Marsification: perché colonizzare Marte non salverà il pianeta (né le donne)

La Marsification non è affatto romantica come lo sbarco sulla Luna del 1969: cela diversi problemi relativi all'inclusione e soprattutto non tiene conto dell'urgenza di risolvere e non evitare le questioni aperte sulla Terra.

Esiste una prospettiva di vivere fuori dal pianeta Terra, ovvero su Marte? Non si tratta semplicemente di un’ipotesi fantascientifica, ma di una vera e propria teoria formulata da qualcuno, una teoria che però rivela profondi punti di debolezza: l’ecologia che diventa polvere da nascondere sotto il tappeto, un colpo di spugna per concetti come democrazia e inclusione, il benaltrismo di chi, anziché risolvere i problemi, vuole solo cambiare argomento. La possibilità che le persone possano un giorno andare a vivere su Marte, si chiama Marsification.

Una volta Elon Musk ha detto:

Molto probabilmente la forma di governo su Marte sarebbe una democrazia diretta, non rappresentativa… Quindi sarebbe che le persone votassero direttamente sulle questioni. E penso che sia probabilmente meglio, perché il potenziale di corruzione è sostanzialmente ridotto in una democrazia diretta rispetto a una rappresentativa.

Questo assunto apre a una serie di interrogativi importanti: è giusto considerare la democrazia terrestre in declino solo perché esiste la corruzione (non si può generalizzare e comunque il fenomeno è sempre esistito)? Non si ha paura per le derive autoritarie che la democrazia diretta porta con sé?

Cos’è la Marsification e perché ne stiamo parlando ora

Come si legge su Bureau of Linguistic Reality, questo termine, coniato nel 2022 da Zara Zimbardo e Patrick Reinsborough, si riferisce alla prospettiva dell’espansione coloniale oltre l’atmosfera terrestre, in particolare verso Marte, unico pianeta che offre, potenzialmente parlando, possibilità di vita terrestre (con una necessaria tecnologia aggiuntiva). Ci sono però diversi livelli di lettura e analisi del fenomeno: il primo, più immediato, è quello che piacerà agli appassionati di fantascienza, ovvero l’esplorazione di nuovi mondi.

Ma non è, purtroppo tutto qui. La Marsification consiste anche in una fuga dal pianeta Terra con l’obiettivo di resettare l’intera esperienza umana, dimenticando problemi tangibili fondamentali, come il cambiamento climatico – come se bastasse partire per un altro pianeta per evitare il ripetersi di certe logiche inquinanti. Come si legge su Nss c’è poi il risvolto della space economy: Marte potrebbe essere ricco di minerali e altre sostanze estrattive esauribili (in primis il deuterio, ossia l’isotopo pesante dell’idrogeno) di cui la terra ha bisogno. E così, anche sulla carta, possiamo capire che depredare Marte, esattamente come abbiamo fatto già con la Terra, non solo non è una soluzione, ma è proprio un vicolo cieco.

Una fuga dalla Terra (maschilista): il mito della colonizzazione come salvezza

L’idea di un approdo su Marte fa venire in mente certi corsi e ricorsi storici che avremmo voluto dimenticare. Certo, che si sappia, non ci sono esseri viventi su Marte da sterminare con virus non autoctoni, esattamente come hanno fatto gli uomini europei con i nativi e le native americane (per poi discriminare e marginalizzare queste persone per molte generazioni). Difficile pensare che quella di Marte non sia comunque una colonizzazione, o meglio la depredazione delle risorse naturali. Quella che la Marsification porta con sé è una retorica in cui il pianeta Marte è una terra di confine, una nuova frontiera in cui tra l’altro le minoranze presenti sulla Terra sono escluse a priori. E c’è una ragione.

Marte non è neutro: chi immagina il futuro e per chi?

Questa ragione è lampante se sfogliamo i nomi dei nuovi pionieri della frontiera spaziale. Da Elon Musk a Jeff Bezos, parliamo dei capi di big tech e multinazionali dei media, parliamo sempre di wasp. Continuiamo a celebrare personaggi come Katherine Johnson, la matematica afrodiscendente che permise alla Nasa di raggiungere diversi traguardi nell’ambito dell’esplorazione spaziale, tuttavia la sua e quella delle altre donne scienziate e astronaute impegnate in quest’ambito ieri e oggi restano figurine sbiadite, anche per via di quell’effetto Matilda per cui i successi delle donne vengono sempre scambiati per successi degli uomini. Restano agli occhi di molti le eccezioni, pur essendo oggi ampiamente norma.

