università Gregoriana e, dopo due anni, viene ordinato sacerdote. Al contempo, Don Andrea Gaggero si avvicina all’antifascismo, grazie anche all’ingerenza di uno zio di Mele, militante comunista che gli fa conoscere il Partito Comunista Italiano.

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, il prete antifascista rientra a Genova, dove svolge l’attività sacerdotale presso l’Oratorio dei Filippini e la chiesa di San Carlo e prende parte alla Resistenza, in qualità di componente del Comitato di Liberazione della Liguria insieme a Mario Tarello. Diventando, così, un vero e proprio punto di riferimento per i primi gruppi partigiani sull’Appennino ligure.

Il silenzio eroico del prete partigiano, tra arresto, tortura e deportazione

Proprio il suo impegno nella Resistenza e i suoi solidi ideali di pace attirano l’attenzione dei detrattori: Don Andrea Gaggero viene arrestato il 6 giugno del 1944 e torturato per quasi 40 giorni, senza che i fascisti riescano, tuttavia, a far uscire dalla sua bocca una sola parola che possa danneggiare i partigiani.

Ma non è finita qui. Il sacerdote è, infatti, condannato a 18 anni di reclusione, per venire, in seguito, tradotto al campo di Bolzano – dove è attivo nel comitato clandestino di Resistenza – e, il 14 dicembre 1944, avviato al lager di Mauthausen, dove gli è assegnato il numero 113979. Anche in questo caso, nonostante le torture, il prete partigiano non proferisce parola e non tradisce nessun compagno della Resistenza.

Sopravvissuto alle condizioni estreme del campo di concentramento, al freddo e alla fame, Don Andrea Gaggero torna a Genova grazie alla liberazione del campo avvenuta il 5 maggio 1945, figurando tra i 20 reduci dei circa 400 deportati con lui da Bolzano. Una volta tornato in patria, viene ricoverato in ospedale per due mesi a causa di un edema da fame e, dopo essersi ripreso, riprende la sua attività presso la Comunità di San Filippo, inizia a insegnare in una scuola media e, soprattutto, fonda Villa Perla, un orfanotrofio per i figli dei caduti durante la lotta partigiana.

Come ricorda il giornalista Ibio Paolucci:

Riprendendo il mio lavoro dopo aver conosciuto tanto odio e tanta sofferenza – afferma Don Andrea Gaggero –, ero cosciente che il mio dono non poteva avere più limiti, se volevo contribuire veramente a edificare un mondo, ove l’amore fosse finalmente legge. Avevamo tutti tanto sofferto in prigionia, speravamo di tornare, ma speravamo anche e soprattutto in un mondo migliore. Feci del mio meglio per assolvere il mio compito.

Il processo del Sant’Uffizio: spretato per “grave disobbedienza”

Con lo svilupparsi dei primi Comitati per la pace in Italia, Don Andrea Gaggero decide di avvicinarvisi e accetta, quindi, di tenere un discorso nel suo quartiere, dal titolo Dai campi di sterminio alla bomba atomica. A titolo personale, partecipa, poi, nel novembre del 1950, al secondo congresso mondiale dei Partigiani della pace, a Varsavia, e viene, inoltre, eletto membro del Consiglio mondiale dei partigiani della pace.

Un impegno – umanitario, politico e sociale – che, però, non incontra il favore delle autorità ecclesiastiche, le quali, appunto, lo convocano a Roma per presenziare a un processo dinanzi al Sant’Uffizio. Dopo diversi scambi, Don Andrea Gaggero pubblica una lettera aperta in cui respinge il decreto del Dicastero e rivendica il proprio diritto a lottare per la pace.

Le conseguenze non tardano ad arrivare. Nel maggio del 1953, infatti, L’Osservatore Romano pubblica un comunicato ufficiale del Sant’Uffizio dove si dichiara che il prete partigiano “è stato dimesso dallo Stato clericale per grave disobbedienza“.

Ma Don Andrea Gaggero non si placa, e continua a lottare per la pace anche nella sua nuova veste laica. Libero da ogni vincolo con la Chiesa, si dedica a tempo pieno all’attività nel Comitato della Pace, tiene comizi pacifisti in diversi luoghi d’Italia e pubblica numerosi articoli, mentre nel 1954 gli viene conferita la Medaglia d’argento della Resistenza. Lo stesso anno gli viene anche riconosciuto il Premio Stalin per la pace, di cui decide di devolvere l’importo al Comitato per la pace.

Nel 1955, ancora, in qualità di membro del Consiglio Mondiale per la pace, partecipa all’assemblea del consiglio a Helsinki, per poi venire eletto, a dicembre, membro della Presidenza del Movimento italiano per la pace: parte, dunque, per Vienna, dove per un anno è delegato presso la sede del Consiglio Mondiale della Pace. Negli anni seguenti, continua a dirigere il Comitato e nel 1962, insieme ad Aldo Capitini, promuove un’iniziativa dall’eco mondiale: la prima marcia della pace Perugia-Assisi.

Prima di morire di tumore, nel 1988, infine, il prete partigiano è riuscito a registrare e a far convogliare la sua testimonianza da sopravvissuto, la sua missione pacifista e le sue instancabili battaglie in un diario, pubblicato postumo da Giunti, nel 1991, con il titolo Vestìo da omo.

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