La sostenibilità qui e ora: cosa perdiamo se guardiamo solo allo spazio

Prima che qualcuno ci accusi di cinismo, è bene chiarire che la Marsification non è lo sbarco sulla Luna dell’Apollo 11. Alla fine degli anni ’60 lo sbarco sulla Luna non è stato solo “romantico” ma ha segnato una tappa importante nel progresso scientifico. Gli studi sulla cinetica e sulla meccanica hanno portato successivamente alla costruzione e al lancio dei satelliti, per esempio, cosa di cui ringraziamo quotidianamente ogni volta che usiamo un navigatore perché ci siamo persi chissà dove durante un viaggio o un tragitto sconosciuto.

C’è molto da fare sulla Terra. E benché ogni progresso scientifico sia affascinante, ci sono problemi più urgenti cui badare sulla Terra. Stiamo ancora cercando di capire come razionalizzare le risorse ambientali, inquinare meno o per niente, trovare cure efficaci per malattie mortali o vaccini che le prevengano, combattere le ingiustizie sociali e le diseguaglianze. La Marsification è quella mega-festa con fuochi d’artificio e caviale che oscura il comune ritrovo degli scienziati e delle scienziate che, ogni giorno, in silenzio, lavorano per migliorare la nostra vita sulla Terra.

Le donne nello spazio: empowerment o tokenismo?

Quando Cristin Milioti ha interpretato Nanette Cole in Black Mirror indubitabilmente è diventata un’eroina agli occhi del mondo. Non sono mancate nel passato raffigurazioni femminili nelle narrazioni sci-fi, ma la tenente Uhura, sebbene sia un’icona, è un’altra di quelle figurine sbiadite, una donna in un altro mondo di uomini, il cui scopo è mantenere la rotta. Nanette Cole è tutto un altro paio di maniche proprio perché si oppone al ruolo di pedina in un universo maschile, e poi è la protagonista della storia.

La stessa cosa accade con i programmi spaziali: sia le donne che lavorano “dietro le quinte” espletando calcoli complicatissimi e costruendo device che neppure immaginiamo noi profani, sia le donne che vanno effettivamente nello spazio dopo un lungo e impegnativo training, con l’eccezione di alcune sacche, hanno un ruolo simile a quello della tenente Uhura nella fantasia di Star Trek (anche se sono miti più che reali, vere eroine e grandi lavoratrici in un ambito che mette a nudo tutte le potenzialità di cui un essere umano dispone). Le celebriamo come simboli di empowerment e almeno per chi è sensibile all’argomento sono davvero tali, ma di fatto numeri e successi celebrati dei loro ruoli rappresentano un contentino ancora per troppe persone che non vedono più lontano del loro naso, figurarsi oltre il pianeta. Tokenismo lo chiamano, lo zuccherino che si dà ai cavalli dopo che hanno saltato l’ostacolo. O se volete un termine più semplice, si chiama patriarcato.

Dal technoescapismo all’eco-femminismo: un altro futuro è possibile

La Marsification è una forma di technoescapismo, ovvero la fuga dalla realtà verso una futuristica frontiera. Ma come abbiamo visto questa fuga è escludente. L’unica vera prospettiva includente è quella dell’eco-femminismo, al quale le opere distopiche di oggi iniziano a sensibilizzare, dai libri e le serie tratte da Il racconto dell’ancella / I testamenti di Margaret Atwood fino al fumetto Bitch Planet, che è letteralmente ambientato su un pianeta-prigione in cui vengono rinchiuse le donne non conformi al patriarcato. L’eco-femminismo si concentra sulla cura del pianeta in cui viviamo, la Terra, nella lotta al cambiamento climatico, nella giustizia ambientale. Tutti temi in cui nessun essere umano sia escluso. Forse per alcune persone è questa la vera fantascienza, ma l’inclusione non è una cosa dell’altro mondo.

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